Madri a dodici anni, nonne a ventiquattro. Succede ancora nei quartieri popolari di Catania e in alcuni paesi della provincia come Adrano, Paternò e Biancavilla. Succede a Carmela che a giugno diventerà madre per la prima volta e due mesi dopo festeggerà il tredicesimo compleanno. È una ragazzina nata e vissuta a San Cristoforo, il quartiere più popoloso e popolare di Catania, in una famiglia di povera gente: il padre è disoccupato da molti anni, la madre mantiene altri sei figli facendo la domestica. La casa dove abitava coi genitori si trova nel cuore del rione, fra venditori ambulanti e macellerie equine. È un basso pieno di umidità, i vetri delle finestre sostituiti col cartone, il tv-color sistemato su una credenza che cade a pezzi. Carmela è scappata di casa alla fine della scorsa estate con Piero, un quindicenne che fa il meccanico per quattrocentomila lire al mese. È minuta, sveglia, molto sensibile. Ha occhi bruni, capelli corvini, il seno ancora acerbo e un grembo che si gonfia di giorno in giorno. Parla a ruota libera e sorride spesso. “Ho conosciuto Piero due anni fa. Avevo undici anni e facevo la prima media, lui era in terza. Ci si vedeva a scuola durante la ricreazione, si scherzava, si parlava del più e del meno. Un giorno ci siamo messi insieme. Ad agosto siamo fuggiti, ospiti per qualche giorno di parenti. Quando siamo tornati ero già incinta. Da allora viviamo nella casa dei suoi genitori. Sposarci? E con quali soldi?”.
Da queste parti la chiamano fuitina, cioè fuga. Ma fuga da chi e da che cosa? “Mio padre tornava ogni sera ubriaco e picchiava tutti, moglie e figli. L’inattività lo abbrutiva. E io ho sempre vissuto col desiderio di andarmene, di farmi una mia famiglia”.
Ad Adrano l’ottanta per cento delle ragazze ricorre al sistema della fuitina. Questo paesone ai piedi dell’Etna detiene il primato italiano delle mamme-bambine. Lo segue a ruota Paternò, dove in molte scuole dell’obbligo presidi e professori affrontano quotidianamente il fenomeno.
A Paternò ci sono ragazzine che a tredici anni sono madri di due figli. “Le ragazze che ricorrono alla fuitina fanno parte di famiglie molto numerose, appartengono a classi sociali povere e hanno un tasso di scolarizzazione bassissimo”, dice l’assistente sociale del Comune. “Molte non riescono a conseguire la licenza elementare. Alcune hanno padri detenuti o alcolizzati, madri prostitute. Si illudono con la fuitina di staccarsi definitivamente dal degrado. E invece si cacciano in situazioni identiche o addirittura peggiori. Difficilmente queste coppie contraggono matrimonio: l’ostacolo maggiore è dato dalla situazione economica. Arrotondano l’esiguo reddito familiare col sussidio di duecentocinquantamila lire riservato alle ragazze-madri. Dopo qualche anno il legame si spezza. A farne le spese sono soltanto le donne che, assieme ai figli, tornano nelle famiglie d’origine. Un circolo vizioso dal quale non riescono a uscire”.
Difficilmente queste ragazzine riescono a rifarsi una vita. Gli uomini vogliono la donna illibata. Ci sono donne che ricorrono a sistemi incredibili pur di superare certi pregiudizi. Come è avvenuto a San Cristoforo di recente: una signora ha sottoposto a visita ginecologica la figlia dodicenne per verificarne l’illibatezza. Poi, per dimostrare la sua verginità a qualche corteggiatore dubbioso, ha affisso il certificato medico sulla porta di casa.
