Cettina Merlino Parmaliana, moglie del docente universitario Adolfo Parmaliana, vittima della mafia e del malaffare suicidatosi il 2 Ottobre 2008 lanciandosi da un ponte dell’autostrada Messina-Palermo, decide di rilasciare una lunga intervista a questo giornale a sette anni da quel tragico evento, facendo una ricostruzione inedita, dettagliata e inquietante di quei fatti. Una ricostruzione fatta di tasselli composti a uno a uno grazie al ragionamento e alla memoria di una persona che per trent’anni è stata compagna di una delle menti più lucide di quel territorio.
(Comincia con questo articolo un’inchiesta a puntate sul “Caso Parmaliana”, che questo giornale pubblica a partire da oggi).
È nei nomi pronunciati in questa conversazione che si racchiude la felicità e la tristezza di Cettina Parmaliana, specie quando se ne pronuncia uno: Antonio Franco Cassata, ex procuratore generale della Corte d’Appello di Messina, un nome che contiene un pezzo importante di questa vicenda riaffiorata dagli anfratti della distrazione di massa lo scorso 22 giugno, grazie alla causa vinta dalla signora Parmaliana nei confronti di Cassata, condannato in Appello a 800 Euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di diffamazione aggravata per avere redatto – secondo i giudici di Reggio Calabria – un dossier anonimo pieno di veleni e di bugie nei confronti di una persona perbene come il professore universitario di Chimica industriale Adolfo Parmaliana, stimato in tutta Europa per i suoi studi sulle energie alternative, e famoso nel territorio Terme Vigliatore-Barcellona Pozzo di Gotto (comuni quasi confinanti) per le denunce che – anche in qualità di segretario della sezione dei Democratici di sinistra – faceva contro il micidiale intreccio fra mafia, politica e affari.
Una condanna lieve sul piano giudiziario, quella subita da Cassata, ma pesante sul piano morale, per un gesto gravissimo commesso quando era ancora nell’esercizio delle sue funzioni, per giunta quando Parmaliana era morto da alcuni mesi. Eppure Cassata ancor oggi, malgrado si sia messo in pensione dal 2013, malgrado la condanna in primo grado e in Appello, malgrado lo sputtanamento in quantità industriale, detiene una rispettabilità e un potere che appare inscalfibile. Basti pensare all’omaggio resogli recentemente dal neo Sindaco di Barcellona, Roberto Materia, recatosi in visita ufficiale – la prima dopo la sua elezione – al museo di cui l’ex procuratore è fondatore e gestore.
Ma perché all’epoca Cassata cerca di infangare Parmaliana se, per quanto odiato, non può nuocergli più? Secondo l’avvocato Fabio Repici – legale di Cettina – il motivo è legato all’uscita concomitante del libro di Alfio Caruso, “Io che da morto vi parlo” (Longanesi), in cui, nel novembre del 2009, lo scrittore catanese racconta la storia del docente di Chimica, ma al tempo stesso mette in risalto le denunce che egli aveva fatto quando era in vita. Caruso attraverso Parmaliana svela agli italiani che in Sicilia c’è una mafia fra le più pericolose e potenti dell’Isola. Anche la storia del libro di Caruso è costellata da retroscena incredibili: “Mentre il volume era in fase di stesura – svela Cettina – , Alfio ricevette la telefonata di Matteo Collura, ex giornalista del ‘Corriere della Sera’. Quindi un’altra telefonata da un amico comune, ma Caruso non cedette. Quando il libro uscì – ricorda ancora la signora Parmaliana – il prof. Salvatore Colucci, pro Rettore dell’Università di Torino e collega di mio marito, volle presentarlo per la prima volta nel capoluogo piemontese. Splendida serata con don Luigi Ciotti. Dopo la manifestazione, l’allora procuratore Cassata scrisse una lettera al Rettore e al pro Rettore, dicendo che l’Università di Torino aveva perso prestigio e credibilità”.
