Cos’è oggi l’8 marzo? Una festa, una commemorazione, una riflessione, un rito? E chi è oggi la donna? Confesso che non lo so, ma confesso pure che tante volte mi sono posto il problema, ed altrettante volte non sono riuscito a dare una risposta certa. Con la conseguenza che se affronto l’argomento con delle donne, a volte succede che si entra in corto circuito.
E però, malgrado questo, il problema rimane e quelle domande pure.
Prima di dare delle risposte – ovviamente del tutto personali – vorrei capire perché fra uomini e donne, a volte, quando si affrontano tematiche come queste, si entra in conflitto.
La mia risposta è che ancor oggi, malgrado l’innegabile progresso che ha riguardato il mondo femminile, nella donna scatti un ancestrale meccanismo di autodifesa che scaturisce da secoli di frustrazioni, di violenze, di sottomissioni, di paure, trasmessa di generazione in generazione fino ai giorni nostri. L’uomo, a sua volta, reagisce con un’altra autodifesa. Alla fine queste discussioni rischiano di diventare una contrapposizione tra due “parti”, al punto che invece di parlare della luna, si finisce per parlare del dito che indica la luna.
Ma questa, ovviamente, è una valutazione soggettiva e maschile, spero non “maschilista”.
Dunque, cos’è l’8 marzo? Sicuramente una festa. Ma posso dire – a costo di apparire retorico – che la donna va festeggiata tutto l’anno attraverso l’integrazione, la parità, la valorizzazione della sua intelligenza, della sua generosità, della sua creatività e della sua femminilità?
Se si festeggia solo una volta l’anno, è proprio la donna a rischiare di essere relegata da chi vede nell’8 marzo un formidabile alibi per considerare come “qualsiasi” i restanti 364 giorni dell’anno.
Credo tuttavia che negli ultimi anni siano state proprio le donne – non tutte, ma certe donne – a svilire questa giornata (ed anche se stesse) con quelle malinconiche serate di spogliarello maschile organizzate per appagare chissà quali esigenze, o quelle “allegre” serate trascorse in pizzeria a parlare del nulla.
E allora cos’è questa giornata? Una commemorazione? Anche. La commemorazione di 129 donne arse vive – nel 1908 – nel rogo di una fabbrica americana per uno sciopero delle operaie che contestavano i padroni che le costringevano a lavorare in condizioni disumane. Ma l’8 marzo è anche la commemorazione di altre donne straordinarie, promotrici nel corso degli anni dei diritti civili e sociali ottenuti dopo secoli di schiavitù nei confronti dell’uomo. Una commemorazione dei diritti ottenuti, con l’apporto determinante di uomini illuminati che hanno recepito certe battaglie e ne hanno sposato l’alto senso morale.
Perché quest’ultima considerazione? Per significare che le lotte per i diritti umani non conoscono – o non dovrebbero conoscere – barriere fra donne e uomini, fra bianchi e neri, fra ricchi e poveri: si cominciano con una “contrapposizione”, ma si vincono con l’ “integrazione” fra chi crede nei valori come l’interclassismo, l’antirazzismo e la tolleranza, a prescindere dal sesso.
E allora cos’è l’8 marzo? Secondo me è – dovrebbe essere – soprattutto riflessione, dibattito, rispetto delle idee altrui su un argomento serio ed importante.
Qual è la condizione femminile nell’anno del Signore 2013? È quella di quarant’anni o cinquant’anni fa? Assolutamente no. C’è ancora della strada da fare, ma si deve ammettere che la situazione è cambiata completamente. Basta prendere le statistiche per capire che il livello di istruzione delle donne si è alzato nettamente: le figlie delle figlie delle ragazze di quattro decenni fa, possiedono quasi tutte il diploma di scuola media superiore, molte frequentano l’Università e si laureano. Chi fa la casalinga, lo fa quasi sempre per scelta, non per imposizione.
Eppure, malgrado questo, si vedono ancora poche donne impegnate in politica. Nei Consigli comunali, le rappresentanti femminili sono pochissime. Colpa di una politica che parla solo al maschile, o colpa delle donne che non ritengono di impegnarsi e di imporsi nelle istituzioni? Forse l’uno e l’altro. Perché se è vero che nei partiti la presenza femminile è sparuta, in certi movimenti o in talune associazioni il numero delle donne eguaglia o addirittura supera quello degli uomini.
Contraddizioni che riflettono l’universo femminile. Cosa si vuole dire? Che se fino a molti decenni fa la verità si poteva tagliare con l’accetta per l’alta concentrazione di maschilismo, e quindi di discriminazioni verso la donna, oggi quelle certezze non esistono più: ad una verità se ne contrappone un’altra del tutto contraria.
Una delle poche certezze è l’altissima percentuale di femminicidi che si commettono anche nel nostro Paese. Cifre impressionanti che fanno accapponare la pelle e che devono portarci a condannare questo fenomeno, ma anche a discutere, e a riflettere sulle cause.
Fior di sociologi e di psicologi hanno dato le più disparate interpretazioni: la più conducente porta a ritenere che l’uomo – soprattutto in famiglia e nel lavoro – soffre la concorrenza della donna, nel campo culturale, professionale e intellettivo, dovuta ad una scalata rapida che il sesso femminile ha fatto negli ultimi decenni nei diversi settori della vita pubblica e privata: ad una maggiore acculturazione corrisponde una maggiore realizzazione lavorativa ed economica.
