Poche parole che illuminano le tenebre in cui questa Repubblica è sprofondata dal 1947 (anno della strage di Portella della Ginestra) ai giorni nostri: “Sono stato informato di progetti di attentati, nel tempo, nei confronti di magistrati di Palermo orditi da Matteo Messina Denaro per interessi che, da vari elementi, sembrano non essere circoscritti alla mafia ma riconducibili a entità di carattere superiore”.
È lapidario Roberto Scarpinato, Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Palermo, sentito dalla Commissione parlamentare antimafia sui rapporti mafia-massoneria.
Se – come trapela da Palazzo dei Marescialli – il resto dell’audizione è stato interamente secretato, vuol dire che esistono elementi che non possono uscir fuori, perché destabilizzerebbero pezzi delle istituzioni.
Dopo la notizia divulgata nei giorni scorsi sul sequestro, da parte della Guardia di finanza, degli elenchi di nomi appartenenti alle varie obbedienze massoniche esistenti in Sicilia e in Calabria, consegnati alla Commissione antimafia, l’audizione di Scarpinato aggiunge un ulteriore tassello ad un mosaico dove potrebbe esserci di tutto, dai mandanti “esterni” delle stragi di Stato e dei delitti eccellenti, ai protettori dei grandi latitanti, da piazza Fontana a piazza della Loggia, dalla stazione di Bologna al rapido 904, dall’Italicus a Capaci, fino a via D’Amelio, passando per Mattei, Moro, Mattarella, Impastato, La Torre, Costa, Terranova, Boris Giuliano, Ciaccio Montalto, Chinnici, Rostagno, Cassarà, Montana, dalla Chiesa, Fava, Beppe Alfano, Attilio Manca. Un elenco che non sarebbe stato così lungo se quei rapporti fossero stati meno osceni, meno occulti, o semplicemente se la politica “buona” avesse combattuto per troncarli sul nascere.
Invece quei pochi personaggi che hanno lottato per lo Stato democratico sono stati lasciati soli, fino all’estremo sacrificio di molti, o all’isolamento dentro le stesse istituzioni di altri.
Fra questi ultimi – anche se se ne parla poco – vanno ricordati Tina Anselmi, ex presidente della Commissione parlamentare P2, che ha disvelato i segreti del delitto di Aldo Moro, apparentemente eseguito dalle Brigate rosse ma sostanzialmente commesso dalle “entità superiori” capeggiate dal padrone della P2 Licio Gelli che, nei cinquantacinque giorni del sequestro dello statista democristiano, dirigeva le operazioni dal ministero della Marina Mercantile assieme ai servizi segreti americani. Vanno ricordati i redattori de “I Siciliani” che per anni – dopo l’assassinio del loro direttore Giuseppe Fava – hanno raccontato in assoluta solitudine i legami fra lo stesso Gelli e Sindona e i cavalieri del lavoro di Catania con il boss Nitto Santapaola, protetto dallo Stato per molti anni. Va ricordato l’attuale sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che negli anni Ottanta e Novanta, dall’interno della Democrazia cristiana, denunciava le protezioni di cui godevano personaggi del calibro di Sindona, Gelli, Salvo Lima e Stefano Bontate grazie a Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio ed oltre trenta volte ministro. Vanno ricordati gli attuali magistrati del pool antimafia di Palermo (a cominciare da Di Matteo), anche loro lasciati soli da uno Stato che non vuole occuparsi di Trattativa, perché pezzi di esso – secondo quanto emerge dagli atti processuali – è implicato fino al collo in certi rapporti inconfessabili.
Riteniamo che la Commissione antimafia stia facendo un buon lavoro, ma mettere il naso solo negli elenchi delle logge di Sicilia e Calabria, senza guardare quello che succede nelle altre regioni, vuol dire avere un senso molto limitato del concetto di verità. Speriamo di sbagliarci.
Luciano Mirone
Lascia un commento...