A Catania c’è una orchestra che attraverso la musica sta ridando la speranza ai bambini dei quartieri a rischio. È una orchestra che mantiene viva la memoria di Falcone e Borsellino, ma anche di Fava, dalla Chiesa, Chinnici, Costa, Impastato, Ciaccio Montalto e decine di uomini eliminati da Cosa nostra in questa guerra eterna fra bene e male.
Basta recarsi nella sede di via Orfanelli per capire. Basta assistere alle prove e ai concerti. O vedere i colori con i quali questi ragazzini hanno dipinto gli scalini. Con vernici e pennelli si sono divertiti a non perdere il filo della memoria e della speranza, dedicando le pitture alle vittime della mafia: ogni scalino un nome. Perché alla fine il messaggio è questo: il filo si può riprendere sempre, col sorriso sulle labbra e senza discorsi difficili, con un violino e un pennello in mano, in una vecchia scuola del centro storico di Catania, dove il Comune, dopo anni di promesse, finalmente ha trovato una sede stabile.
Questa è l’Orchestra Falcone Borsellino, nata all’interno della Fondazione no profit La città invisibile con il fine di salvare i minori dei quartieri a rischio di Catania e provincia mediante soprattutto la musica.
Certo, se in quartieri come San Cristoforo e Librino chiedi cosa sono memoria e speranza, non tutti ti rispondono come quelli dei quartieri bene, magari di dicono delle cose con un italiano stentato, non perché non lo sanno, semplicemente perché sono andati oltre. Da queste parti andare oltre vuol dire spingersi al di là delle cose imparate sui libri. Si può andare oltre con i sentimenti, con i sorrisi. Con l’arte. Che in posti dove si diventa uomini a dodici anni, non è cosa da poco. Ed ecco allora che un brano di Chopin o uno scalino dipinto, possono dare l’idea del filo che scorre.
L’Orchestra di musica e di vita Falcone Borsellino è nata nel 2010 grazie ad Alfia Milazzo, che insieme alla sorella Marinella, a Liborio Scaccianoce e ad altri volontari, cerca quotidianamente di recuperare decine di ragazzini di quartieri come San Cristoforo (settanta) e Librino (venti), ma anche di paesi come Biancavilla, Adrano e Paternò (quarantacinque) che fino ad alcuni anni fa – a causa dell’elevato numero di omicidi di mafia – dividevano la triste nomea di “Triangolo della morte”, o Santa Maria di Licodia. Luoghi definiti ” a rischio devianza”, frase che, tradotta in parole povere, vuol dire: spaccio, droga, furto, scippo, rapina, prostituzione, estorsione, altro.
Basta focalizzare l’attenzione sulle retate che quotidianamente polizia e carabinieri fanno soprattutto a Librino. Ragazzini di sedici, diciassette, vent’anni strappati alla vita per un borseggio, per dell’erba da piazzare, per una irruzione in un ufficio postale. Basta leggere le cifre: Catania prima città europea a detenere il record della criminalità minorile. Catania prima città europea a detenere il primato dell’analfabetismo.
Non c’è la violenza di certe città sudamericane (fra gli anni Settanta e Novanta c’è stato anche questo), ma diversi punti in comune con queste, a cominciare dal saccheggio, dal degrado, dalle ruberie che certa politica ha perpetrato sulla pelle di migliaia di cittadini. Non è un caso che a dirigere l’orchestra sia arrivato il giovane Maestro venezuelano Semaias Botello (insegnante di violino e viola), che interagisce alla direzione dell’Orchestra con Serena Sicari e periodicamente con i musicisti catanesi Giovanni Grasso, Francesco Musumeci (violoncellista) e Davide Carfi del Conservatorio di Messina, Bruno Boano, Maristella Patuzzi, Matteo Fedeli, che danno il loro contributo gratuitamente.
A questi si aggiungono Riccardo Gerbino che insegna percussioni, Ketty Teriaca che prepara i ragazzi down, Fabio Bentivegna (clarinetto e sax), Lorenzo Scivoletto (tromba), Alessia Gurrieri e Nicola Costa (teatro), Mario Strano (matematica e legalità).
