Dunque il sindaco di Messina Renato Accorinti viene salvato dagli esponenti di quell’ancien regime che lui stesso ha combattuto da una vita, ma che da quando è stato eletto (2013) esprime assessori nei posti chiave della sua giunta.
Come questo sia possibile lo vedremo in altra parte dell’articolo, ma intanto partiamo dal fatto che Accorinti concluderà la sua legislatura naturale nel 2018, cosa di cui ci rallegriamo, perché Renato è persona perbene e perché Messina non poteva permettersi un ennesimo trauma dopo quelli subiti negli ultimi decenni.
Un istituto delicato come la mozione di sfiducia – a nostro avviso – non può essere brandito contro la volontà popolare, semmai può essere usato saggiamente quando un sindaco si macchia di colpe gravi con boss mafiosi o persone corrotte. Ma se il motivo riguarda i risultati (in questo caso giudicati “scarsi” da chi voleva affondare il sindaco) ottenuti dopo appena quattro anni di legislatura, senza tener conto della scandalosa eredità amministrativa che Accorinti si è dovuto caricare sulla spalle e che, come ha giustamente detto, “potrà essere sanata soltanto dopo decenni di buona amministrazione”, la mozione di sfiducia – benché consentita dalla legge – se non motivata seriamente, appare un pretesto destabilizzante in un sistema democratico come il nostro.
Veniamo al secondo punto. Accorinti è stato salvato dai “genovesiani”, ovvero dai rappresentanti dell’ex parlamentare nazionale di Forza Italia Francantonio Genovese (ex grande leader del Pd messinese), condannato recentemente a undici anni per diversi reati che vanno dall’associazione a delinquere al falso, per la mega truffa sulla formazione professionale in Sicilia.
Ciò di cui il sindaco è accusato da suoi ex compagni di strada come Antonio Mazzeo è di avere inserito nei posti importanti della giunta gente che è espressione di un sistema che egli ha lottato strenuamente per anni su questioni inderogabili come il Ponte sullo Stretto, la cementificazione selvaggia, lo sperpero di danaro pubblico, la corruzione e tanto altro.
Da oggi l’alleanza tra Accorinti e pezzi di quel vecchio sistema viene sancita dal “salvataggio” in extremis che evita al sindaco una sfiducia che avrebbe fatto morire prematuramente e ingiustamente la sua esperienza amministrativa, ma che lo allontana (forse irreversibilmente) da una parte di quel movimento “Cambiamo Messina dal basso” che lo aveva sostenuto perché vedeva in lui un’alternativa a quel potere col quale Renato oggi fa i conti.
Ci rendiamo conto che Accorinti – all’indomani dello scampato pericolo – si trovi in una situazione di estrema difficoltà, sia perché in Consiglio comunale non ha i numeri per amministrare autonomamente, sia perché non riesce più a dialogare con una parte dei suoi, sia perché deve amministrare una delle città più difficili d’Italia con risorse limitate e ostacoli quasi insormontabili da superare quotidianamente. Ma la domanda che tutti si pongono è questa: e ora cosa succederà? Renato riuscirà a mantenere una sua identità o diventerà ostaggio di chi lo ha salvato dalla sfiducia?
Per quanto ci riguarda, gli auguriamo di concludere come spera la legislatura, e di essere rieletto qualora dovesse decidere di ricandidarsi. Un consiglio tuttavia ci permettiamo di darglielo: quello di riprendere il dialogo con le donne e con gli uomini che nel 2013 hanno contribuito a farlo eleggere e che oggi, non condividendo certe scelte, gli muovono delle critiche leali, schiette e spesso non infondate. Nel frattempo attendiamo fiduciosi una risposta per una intervista, specie dopo l’ultimo articolo che forse non tutti i componenti del suo staff hanno gradito.
Luciano Mirone
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