La verità è che Parmaliana stava a Terme Vigliatore come il giornalista Beppe Alfano stava a Barcellona: due schegge impazzite odiate dal sistema (massoneria e servizi segreti deviati) che da quel sistema dovevano essere espulse a ogni costo: Alfano attraverso l’omicidio, avvenuto l’8 gennaio 1993, perché “colpevole” – secondo la conferma del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico – di detenere un segreto inconfessabile: l’individuazione del covo dell’allora latitante Nitto Santapaola a Barcellona. Parmaliana attraverso il suicidio (mai termine è stato così truce per una persona morta da martire): un salto nel vuoto da trenta metri, e da un momento all’altro i tentativi di denigrazione, le ingiurie, le ignominie, le minacce, le paure, le preoccupazioni non esistono più, fanno parte della vita che ti sei lasciato alla spalle.
Chi non vive in provincia non può capire, specie se la provincia fa parte di un Paese profondamente malato come il nostro. Chi non vive in provincia – in una certa provincia siciliana intossicata dalla corruzione delle coscienze – non può mai immaginare cosa vuol dire essere assaliti dai lupi che ti braccano e cercano di sbranarti in branco. Perché sei solo. SOLO. Di quella solitudine che scatta quando ti metti contro i potenti, contro i disonesti, contro la valanga di fango che ti vomitano addosso. Perché la gggente, da queste parti, quasi mai sta con il giusto, quasi sempre sta col forte, anche quando il forte devasta, semina morte, trama alle spalle. Chi non vive nella provincia siciliana non può capire il dramma degli onesti che vengono additati come i nemici di un quieto vivere falso e apparente e di uno sviluppo fatto di cemento e di lupara. No, chi non vive in questa provincia non capirà mai che vuol dire vivere in esilio pur vivendo nel proprio paese, non capirà mai il dolore degli onesti nascosto negli angoli più reconditi della loro anima, quel dolore che non cessa mai di esistere perché le ingiustizie sono talmente tante che quel dolore resterà perennemente dentro di loro e cesserà solo quando il bene vincerà sul male e un pianto liberatore guarirà quell’anima. Lo stesso pianto liberatore che il 2 Ottobre 2008 ha guarito le fitte dell’anima di Adolfo Parmaliana mentre volava da quel ponte di trenta metri.
La voce di Cettina si incrina quando parliamo di questo. Poi fortunatamente ci si distrae e si ride anche, quando lei stessa racconta che la “Gazzetta del Sud”, il quotidiano di Messina, sulla condanna a Cassata se ne è uscita con un titolo incredibile, quasi comico: “Confermata la multa all’ex Pg Cassata”. “La multa”… come se si trattasse di una infrazione del codice della strada. “Ho cercato ripetutamente il direttore della ‘Gazzetta’ – afferma la signora Parmaliana – per chiedergli spiegazioni, mi hanno detto che sarà assente per diversi giorni. Ho chiesto di un vice, niente da fare”. In pratica “la Gazzetta” ha tenuto il “profilo basso” voluto da Cassata nel 2009, quando scoppiò lo scandalo. Lo stesso profilo basso che aveva chiesto (invano) di tenere alla giornalista Manuela Modica de “l’Unità”, che recentemente ha raccontato questa storia.
Del resto è raro che giornali e televisioni facciano delle inchieste serie sulle morti eccellenti verificatesi in questo pezzo di Sicilia: quella di Beppe Alfano, quella di Attilio Manca (avvenuta a Viterbo, ma che ha come epicentro Barcellona Pozzo di Gotto), quella di Adolfo Parmaliana. Paradigmi di un’Italia devastata antropologicamente, dove le “distrazioni” di certa magistratura hanno consentito alla mafia barcellonese di crescere fino a generare dei mostri. E che mostri! Qui nel ’92 è stato costruito il telecomando della strage di Capaci. Qui è stato tenuto nascosto – a parte Santapaola – anche Bernardo Provenzano durante la latitanza. Qui un magistrato come Cassata utilizzava il suo potere per chiedere ai colleghi di insabbiare i rapporti dei Carabinieri sulle collusioni fra mafiosi e politici di Terme Vigliatore, dove, guarda caso, nel frattempo il figlio Nello, avvocato, riceveva incarichi professionali da un Comune inquinato dal malaffare. Qui lo stesso Nello Cassata, da presidente di un Istituto di beneficienza (Ipab), ha prorogato la locazione di terreni e case di proprietà dell’Ipab a fior di mafiosi come Domenico Tramontana, grande elettore dell’ex Sindaco di Terme, Bartolo Cipriano, personaggio “colluso con la mafia”, secondo un rapporto dei Carabinieri, e a tale Aurelio Salvo che all’inizio degli anni Novanta ospitò nei suoi appartamenti nientemeno che Nitto Santapaola durante la latitanza e il boss barcellonese Giuseppe Gullotti, all’epoca ricercato per essere ritenuto il mandante del delitto di Beppe Alfano. Questo per dire qual è l’ambiente in cui si muoveva Parmaliana.
