Centinaia di pannelli per raccontare i miracoli. Centinaia di pannelli per descrivere le molteplici vicende umane che si sono verificate nell’arco di un secolo e mezzo. Centinaia di pannelli per tramandare la Storia, quella ufficiale che studiamo nei libri e quella “minima” del popolo dalla quale traspare l’autentica anima di queste genti, in una sequenza temporale che – attraverso questi affreschi realizzati ad olio su quadretti rettangolari di tela, legno o lamiera – giunge palpitante fino a noi raccontandoci le varie epoche che, dal 1867, si sono susseguite.
Sì, perché risalirebbe a quella data – il 1867 appunto – il primo dipinto che ci racconta un miracolo dei tre Fratelli Martiri, Alfio, Filadelfo e Cirino, anche se Sant’Alfio, in queste icone, è quello maggiormente citato. E così si passa da un naufragio datato 24 dicembre 1904 alla guerra del ’15-’18; dal fronte greco-albanese (dove il 10 dicembre 1940 viene miracolato Giuseppe Arena) alla battaglia di El Alamein, in Africa settentrionale, dove i Santi nel 1943 graziano Alfio Russo – classe 1920 – di Aci Sant’Antonio.
Ogni dipinto una grazia, ogni scena una testimonianza genuina di una cultura contadina che non c’è più, uno spaccato straordinario di storia, di economia, di costume, di poesia. Dall’Ottocento alla metà del secolo successivo il filo conduttore è quasi sempre il cavallo (qualche volta i buoi) con l’immancabile carretto. Il cavallo e il carretto dunque come mezzi di locomozione, ma anche artefici di sventure. E allora se un quadrupede si imbizzarrisce o scivola in un burrone travolgendo uomini donne e bambini che dopo varie peripezie riescono a salvarsi, vuol dire che l’intercessione di Sant’Alfio (ma anche dei suoi fratelli) presso il buon Dio ha avuto esito positivo.
Ed ecco allora che bisogna incaricare un pittore di carretto, il cosiddetto carradore (Di Mauro, Russo e Torrisi i più richiesti dei tempi andati), per realizzare un ex voto, cioè fare un’offerta al Santo in segno di riconoscenza.
Tante le persone salvate “da morte sicura” a causa di un cavallo: fra queste Giovanni Felletta, Salvatore Di Maio, Lorenzo Famà, Alfio Privitera, Salvatore Trovato (tutti miracolati nel 1913), Francesco Paladino e Giuseppe Faro (negli anni successivi).
Nel 1937 a “Malupasso” (o Malpasso: antica denominazione di Belpasso prima dell’eruzione che nel 1669 distrusse il paese) l’automobile fa una delle prime apparizioni e comincia a soppiantare il cavallo: è un evento per il piccolo centro etneo, se non fosse per l’incidente di cui resta vittima Alfio Cavallaro. Che si salva grazie ai santi Patroni di Trecastagni.
Col passare degli anni, l’uso della macchina (o dell’autobus, a seconda delle esigenze) diventa un fenomeno di massa. E i quadretti conservati nel santuario di Trecastagni diventano lo specchio della società che cambia.
Il 19 agosto 1950 in un paese della provincia di Catania ci sono dei ragazzini che giocano in strada. Uno di questi, a un certo punto, per ravvivare la giornata, ha un’idea incredibile. La scena viene descritta col supporto dell’immagine pittorica. Nel pannello si legge: “Miracolo fatto a Paladino Alfio e Sanfilippo Anna di anni 11. Legato da un altro ragazzo alla targa dell’autobus fu trascinato per circa 250 metri”. L’affresco mostra una scena di panico: le donne con la mani nei capelli che gridano. Gli uomini che accorrono cercando di prestare soccorso. Uno scherzo che non si trasforma in tragedia per il tempestivo miracolo di Sant’Alfio che arriva un attimo prima.
Poco più in là un altro pannello che ritrae una scena datata luglio 1962. Al centro una persona distesa sulla strada, accanto una “Lapa” spiaccicata al muro, per terra tanta frutta. Si legge: “Per miracolo dei tre Santi Alfio, Filadelfo e Cirino, il sig. Ranno Giuseppe, di anni 28, da Viagrande, nella salita dei Sapunara a Trecastagni, per la rottura dei freni della Ape, dovette buttarsi insieme al ragazzo Berenghini Salvatore di anni 14, da San Giovanni la Punta, e malgrado alcune ferite riportate, ebbero salva la vita”.
Luciano Mirone
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