Il mio Giro d’Italia ha una data scolpita nella roccia: 26 maggio 1967. Quel giorno la Carovana multicolore, per la prima volta nella storia, arrivò sull’Etna, ma io di quel Giro ho un ricordo in bianco e nero: ero troppo piccolo per poter andare alla tappa, e poi vivevo lontano dal mio paese, quindi la corsa la vidi in tivù, e quando quel giorno rividi i miei luoghi trasmessi in Eurovisione fui assalito da un’emozione pazzesca: è vero che i luoghi in cui si nasce hanno a che fare con l’anima, e la mia anima quel giorno la vedevo in tivù, erano i muretti a secco, la casa cantoniera, la ferrovia della Circumetnea, le case coloniche, i paesini puliti e ordinati del pedemonte, le chiese costruite con la pietra lavica dell’Etna e con la pietra bianca di Siracusa, il pennacchio del vulcano, il basolato lavico.
Ricordo gli ultimi chilometri, i quattro corridori in testa, lo sprint vinto da Bitossi, la maglia rosa a Zilioli, i grandissimi Merckx, Gimondi (che avrebbe vinto il Giro), Anquetil, Adorni, Motta, Basso, Balmamion…
Quando d’estate venimmo a Belpasso, chiesi a mio padre di farmi ripercorrere con l’auto gli ultimi venti chilometri che i corridori avevano percorso due mesi prima. Partimmo da Nicolosi e quel giorno – come per magia – diventai un corridore del Giro: la salita, man mano che si inerpicava verso la Montagna, si faceva più dura, mentre due ali di folla riempivano i bordi della strada. Erano venuti in tanti, quel giorno, anche da fuori provincia, con la Cinquecento, la Seicento, la Seicento multipla, la Topolino, la Giardinetta, la Millecento, il maggiolino. Molti erano arrivati con le moto. Moltissimi con le biciclette. Fin dalle prime ore del mattino c’erano tante famiglie che avevano fatto il picnic sui prati dell’Etna, le uova sode, il pane di casa, la pasta al forno, il vino, l’acquarrussa nei bummuli di terracotta.
In salita si sputa l’anima, vorrei farmi spingere da quel tifoso ma potrebbero squalificarmi, gli faccio cenno di stare lontano e lui disciplinatamente resta ai bordi della strada. Sento di svenire. Il provvidenziale secchio d’acqua di un altro tifoso mi salva e continuo a scalare il vulcano più alto d’Europa.
Mentre la carovana dei corridori si avvicina al traguardo del Rifugio Sapienza vedo le scritte con la vernice bianca impresse sulla strada e sui muri: Forza Motta, Alé Gimondi, W Adorni. Quei quattro che si sono staccati sono lontani, e in questo momento Bitossi vince la tappa, sul palco ci sono Adriano De Zan, Sandro Ciotti e Nando Martellini che fanno le interviste.
Quando mio padre si ferma sulla linea del traguardo mi accorgo che ho sognato. È stato una tappa bellissima, la più bella della mia vita.
Luciano Mirone
Siamo tutti corridori…tutti vogliosi e desiderosi di raggiungere il Traguardo!
In bocca al lupo Luciano!