(Premessa. Questo articolo è molto “paesano”, riguarda il mio paese, Belpasso (Ct), nel giorno della presentazione del libro di Totò Cuffaro, quindi avvisiamo i gentili forestieri che potrebbero annoiarsi non identificandosi nel brano che seguirà, ma se lo leggeranno ci faranno cosa gradita).
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Due i contesti in cui oggi, Sabato 4 febbraio 2017, l’ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro, condannato per i motivi spiegati nel precedente articolo, presenta il suo libro: il Club progressista che ospita l’evento, e Belpasso, dove oltre centotrenta anni fa il sodalizio fu fondato.
Cominciamo dal Club progressista. In altri posti ha altri nomi: Circolo dei nobili, Circolo dei civili, Circolo Unione, Circolo della Concordia, ma nella sostanza è il solito circolo dei paesi della Sicilia, dove si gioca a carte, alla carambola o a dama, si discute davanti al camino con un giornale in mano, e per carnevale si fanno bellissimi veglioni danzanti con l’orchestra dal vivo. Il Club progressista è questo.
A Belpasso – come tutti i circoli frequentati dalla borghesia – è amato e odiato. Amato da chi vi è cresciuto respirandone perfino la polvere; odiato da chi, non frequentandolo, non ne conosce i lati né positivi né negativi.
Partiamo da una convinzione personale. Con tutti i difetti di questo mondo, i circoli di paese assolvono a una funzione sociale straordinaria: quella di aggregare soprattutto persone di una certa età che altrimenti invecchierebbero precocemente a casa senza nutrire interessi particolari. Pensiamo per un attimo cosa sarebbero i nostri paesi senza i suoi circoli. Molto più tristi e anonimi di adesso perché mancherebbero di un pezzo importante della loro identità. Almeno secondo noi.
Ma perché da una parte dell’immaginario collettivo di Belpasso questo sodalizio non è ben visto? Il Club progressista – a dispetto del nome che porta – è un circolo tradizionalmente conservatore, frequentato in passato dall’aristocrazia che lo ha fondato (oggi scomparsa) e da certa borghesia agricola, artigianale e impiegatizia. Un’associazione moderata contrapposta al socialismo del Circolo degli Operai. Se il Club era conservatore, il Circolo degli Operai era progressista, di quel progressismo riformista che tra l’Ottocento e gli inizi del Novecento faceva capo a Giuseppe De Felice, il più grande sindaco di Catania, uno dei fondatori del partito socialista italiano e grande esempio di solidarietà cristiana (De Felice morì poverissimo) assieme a un’altra figura eminente della storia di Catania: il cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet.
La differenza fra il Club e il sodalizio dei “mastri” si evidenziò soprattutto durante il fascismo, quando il primo fu adibito a Casa del fascio, senza che i maggiorenti del circolo facessero opposizione, mentre il secondo volle orgogliosamente mantenere la sua identità socialista, soprattutto durante il ventennio, quando tutte le manifestazioni dovevano cominciare con l’Inno dei lavoratori.
È essenzialmente la differenza di “classe” e la diversità di idee politiche e di comportamenti ad avere creato, negli anni, il distacco trasmesso di generazione in generazione: da un lato il Club, a volte chiuso nel suo provincialismo; dall’altro gli Operai che raccoglievano i fermenti avanguardistici dell’epoca portando avanti una battaglia straordinaria per la crescita di questa comunità: l’istituzione della banca nata dentro il circolo per sconfiggere il fenomeno dell’usura. Quattro i motivi essenziali di questa rivoluzione: l’amore per il paese, l’esigenza di crescere, la voglia di impegnarsi e il coraggio di esporsi. Elementi fondamentali per aiutare a migliorare economicamente e socialmente una comunità.
Passano gli anni. Finisce la guerra, a Belpasso torna un entusiasmo politico straordinario. Gli anni Cinquanta sono contrassegnati da un fermento straordinario nel quale protagonista è il sindaco antifascista Domenico Martinez e il suo movimento “Uniti per Belpasso”. Piazza Umberto è il luogo degli scontri dialettici fra lui e i giovani esponenti della Democrazia cristiana, cui partecipano centinaia di persone entusiaste. Dopo c’è il “boom” economico. Gradualmente in tutto il Meridione si afferma un doppio fenomeno: un clientelismo spaventoso e un alto livello di illegalità che dal Palazzo contagia – seppure a livello culturale – la gente comune.
Il Club progressista, col suo proverbiale immobilismo, è sempre al centro delle critiche di una parte della società, che però nel frattempo non si accorge di essere cambiata. Il processo di nemesi tocca il suo apice negli anni Ottanta, quando si instaura il predominio di Giuseppe Pulvirenti, detto ‘u malpassoto, padrone assoluto del paese (banca compresa). Belpasso subisce in silenzio. E se qualcuno osa disturbare il manovratore, rischia di diventare il corpo estraneo da espellere attraverso l’isolamento non del potere, ma della gente comune. Scusate se parlo del sottoscritto, ma a me è successo questo.