Se una volta i ruoli uomo-donna erano definiti, oggi sono completamente diversi. Un tempo lui si recava a lavorare, lei rimaneva in casa ad accudire i figli e a fare le faccende domestiche. Lui deteneva il potere (soprattutto economico, che era tutto), lei soccombeva.
Adesso che i ruoli tradizionali sono cambiati, e l’uomo fatica ad abituarsi, non riesce ad adattarsi, vive una profonda crisi d’identità e spesso reagisce in modo violento.
Ma anche la donna vive una crisi di identità. Possiamo dire che il comportamento, il linguaggio, il senso del pudore, le abitudini, siano quelli di un tempo? Non è che la donna – in certi atteggiamenti – si stia omologando all’uomo?
Anche in questo caso non ci sono risposte certe, tanto è complesso l’universo femminile.
Ad una verità, ripeto, se ne contrappone una del tutto opposta.
Di esempi non ne mancano.
Angela ogni giorno viene picchiata selvaggiamente dal marito, eppure non ha mai presentato una denuncia. Subisce in silenzio “per amore dei figli” (frase tipica) e continua la vita di sempre.
Alfio subisce una serie interminabile di violenze psicologiche da parte della giovane moglie impiegata. Anche lui subisce in silenzio per “amore dei figli”, anche lui continua la vita di sempre.
Enzo si è fatto l’amante ed ha lasciato la moglie. Il Tribunale ha deciso che, in base al reddito, deve corrispondere mensilmente 300 Euro alla moglie, che però non ce la fa ad arrivare a fine mese.
Carla si è fatta l’amante ed ha lasciato il marito. Il Tribunale ha deciso che il marito deve abbandonare la casa di proprietà, e che i figli devono essere affidati all’ex moglie. Adesso il marito è sul lastrico.
Carmela ha telefonato ad un’agenzia per un posto di lavoro: le hanno detto di indossare minigonna e maglione scollato. Carmela non ha “ubbidito”: scartata immediatamente.
Michele fa il precario in un giornale del Nord. È molto bravo ma da molti anni aspetta di essere assunto. Alla fine gli hanno preferito l’amante di un influente uomo politico, che professionalmente è molto meno brava di Michele.
Lorenza è stata licenziata dalla sua azienda perché è incinta. Il datore di lavoro è un uomo? No, una donna.
Paolo si è cosparso di benzina e si è dato a fuoco. Ha lasciato una moglie e quattro figli. Era stato licenziato perché era stato considerato in esubero.
Margherita lavora in un ente pubblico. Il suo capo la invita ogni giorno nel suo ufficio: fra allusioni e sottintesi le fa capire che se sottostà ai suoi desideri, le farà fare uno scatto di carriera.
Antonio lavora nello stesso ente. È in analisi da uno psicologo per le continue vessazioni che subisce dal suo capo ufficio. Il capo ufficio è un uomo? No, una donna.
Fra i tanti esempi, fanno più “notizia” quelli che riguardano la prevaricazione dell’uomo sulla donna o viceversa? Quando – con atteggiamenti tipicamente maschilisti – a prevaricare è la donna sull’uomo o addirittura la donna sulla stessa donna, il problema non viene rimosso?
Ognuno dia in coscienza l risposta che crede, ma il fenomeno esiste, si insinua subdolamente nel corpo della società e cammina, poi improvvisamente esplode e quando esplode tutti condanniamo, ma poche volte ci chiediamo il perché, magari per cercare di attenuarlo. Pronunciamo sacrosante frasi di condanna, ma non andiamo a fondo. E se cerchiamo di farlo, ecco l’immancabile frase, che meglio di un libro di sociologia, spiega un certo clima: “Giustifichi il femminicidio, giustifichi il maschilismo, giustifichi secoli di vessazioni?”.
Come si fa a giustificare? Ma possiamo non porci delle domande? Quantomeno proviamoci.
Si può dire che il cambiamento culturale ed economico della donna sia avvenuto in maniera talmente repentina da aver provocato un trauma nelle dinamiche tradizionali del rapporto con l’uomo? Si può dire che, dopo secoli, l’uomo e la donna non sono ancora entrati nella giusta sintonia per affrontare una situazione completamente nuova? Si può dire che c’è una profonda immaturità nell’uomo nell’affrontare certi problemi, ma anche nella donna? Si può dire che la donna ha perso alcune peculiarità e che si sta “mascolinizzando” sempre più, assumendo atteggiamenti anche aggressivi? Si può dire che la verità – oggi più che mai – non sta da una sola parte? Si può dire che – con i diritti acquisiti – le categorie che caratterizzano la società non sono più uomo-donna (come un tempo), ma onestà-disonestà, arrivismo-legalità, privilegio-precarietà, categorie che ormai appartengono ad entrambi i sessi? Si può dire che la discriminazione nel campo del lavoro ormai non riguarda solo la donna ma anche l’uomo perché lo stato sociale è stato messo in crisi da vent’anni di berlusconismo? Si può dire che per costruire una società migliore è necessaria l’integrazione e non la contrapposizione, come è avvenuto nei momenti più esaltanti della storia dell’umanità?
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