Sicilia, fine ‘800. Da pochi anni due parlamentari, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, hanno stilato una Relazione destinata a passare alla storia e alle polemiche perché per la prima volta in Italia si parla delle condizioni di miseria della Sicilia, dei contadini trattati al rango di servitori della gleba, delle collusioni fra mafia e politica.
In quegli anni un bambino “educatissimo e rispettoso della famiglia”, un’intelligenza al di sopra della media, accompagna la madre nella campagna dei Nebrodi, nella zona di Galati Mamertino, nel messinese, perché c’è da sfamare la famiglia e lui, malgrado la giovanissima età, si alza ogni mattina all’alba per coltivare la terra.
Quel bambino della classe 1891, si chiama Tony Lombardo, e forse non ha neanche la licenza elementare quando, nel settembre del 1906, a soli 15 anni e con 12 dollari in tasca, decide di imbarcarsi per l’America. Deve raggiungere il fratello Giuseppe, approdato oltreoceano alcuni anni prima e diventato un manovale del crimine organizzato – al punto da saltare in aria, anni dopo, a causa di un ordigno esploso in un negozio – al servizio del boss più spietato e più potente d’America: Al Capone.
Non sappiamo se Tony, dalla Sicilia, fosse al corrente delle “gesta” del fratello. Quel che è certo è che il jet set dell’America di allora è quello descritto magistralmente da Scott Fitzgerald nel romanzo “Il grande Gatsby”, belle donne, auto di lusso, pochissima etica, scarsissimo senso morale. Il mondo conosciuto successivamente da Tony.
Per quel ragazzino che conosce le ingiustizie, ma anche i valori del mondo contadino, e che sa parlare solo il dialetto, è difficile, nei primi tempi, rapportarsi col “nuovo mondo”. Con l’aiuto del fratello, si inserisce nella Chicago di allora, nella Chicago dove conta il “bisinissi”, in pochi anni riesce a raggiungere una ragguardevole posizione economica grazie al commercio di zucchero, al quale si rivolge soprattutto il crimine organizzato dedito alla distillazione illegale di alcol. Nel ‘19 è scattato il “proibizionismo”. Fino al ’33 viene considerata fuorilegge la vendita di whisky, di liquori, di rhum, di cognac, e di tutti i derivati dell’alcol. Lo “spirito” illegale scorre a fiumi, lo zucchero per sofisticarlo pure, il sangue delle gang rivali idem. Per Tony Lombardo è un gioco da ragazzi fare il salto di qualità ed entrare nelle stanze del potere. Per le sue doti diplomatiche diventa addirittura la “controfigura in esterna” di Al Capone, colui che parla a nome del capo con le bande rivali e con i politici.
A ricostruire efficacemente la figura del numero due della Cosa nostra americana è Luciano Armeli, docente di lettere, scrittore, due libri all’attivo (“Il tiranno e l’ignoranza” e “Le vene violate”), il quale con questo terzo volume (“L’uomo di Al Capone”. Sottotitolo: “Tony Lombardo, dall’indigenza siciliana a zar del crimine nella Chicago degli anni 20”, 128 pagg., edito, come gli altri, da Armenio), si conferma un saldo punto di riferimento della cultura nebroidea, in quanto è da quel segmento di Sicilia che egli parte per spostarsi, man mano che le pagine scorrono incalzanti, negli Stati Uniti di inizio secolo.
Armeli, quanti uomini ha ucciso Tony Lombardo?
“Dai documenti in nostro possesso non si evince. Il vero manovale del crimine pare fosse il fratello Giuseppe. Ma il grande killer di Capone era Frank Nitti”.
Lombardo come diventa il braccio destro di Capone?
“Il punto di svolta è rappresentato dalla presidenza dell’Unione siciliana, un grande sindacato sorto in America alla fine dell’800 per dare assistenza a tutti gli emigrati che giungono dal Vecchio Continente. Nella sola Chicago conta 20mila iscritti. A un certo punto alla presidenza dell’Unione c’è una vacatio: i primi cinque presidenti erano stati crivellati dai colpi della mafia. Al Capone intuisce che piazzando un suo uomo alla presidenza del sodalizio può controllare un pezzo consistente di città, si fida di Lombardo e lo mette a capo dell’Unione siciliana. Ottiene profitti incredibili, l’Unione siciliana è la controfaccia della Mano nera, l’organizzazione criminale che precede Cosa nostra. Questo scatena una guerra con l’organizzazione capeggiata da un altro siciliano, Joe Aiello, che si alleerà con la potente gang irlandese”.
Come è possibile che Tony Lombardo, appartenente a una onesta famiglia di Galati Mamertino, diventi addirittura l’uomo di Al Capone?
“Probabilmente tutto è causato dalla povertà. All’epoca in Italia la paga giornaliera di un operaio è di 14 lire. Il businnes fatto da Lombardo in America supera i 10mila dollari al mese. Solo ‘l’angustia siciliana’ può spiegare la trasformazione di un bravo ragazzo siciliano in un cinico operatore del crimine. Consideriamo che ad Ellis Island, la banchina del porto di New York dove all’epoca approdavano gli emigrati che si sottoponevano alle visite mediche, gli italiani venivano assoldati dalla malavita senza che essi ne avessero consapevolezza. Certo, alla fine la scelta viene fatta dall’uomo, ma credo che Lombardo si sia trovato in percorsi obbligati in un momento storico particolare. La Chicago dell’epoca era un girone infernale”.
Tony Lombardo a un certo punto torna a Galati e finanzia la costruzione del monumento ai caduti.
“Non solo. Da un documento firmato dal podestà si evince che abbia aiutato delle famiglie in difficoltà”.
Quali sono state le tue riflessioni scrivendo questa storia?
“Che malgrado gli anni passati, nel nostro Paese (che ha esportato il crimine negli Stati Uniti), la situazione non sembra affatto diversa dalla Chicago degli anni Venti: basta vedere cosa succede in certe zone del Sud Italia, dalla Campania alla Calabria, per non parlare della Sicilia di qualche anno fa”.
E di Tony Lombardo cosa ti ha colpito?
“Il fatto che, malgrado fosse diventato un boss incallito, avesse un grande timore della madre. Subiva spesso i suoi rimproveri senza controbattere”.
Morì giovanissimo.
“A soli 37 anni. Nel settembre 1928 venne crivellato di colpi al centro di Chicago. Da allora si scatenerà la vendetta di Al Capone”.
Bravissimo Luciano per l’articolo ed altrettanto bravo Luciano Armeli per aver scritto questo libro.
Un GRAZIE AD ENTRAMBI.
Un abbraccio fraterno.
Stefano De Barba
(Presidente ANAAM)