Angelo Niceta è al ventesimo giorno di sciopero della fame. Oggi decine di persone, fra le 23mila che in questi giorni hanno firmato la petizione per sensibilizzare le istituzioni ad occuparsi seriamente del suo caso, digiuneranno per solidarietà nei suoi confronti. Dal 2015 Niceta racconta ai magistrati di Palermo i retroscena legati ai presunti rapporti fra la sua famiglia – una delle più facoltose di Palermo, ma anche “fra le più compromesse con la mafia”, almeno a sentire lui – e “il gotha di Cosa nostra”, con nomi da fare accapponare la pelle come Matteo Messina Denaro, Filippo Graviano, Pino Scaduto, Giuseppe, Carlo e Francesco Guttadauro; da un anno e sette mesi spiega ai magistrati quali sono gli interessi portati avanti dagli organizzatori delle stragi del ’92-’93, quale è il ruolo dei Guttadauro nel fare da collante fra la criminalità organizzata, la borghesia mafiosa e la politica, com’è cambiata Cosa nostra nell’ultimo quarto di secolo, chi ha preso il posto dei “corleonesi”, come il concetto di “Patto” abbia sostituito il concetto di “Trattativa”, eppure per le istituzioni Angelo Niceta non esiste, nel senso che lui può anche collaborare coi magistrati, ma siccome rifiuta categoricamente lo “status” di “collaboratore di giustizia” chiedendo quello di “testimone di giustizia”, lo Stato non ha ancora deciso a quale categoria appartiene Niceta. Nel frattempo “faccio la fame, ricevo minacce, rischio la vita”.
“Da quando ho cominciato a parlare – dice Angelo – i magistrati di Palermo che si occupano della Trattativa (Di Matteo e Padova) mi hanno ammesso come Testimone di giustizia al programma di speciali misure di protezione. Ma la Commissione centrale del ministero dell’Interno non è d’accordo e mi considera collaboratore. Rifiuto categoricamente quest’ultima definizione perché se è vero che faccio parte di una famiglia molto vicina a Cosa nostra, è anche vero che ho sempre preso le distanze da essa, non ho problemi con la giustizia e mi sono sempre tenuto lontano dai boss, quindi sono un testimone, non un collaborante”.
Per lo Stato, Angelo Niceta “è un anonimo cittadino – dice il suo avvocato Rosalba Vitale – che dopo le sue deposizioni si aggira a piedi per la sua città, senza che nessuno si prenda cura della sua incolumità. Noi – prosegue il legale di Niceta – chiediamo l’adeguamento della misura, un giusto equilibrio fra le misure straordinarie di collaboratore di giustizia e il nulla al quale il mio cliente è stato relegato, e un lavoro che possa ridare dignità e serenità a lui e alla sua famiglia”.
Sembra una storia surreale, kafkiana, inventata, eppure è vera. Da un lato un uomo che con le sue dichiarazioni sta riempendo interi faldoni contro la mafia anche al processo Trattativa, dall’altro uno Stato che non lo protegge.
Delle due l’una: o Niceta è “altamente attendibile”, oppure non lo è. Se non lo è, è giusto lasciare le cose come stanno. Se lo è bisogna stabilire le misure per proteggerlo senza perdere tempo.
Il silenzio sa di opacità, specie se per l’ennesima volta deve essere la Società civile a mobilitarsi per portare un caso del genere all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale. Oggi – a sentire gli esponenti del Comitato per Niceta – Angelo non ha neanche una carta d’identità, una residenza e nessun diritto civile. Abbiamo deciso di digiunare perché ad Angelo vengano riconosciuti i suoi sacrosanti diritti”.
Angelo Niceta, che succede?
“Tutt’ora la Procura di Palermo sostiene il mio status di ‘testimone di giustizia’. È incredibile che la Commissione centrale del ministero dell’Interno dia una versione totalmente diversa considerandomi un ‘collaboratore di giustizia’. La cosa più grave è che continuano a nascondermi queste motivazioni dicendo che tutto è coperto dal ‘Segreto di Stato’. Da un anno e sette mesi non posso sapere perché il ministero dell’Interno ha deciso di cambiarmi questo status e quali sono state le motivazioni. Da un anno e sette mesi si contravviene gravemente a qualsiasi norma di diritto-difesa costituzionale da parte di un cittadino. Il fatto paradossale è che questo diritto è stato cancellato dallo Stato nei confronti di un soggetto che aiuta lo Stato”.
Come inizia questa storia?
“Mio zio e i miei cugini avevano necessità di costruire un centro commerciale in una delle proprietà in cui detenevo il 25 per cento, quindi ero un ostacolo: non ero uno di loro, dovevo essere fatto fuori. Viene fatta fallire la società di mio padre e in ventiquattro ore mi viene tolto tutto. Mi hanno distrutto per poi potermi dire: ‘Ti do una mano? Però devi fare quello che diciamo noi’. Mi arrivavano minacce di ogni tipo, ma anche consigli: se sei generoso con la famiglia, la famiglia lo sarà con te, però non ti devi mettere di traverso. Mi sono ribellato raccontando ai magistrati tutto quello che è successo dagli anni ‘80 ai giorni nostri. Si è parlato di tante faccende legate alla famiglia Guttadauro e ai suoi collegamenti con Matteo Messina Denaro. Uno dei figli di Guttadauro, Francesco, è il pupillo del boss di Castelvetrano. Sono tantissime le vicende che ho denunciato, fatti che dimostrano, in molti casi, le pesanti collusioni anche con il mondo politico e con il mondo dei Tribunali”.
Roba pesante.
“Le mie denunce non riguardano un singolo fatto, ma gli ultimi venticinque anni di collusioni tra la mafia, la borghesia mafiosa e le istituzioni. Sono informatissimo perché i Niceta non sono stati semplici prestanome ma sono stati cerniera di collegamento fra un mondo legato al gotha di Cosa nostra e chi gestisce il Patto. Le dichiarazioni che ho fatto a Di Matteo e a Padova sono durate un anno, non si tratta di un paio di pagine di verbale, ma di faldoni pieni di fatti vagliati attentamente”.
Poi che succede?
“La Procura di Palermo mi considera ‘altamente attendibile’ e mi fa rientrare in un programma di protezione come testimone di giustizia. Così vengo portato in una località segreta assieme alla mia famiglia. Mentre sono lì da quindici giorni, il ministero dell’Interno mi notifica il cambiamento di status, da testimone a collaboratore. In quel momento accetto, ma attendo (e lo comunico per iscritto) di tornare alla situazione di prima”.
Perché?
“In cinque minuti (tanto è durata la riunione) la Commissione centrale ha deciso: non ce ne frega niente, noi diciamo che sei un collaboratore. Secondo me si tratta di un deterrente per mie future dichiarazioni, evidentemente vogliono farmi desistere. Di Matteo ha annunciato che potrebbe esserci un processo Trattativa bis sul ‘colpo di Stato’ del 92 e sull’avvento del berlusconismo nel ‘94. Oggi viviamo in un Patto consolidato, un ingranaggio grande e ben oleato”.
Come si sono comportati i giornali?
“I quotidiani siciliani non scrivono nulla di questa storia, sappiamo bene chi sono i proprietari e i soci de ‘La Sicilia’ e del ‘Giornale di Sicilia’. Io per loro non esisto, sono un nome da cancellare, la scheggia impazzita del sistema. La situazione non è migliore neanche a livello nazionale. Solo ‘il Fatto quotidiano’ si è occupato di me”.
Luciano Mirone
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