Antonella ha quattordici anni ed è incinta da due mesi. Parla un dialetto stretto. Convive con un uomo di trent’anni che vende ferro vecchio negli immensi depositi alla periferia di Catania. Abita coi genitori, alcuni cognati, due sorelle e tre fratelli. Tutti hanno almeno una fuitina alle spalle. Lei, la più piccola, ha confermato la tradizione. Vivono a Paternò, ammassati in cucina e nel soggiorno, la sera stendono i materassi e dormono per terra. Manca all’appello la sorella più grande che fino allo scorso anno viveva con loro: “È fuggita quando abbiamo scoperto che se la faceva con uno dei cognati. Suo marito voleva prenderla a coltellate. Ora sta a Siracusa e aspetta un figlio dal nuovo compagno”.
Scene di ordinaria miseria, parte di un sottobosco umano che nessuno vede. Antonella ne parla con straordinaria disinvoltura, come se ogni particolare, ogni sfumatura del suo racconto fossero scontati. È attorniata da nipoti e cugini. Ogni giorno fanno la spola dalla casa al bar: comprano patatine, caramelle e cioccolatini e fanno qualche colletta. Chiederle perché ha fatto la fuitina a quattordici anni appare perfino inutile.
Angela vive ad Adrano in uno dei quartieri abusivi sorti nell’ultimo trentennio. Ha vent’anni, è alta, bruna, molto magra. Indossa abiti dimessi. A tredici anni ebbe il primo bambino, a quindici il secondo. Fuggì mentre i fratelli erano in carcere, non ha completato le scuole dell’obbligo e a stento sa fare la firma. Oggi vive con un ragazzo di due anni più grande, in uno stato di miseria incredibile: “Alla festa del patrono quando tutti si fanno i vestiti nuovi, io non esco per la vergogna. Come li faccio uscire i miei figli? Il mio convivente è un sorvegliato speciale: deve scontare una condanna per furto e spaccio di droga. Non ha voglia di lavorare, la sera si ubriaca e da qualche tempo ha una relazione con un’altra: se tento di ribellarmi mi picchia. Una condizione assurda: certi giorni a casa manca perfino il pane, da una settimana hanno tagliato la luce. Ho tentato di fare molti lavori, adesso sono disoccupata”.
Ma non tutte le fuitine hanno come sfondo gli ambienti sordidi del sottoproletariato urbano. Ci sono storie pulite che maturano in contesti non proprio evoluti, ma fondamentalmente sani. Storie a lieto fine come quella capitata a Giuseppina – ventotto anni, licenza elementare, genitori emigrati per un decennio in Germania – che a quindici scappò dalla sua casa di Adrano per mettere di fronte al fatto compiuto una madre eccessivamente severa, che “si opponeva al fidanzamento in famiglia perché ero troppo giovane”. “Un giorno decidemmo di scappare. Accadde mentre mio padre era ricoverato in ospedale e mia madre gli faceva compagnia; riempii il borsone di indumenti, andai in camera da letto e col rossetto scrissi sullo specchio: ‘Mamma, sono fuggita con Ignazio!’. Tornammo dopo una settimana, mia madre mi diede un ceffone ma tutto finì lì. Ora ho tre bambini e sono felice”.
“Molti sono i ragazzi che fanno la fuitina per la curiosità di provare un’esperienza diversa. Certi programmi televisivi (soprattutto le telenovele) giocano un ruolo fondamentale nella loro formazione”, dice la dottoressa Concetta Riccioli dell’Asl di Adrano.
La storia di Lidia, licenza elementare, quindici anni, al nono mese di gravidanza, è una di queste: Lidia afferma di non avere genitori oppressivi. Eppure quasi un anno fa anche lei è scappata di casa. Vive con il compagno in un dignitoso appartamento popolare di Adrano che divide con papà e mamma: “Avevo voglia di fare un’esperienza nuova. Ma non sono pentita”.
Chi invece si dice pentita (“in parte”) è Piera, diciassette anni, da due madre di un bambino: “Non credevo, al momento della fuitina, di incontrare tutte queste responsabilità. Voglio bene al mio compagno, ma ho il rimpianto di non avere vissuto i miei anni migliori”. Le si illuminano gli occhi quando dice: “Fra un anno mi sposerò in chiesa e finalmente riuscirò a coronare il sogno della mia vita”.
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