Che fine hanno fatto quei circoli cittadini dove negli anni Venti si commemorava Matteotti e si stigmatizzava apertamente il fascismo? C’è mai stato un dibattito su questi argomenti? Adesso per costruire l’avvenire si parla col politico. Di cosa? Del posto, della materia per il figlio, della sanatoria, del progetto, dell’appalto, della demolizione in centro storico, della casa abusiva in zona agricola, del trasferimento, eccetera eccetera eccetera. E pazienza se in cabina elettorale bisogna chiudere gli occhi, o e se al cospetto di qualsiasi forma di malversazione bisogna tapparsi la bocca. Ormai la “corruzione delle coscienze” ha preso il sopravvento e ha vaccinato molti. Tanti cittadini – non solo a Belpasso – si appiattiscono all’ideologia del privilegio dimenticando i valori del sacrificio, della comunità, della libertà.
Passiamo ad oggi.
L’altro giorno ho scritto un articolo sulla presentazione del libro di Cuffaro al Club, auspice il deputato di Forza Italia Alfio Papale, ex sindaco di Belpasso. Dopo la pubblicazione del “pezzo” ricevo messaggi e telefonate da parte di gente indignata, sia nei confronti dell’ex governatore condannato per mafia, sia nei confronti del circolo che ha concesso i saloni: “Il Club si distingue sempre per queste cose. Che schifo!”, e commenti di questo tenore. In privato però. In pubblico non si espone nessuno. Siccome l’articolo l’ho condiviso su fb, controllo in bacheca: nessuna condivisione di miei concittadini, un paio di “mi piace”, zero commenti. Eppure l’articolo – in base ai rapporti Google che ho consultato – l’hanno letto in tanti anche a Belpasso. E allora? Allora il silenzio è troppo assordante per essere vero, ma è la conferma dell’assoluta mancanza di libertà di un popolo che era diverso. Da diversi decenni Belpasso – con il suo avvilente perbenismo che spesso sfocia nell’omertà – non si riconosce più, si è spappolata nella non discussione, non riesce ad affrancarsi dalla cattiva politica, la stessa sinistra risente pesantemente dell’involuzione del paese.
Di fronte a un panorama del genere, possiamo continuare a considerare il Club la parte reazionaria di Belpasso o reazionario è diventato il paese dove, al consueto perbenismo, si aggiunge un preoccupante fenomeno di violenza verbale espresso tramite facebook da parte di qualche giovane amministratore che contagia alcuni simpatizzanti che stanno fuori?
Per onestà intellettuale va detto che il Club progressista mi ha aperto sempre le porte per presentare i libri più trasgressivi sul fenomeno della mafia che ho scritto finora: sul generale dalla Chiesa, sull’urologo Attilio Manca, sui giornalisti assassinati in Sicilia. Si è parlato di Cosa nostra, di massoneria, di servizi segreti deviati, di Andreotti, di Dell’Utri, di Berlusconi e di tanto altro. Sempre grande partecipazione ed applausi a scena aperta nei confronti di magistrati, avvocati, e giornalisti impegnati.
Questo vuol dire molto. Innanzitutto che, su duecentocinquanta soci, assieme a qualche discutibile personaggio del mondo politico, ci sono persone perbene, aperte al dialogo e tutt’altro che reazionarie. Non sappiamo se sono di più i conservatori o i progressisti, ma certamente l’ambiente è talmente variegato che non può essere liquidato con i gli stereotipi di un tempo.
Dopodiché nei messaggi e nelle telefonate di cui sopra, mi è stato chiesto: se fosse dipeso da te, il salone per la presentazione del libro di un condannato per mafia l’avresti dato? Ho risposto di no. Ma questa è un’altra storia.
Luciano Mirone
CARO LUCIANO HO LETTO IL TUO ARTICOLO SU CUFFARO BELPASSO E IL CLUB su cui hai elencato molte inesattezze e notizie inventate che gettano una luce obliqua su un sodalizio prestigioso che nato nell’800 ha mantenuto storicamente la sua autonomia culturale nel corso di tre secoli.
«……….. Il Club progressista – a dispetto del nome che porta – è un circolo tradizionalmente conservatore, frequentato in passato dall’aristocrazia che lo ha fondato (oggi scomparsa) e da certa borghesia agricola, artigianale e impiegatizia …………….»
