Caro Salvatore, grazie per le belle parole che hai usato nei miei confronti su facebook, parole che probabilmente non merito. Colgo l’occasione per farti notare che il dibattito al quale hai assistito su fb (chi se l’è perso può consultare il mio profilo) è un piccolo ma significativo compendio della “mutazione antropologica” che il nostro Paese (inteso come Paese-Italia) vive da qualche decennio. Belpasso, in questo senso, è la metafora di una deriva politico-culturale di cui, fra gli anni Sessanta e Settanta, Pasolini avvertiva i primi segnali. Questa piccola storia di ordinario trasformismo – il passaggio della vice presidente del Consiglio comunale di Belpasso dai banchi dell’opposizione di sinistra a quelli di una maggioranza capeggiata da un Sindaco ex Fronte della gioventù, ex Raffaele Lombardo, ex Alfio Papale, oggi Lino Leanza – rompe certi luoghi comuni imposti dalle mode del momento, perché non è vero, come dici benissimo, che la donna sia sempre migliore dell’uomo, o che il giovane sia sempre migliore del vecchio. Ho conosciuto donne e giovani cialtroni, cinici, opportunisti, maschilisti e maleducati, e vecchi meravigliosi e straordinari, ma anche viceversa Per me le vere categorie sono l’onestà e la disonestà, l’educazione e la maleducazione, la coerenza e l’incoerenza, stop, e sono categorie nelle quali, sia nell’uno che nell’altro caso, possono integrarsi l’uomo e la donna, il giovane e il vecchio. A Belpasso succede invece che “I giovani al potere” abbiano una cultura più vecchia dei vecchi che li hanno preceduti. Bravi ragazzi, beninteso, ma assolutamente privi di quello spirito critico che dovrebbe contraddistinguere un giovane. E troppo furbi per essere veri.
Dovresti vederli… disciplinati e compatti, come accettano la regola dell’avvicendamento assessoriale: ogni diciotto mesi fuori una squadra e dentro i rincalzi, a prescindere dalle capacità o dalle incapacità, dai risultati o dai tonfi. Manco il tempo del rodaggio e subito in panchina; e dentro altri completamente destrutturati sul piano amministrativo. Quel che conta è accontentare tutti, come nella peggiore tradizione dorotea.
Dovresti vederli come accettano, silenziosi e compatti, che il Sindaco e la Giunta, trentenni anche loro – al contrario dei Sindaci e delle Giunte di Catania, di Sant’Agata li Battiati, di Camporotondo – rifiutino una costituzione di parte civile in un processo contro il racket delle estorsioni che da anni infesta Belpasso. Un processo innescato da uno dei pochissimi imprenditori locali che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi aguzzini – tre degli arrestati sono proprio di Belpasso – e che per questo andrebbe aiutato. Invece non solo non lo si aiuta, ma si lancia un segnale micidiale a quegli sparuti imprenditori che in futuro dovessero avere la “sventura” di ribellarsi: questa Amministrazione non è al tuo fianco.
Dovresti vederli come votano certe delibere per sfregiare un territorio bellissimo, di cui evidentemente non hanno amore.
Dovresti vederli come fino a ieri erano adoranti alla corte di Sua Maestà l’ex Sindaco approdato a Palazzo dei Normanni, e come oggi facciano finta di non conoscerlo, come succede con il loro Maestro di vita e di politica, l’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.
Dovresti vederli come sono saliti immediatamente sulla zattera dell’ennesimo alibi per i trasformisti, “Sicilia democratica”, fondato da Lino Leanza, ex alleato di Lombardo, approdante un po’ a destra un po’ a sinistra, oggi con Crocetta, ieri con Lombardo, a seconda della convenienza, e dovresti vedere certa sinistra come stia disperatamente cercando di galleggiare su quella zattera.
Quale “sinistra”? Quella che gonfia il tesseramento, che inquina le primarie, che vota le mega cementificazioni, che si batte a favore di centri commerciali, che ostacola l’apertura delle nuove farmacie. Dovresti vedere i vecchi che ieri indossavano l’eskimo sessantottino, e i giovani che oggi discettano di “tattiche”, di “strategie”, di “alchimie”, di “accordi”, senza un ideale o un progetto. Tutti insieme appassionatamente e funzionali al sistema, al quale si aggrappano come cavallette impazzite. Dovresti vederli, allergici a qualsiasi forma di coerenza, come si arrampicano sugli specchi per giustificare il loro trasformismo. E come sbraitano, come vomitano insulti contro chi osa dissentire.
Eppure, caro Salvatore, non ti fare un’idea sbagliata del mio paese. Oggi è ridotto così, un tempo era diverso. Qui fra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento ci sono stati dei fermenti socialisti straordinari che partivano da calzolai, falegnami, fabbri ferrai, contadini con la terza elementare. Qui, quando da Catania saliva “il Sindaco De Felice”, uno dei Grandi padri del socialismo italiano, tremavano “le basole” della piazza, era un tripudio di libertà e di battaglie sociali. Qui durante il fascismo – all’interno del Circolo operai – senza paure né reticenze, si commemorava orgogliosamente Giacomo Matteotti, fatto ammazzare da Mussolini perché “reo” di denunciare le malversazioni e gli scandali del regime. Qui, negli anni Cinquanta, amministrò un grande Sindaco socialista, Domenico Martinez (seguace di De Felice), perseguitato durante il ventennio per aver tenuto la schiena dritta.
Qui, da quel momento, è finito tutto. E sai perché? Perché ci sono stati i Cattivi Maestri, quelli che ci hanno insegnato che è-cosa-buona-e-giusta avere la raccomandazione, che stare dalla parte del forte conviene; che la furbizia è un valore; che a fare scandalo non è lo scandalo ma chi lo denuncia (“tu semini odio” blaterano spesso); che il problema non è il mafioso ma l’anti mafioso; che la mistificazione paga molto più della verità. Insomma, una realtà rovesciata in cui è difficile distinguere il bene e il male.
Dal dopo Martinez il paese – un tempo fiore all’occhiello della provincia – è scivolato in un anonimato che la “sinistra” al potere negli anni Novanta (quella parte di “sinistra” che adesso naviga felice con la zattera di “Sicilia democratica”, in compagnia di fascisti, fascisti ed ex democristiani) non è riuscita a risollevare, rimasta anch’essa impantanata nella pratica del privilegio e del consociativismo. La situazione politica locale l’hai ben descritta: “melmosa”. Come quella regionale e nazionale. Per questo Belpasso è metafora della deriva italiana. La verità è che non riusciamo ad uscirne perché siamo cambiati rispetto ai nostri Padri, abbiamo venduto l’anima ai Signorotti, ci siamo imborghesiti, e non pensiamo al Bene Comune (uso il plurale maiestatis solo per una forma di umiltà, stra-convinto come sono che molti di noi non facciano parte di questa orribile melassa). Una volta contro i politici ci si incazzava, si inveiva, a volte a proposito, altre no, ma si era vivi. Ora siamo morti: o si difende il peggio, che ti garantisce il privilegio, o si cambia discorso. La crisi economica che attanaglia il nostro Paese è figlia della crisi di valori che ha investito la società italiana che produce cialtroni a ripetizione, dal Parlamento al Consigli di quartiere.
Ma noi, caro amico, abbiamo una coscienza e continueremo la battaglia. Se altri hanno deciso di morire a vent’anni, affari loro. Ciao Salvatore, o meglio ancora “Totò”.
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