Botello è venuto a Catania grazie a una borsa di studio che gli sta consentendo di imparare l’italiano. Vitto e alloggio dai Salesiani, spostamenti tramite il trenino della Circum, dice di trovarsi bene alle pendici dell’Etna. Catania, afferma, ha la stessa umanità e lo stesso calore del Sud America.
Il metodo che usa si chiama abreu, lo stesso utilizzato in Venezuela per insegnare la musica ai bambini delle favelas o ai figli dei narcotrafficanti. Grazie a questo sistema – dice Alfia Milazzo – 400mila ragazzi venezuelani sono stati strappati alla droga, alla criminalità, all’indigenza. È modello didattico-musicale ideato e promosso da José Antonio Abreu, che consiste in un sistema di educazione musicale pubblica, diffusa e capillare, con accesso gratuito e libero per bambini di tutti i ceti sociali”.
In poco tempo i ragazzini imparano. Dovresti vederli (e sentirli) come riescono ad intonare un brano di Mozart o di Bach, dovreste vederli (e sentirli) come, ogni trecentosessantacinque giorni a Palermo, in occasione dell’anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, sono ispirati e compunti.
“Finora – seguita la presidente de La Città invisibile – abbiamo formato 610 ragazzi nel settore della musica, mentre per quanto riguarda il progetto parallelo (il ‘progetto culturale Utopia’), ne abbiamo formati 5mila in cinque anni. Oltre all’orchestra, infatti, abbiamo creato altre attività: una di questa è il Festival dell’Utopia, una serie di incontri con scrittori e poeti per stimolare nei ragazzi questa visione utopica della realtà. E poi ci sono progetti abbinati all’orchestra, che si basano sui modelli della legalità: leggiamo i grandi autori della letteratura e della saggistica antimafia o dei diritti civili come Nelson Mandela. I ragazzi leggono queste pagine ed esprimono una loro opinione, ma soprattutto vengono messi di fronte a un modello culturale alternativo rispetto a quello che gli è stato inculcato dalla nascita”
Una goccia in un mare, che col tempo, unita ad altre gocce, può diventare il mare.
“Sono stati anni di passione”, prosegue Alfia. “La nostra attività comincia nella mia città: Biancavilla. L’Amministrazione comunale ci aveva promesso un locale a Villa delle Favare, un bellissimo edificio antico ristrutturato da alcuni anni, che alla fine non ci ha concesso. Quindi abbiamo peregrinato fra Adrano e Catania, in stanzoni angusti, freddi e pieni di umidità (basta immaginare che i bambini provavano col cappotto), con contratti di affitto che economicamente non potevamo sostenere. Alla fine siamo riusciti ad ottenere questa bella sede”.
“Bella”, ovviamente, nel senso più spartano del termine. Avete presenti le vecchie scuole deamicisiane, con gli attaccapanni attaccati alle pareti dei corridoi, le volte altissime, i bagni alla turca e i muri dipinti con la vernice liscia e gialla? Spartane e deamicisiane quanto vogliamo, e però con i termosifoni, che per una associazione di volontariato come questa è una conquista senza pari.
In questo pomeriggio di inizio inverno, all’interno della scuola, assieme ad Alfia, ci sono tre volontarie: Serena Sicari, insegnante di solfeggio e teoria musicale, e Giusy Lo Verde (canto), alle quali, da poco, si è aggiunta Martina Calcagno, insegnante di danza. All’unisono parlano con entusiasmo di questa Orchestra “che ogni anno aumenta il numero dei componenti”. “Siamo troppo affezionate a questi bambini”, dicono. “Quando siamo impegnate con la nostra vita quotidiana, non vediamo l’ora di venire a provare per stare con loro. Le nostre lezioni sono un divertimento, si sorride e si scherza sempre. Questi ragazzi hanno un’umanità e un’energia che neanche immaginate. Quando arriviamo ce li abbracciamo come se fossero i nostri figli. Sono loro il nostro futuro. Non è vero che le cose non possono cambiare. Possono cambiare se ci crediamo, se siamo in grado di seminare bene e di curare ogni giorno la terra che simbolicamente rappresenta questa società. Vorremmo che l’Orchestra diventi la casa di questi bambini”. “Lo è!”, esclama Alfia. Tutte sorridono e non vedono l’ora di ricominciare a provare.
Bravisimo…………..