Peccato che la stampa si occupi poco di questi argomenti. Venire qui per raccontare queste storie è davvero illuminante per un giornalista che vuole stare con l’orecchio poggiato per terra per sentire i rumori che si sprigionano dalle viscere del Paese.
Parmaliana era l’unico a Terme Vigliatore a denunciare gli affari sporchi e certi strani connubi. Memorabile quando, nel 2002, parlò al Csm di Cassata e di Canali, altro magistrato col vizio delle strane amicizie. Sì, memorabile ed istruttiva quell’audizione per chi volesse capire cosa voglia dire essere dei cittadini esemplari e magari comprendere qual è la strada da intraprendere per fare dell’Italia un Paese normale: Parmaliana disse al Csm qual era il ruolo di Cassata e di Canali in quel territorio. Memorabile il suo impegno nel 2005 che portò allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Consiglio comunale di Terme Vigliatore. Memorabile l’esposto che nel 2008 presentò alla Procura della Repubblica di Barcellona contro le malversazioni che si verificavano a Terme, ma che indusse i magistrati a rinviare a giudizio per diffamazione proprio lui, Adolfo Parmaliana, e ad ignorare i fatti che l’ex docente di Chimica industriale aveva puntualmente citato nel suo documento.
Finora la cronaca ha raccontato un Parmaliana depresso, disperato ed esasperato per quel rinvio a giudizio imprevisto. Quel provvedimento della magistratura barcellonese – si è detto – lo avrebbe portato, nel giro di qualche settimana, a meditare il suicidio per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e dello Stato su Terme Vigliatore. “Questa ricostruzione – dice Cettina – può anche starci, anche perché, nell’ultima lettera, Adolfo parla della magistratura di Barcellona e di Messina che vogliono metterlo alla gogna. Ma secondo me non c’è solo questo”.
Cettina scuote il capo: “No, non c’è solo questo. Secondo me c’è dell’altro. Qualcosa di inesplorato che riguarda l’ultimo mese della sua vita. Adolfo, negli ultimi tempi, non era affatto depresso. In passato aveva subito dei dispiaceri maggiori, ma non aveva mai perso la calma, era uno forte, razionale, protettivo nei confronti della famiglia, dei figli”. E quindi? “Quindi era molto preoccupato”. Da cosa? “E’ questo il mistero che mi rode ancor oggi”.
Cosa assillava il professore Parmaliana nelle ultime settimane della sua vita? Temeva qualcosa per la sua famiglia? E perché? Cosa era successo? C’era un segreto di cui era venuto recentemente in possesso? Davvero quel gesto estremo è stato causato “solo” per attirare l’attenzione dello Stato e dell’opinione pubblica su Terme Vigliatore, o anche per proteggere la sua famiglia?
1. Continua
Complimenti per l’articolo che spiega bene, per chi vuol capire, non solo il sistema colluso politico-istituzionale-mafioso ma , il territorio culturale in cui si radica e cresce. Una continuazione di sistema feudale, molto più complesso è sofisticato. Non è finita, basta analizzare le evoluzioni politiche amministrative ma , no perché ha vinto una fazione anziché un’altra, questo dovrebbe essere giusto come risultato se prendiamo come riferimento il numero dei voti destinati ai vincenti ma, è il modo , il metodo , il continuo di come e da chi questi Voti provengono, che mi fa inorridire. Mi auguro che il lumicino fievole del cambiamento culturale, prenda sempre più energia e che questi articoli vengano promulgati da una informazione più capillare. Grazie .