Si riportano le annotazioni del Delegato di Pubblica Sicurezza di Belpasso fatte poi nel 1893
che costituiscono il “giudizio” complessivo sulla Società
È la Società più ben vista del paese e devota alle istituzioni dello Stato, alla quale partecipano tutti gli individui civili, molti operai, industriali ed arbritrianti distinti per censo e per moralità
In effetti lo statuto del Club Progressista Costituzionale elaborato ed approvato tra il 1890 ed il 1892 riflette l’impostazione culturale dei nostri maggiori scrittori con una variante importantissima: la consapevolezza di essere in grado di possedere la cultura, l’intelligenza, l’autonomia, e la capacità economica di gestire una struttura societaria con locali e capitali propri. E’questa una risposta anche politica di dimostrazione autorevole di non dipendere da casate nobiliari che possedevano i locali che davano in affitto o in comodato ad altre associazioni del tempo
Sono le garanzie previste dagli ordinamenti democratici del tempo con la divisione delle classi sociali secondo l’ordinamento politico sociale e culturale che si era determinato con la vittoria elettorale della sinistra storica
Anche il club crea una propria banca (foto)
“Una delibera dell’Assemblea straordinaria dei Soci del Club Progressista Costituzionale del 23 aprile 1916 evidenzia la necessità di far dichiarare incapace legalmente la Baronessa Margherita Bufali per evitare che l’orfanotrofio perda il suo patrimonio a favore di privati.
« ………La differenza fra il Club e il sodalizio dei “mastri” si evidenziò soprattutto durante il fascismo, quando il primo fu adibito a Casa del fascio ……………..»
Mi risulta che anche il sodalizio dei mastri fu requisito come « camera del lavoro » I locali del club furono riacquistati dai soci il 10 aprile 1953 quando si addivenne al “bonario componimento con l’intendenza di Finanza perchè la “donazione” al Partito Nazionale Fascista era “viziata da violenza morale”
Sono del tutto infondate le note sul mancato ruolo culturale del club nel dopoguerra:
STATUTO SOCIALE DEL 1955
II Club, da tempo già ricomposto ed attivo, praticamente dal rilascio dei locali da parte degli Inglesi, e ormai, conclusa la vertenza con l’Intendenza di Finanza, reintegrato anche nella legittima proprietà della sua Sede storica, sentì il bisogno, come per una nuova fondazione, una rinascita, di rinnovare la sua “carta costituzionale” cioè il suo Statuto non essendo più valido quello vecchio del 1897 perché radicalmente modificata era la Società Civile che aveva affrontato due guerre mondiali e incompatibili con i tempi erano ormai alcuni articoli.
Infatti il nuovo statuto ART. 3
L’Associazione è apolitica e non ha personalità giuridica. Essa si propone unicamente finalità mutualistiche, culturali e ricreative fra i suoi soci e le loro famiglie.
LE TUE AFFERMAZIONI sulle vicende politiche degli anni 50 in poi sono prive di fondamento in quanto nel 1952 (anno dell’elezione del sindaco Martinenz) nel club ancora non era avvenuto il riscatto etc solo nel 1955 si approva il nuovo statuto.
ANCHE LE TUE AFFERMAZIONI sulle storie particolari legate alle famiglie « mafiose » non hanno niente a che vedere nè sui soci del club nè sull’associazione.
-LE ULTIME TUE AFFERMAZIONI non credo che siano coerenti con quanto è avvenuto in questi anni nei locali del circolo che ha dato ospitalità gratuita a tutte le manifestazioni culturali, ai dibattiti politici durante la campagna elettorale e a Te in particolar modo per presentare libri e personalità di rilievo
Lorenzo Laudani
Gent.mo professore, La ringrazio per le Sue precisazioni storiche, ma quanto da Lei scritto mi appare così confuso che, mi creda, pur avendolo letto più volte, faccio fatica a raccapezzarmi. Il fatto che Lei dica che il mio articolo “getti una luce obliqua” sul Club è una Sua legittima considerazione, ma smentibile facilmente dalla lettura del mio articolo, il quale, al contrario, cerca di smentire molti luoghi comuni in negativo che da decenni circolano sul circolo. Se questo succede (in caso contrario, lo smentisca con un’analisi un po’ più precisa e ponderata) un motivo ci sarà ed io mi sono soltanto permesso di comprenderne le cause. Dopodiché, Egregio Professore, se l’intera impalcatura della Sua lettera appare alquanto confusionaria, gli ultimi tre capoversi necessitano di una sorta di traduttore, in quanto la mia intelligenza non è ancora riuscita a decifrarne il significato, tanto appare fuori luogo rispetto al mio articolo. Seguo da alcuni giorni la Sua campagna di stampa, tramite social network, improntata sulla riabilitazione di Cuffaro: nella prima Lei paragona l’ex governatore della Sicilia addirittura a Dante Alighieri; nella seconda si rivolge direttamente a lui ritenendolo vittima di una persecuzione giudiziaria, malgrado una condanna definitiva per favoreggiamento aggravato alla mafia. Legittima anche questa presa di posizione, Egregio professore, ma perché non lo spiega con dei dati di fatto, facendoci comprendere dove hanno sbagliato i magistrati. Mi consenta di dirLe pure che sono lontani i tempi in cui il Professore Lorenzo Laudani portava “I Siciliani” a scuola facendo educazione civica ai ragazzi. Non ho avuto la fortuna di averLa avuta come mio insegnante, ma fino a ieri sera parlavo con alcuni Suoi ex alunni, i quali, pur esprimendo un inalterato affetto nei Suoi confronti, stentano a riconoscere il Professore Laudani di un tempo.
I miei rispetti
Luciano Mirone