È morta Nella Giammona, protagonista assieme alla sorella Agnese de “La terra trema”, uno dei primi film del neorealismo girato interamente in dialetto siciliano da Luchino Visconti nel 1947 nel borgo marinaro di Acitrezza, vicino Catania. Nella Giammona aveva ottantasei anni e da tempo era malata. Con lei se ne va un pezzo dell’Acitrezza del mito, di quell’Acitrezza che il regista lombardo volle immortalare attraverso questo capolavoro girato senza attori professionisti e tratto da “I Malavoglia” di Verga.
La incontrai alcuni anni fa, quando per il quotidiano “La Repubblica” andai a intervistarla per un reportage su quella pellicola – che adesso, assieme ad altri tredici film, fa fatto parte del recente libro “Il set delle meraviglie” (L’Informazione editrice) – che l’avrebbe resa immortale. Quella volta la vidi a casa della sorella Agnese, più piccola di lei di alcuni anni, e mi accorsi immediatamente che entrambe erano esattamente come le aveva descritte la stampa del tempo: più estroversa e inquieta Agnese, più saggia e tranquilla Nella, o Nelluccia, come tutti in paese la chiamavano, ma tutt’e due entusiaste di raccontare questa storia che per otto mesi fece sognare gli abitanti di Acitrezza .
Immaginate questo borgo povero e popolato da pescatori che dall’alba al tramonto sono a mare. Siamo subito dopo la guerra, la fame si taglia col coltello ed è la stessa fame che Verga aveva descritto sessant’anni prima col suo romanzo, la fame di quelli che non ce la faranno mai, di quelli che non si riscatteranno dalla loro condizione sociale: perché “i vinti”, secondo la concezione verghiana, sono i derelitti, i condannati alla povertà eterna.
Oggi è cambiato tutto, ma negli anni Quaranta sembrava davvero che le cose dovessero rimanere immutabili. Anche quei paesaggi omerici che rapirono Visconti e lo portarono ad allungare i tempi di lavorazione: “La Sicilia di Verga mi era apparsa davvero l’isola di Ulisse, un’isola di avventure e di fervide passioni”.
Quando Visconti si recò a Trezza si accorse che non solo non era cambiato nulla dai tempi di Verga, ma non era cambiato nulla dai tempi di Omero, i Faraglioni, il lavatoio, la Casa del Nespolo, la scogliera, le colline verdi, le pecore che pascolavano nelle strade, la gente che aveva conservato la semplicità di sempre e non si era fatta contaminare dallo “sviluppo senza progresso” degli anni successivi.
Per questo il regista milanese si innamorò perdutamente di questo luogo. Se fosse dipeso da lui avrebbe dilazionato i tempi di preparazione chissà per quanto. La sera – dopo massacranti ore di lavoro – si sedeva su uno scoglio e osservava le stelle, mentre le barche a vela scivolavano sul mare, la brezza accompagnava un leggero profumo di alghe e i pescatori intonavano i canti dei loro avi. Poesia, ma anche la consapevolezza – colta da un intellettuale raffinato come lui – di avere scoperto una realtà primordiale nella quale l’uomo viveva in simbiosi con le armonie, le asprezze e le ingiustizie della natura. Di tutto questo si conversava nella terrazza di Agnese, mentre quest’ultima sembrava un fiume in piena e Nella pesava con un po’ di flemma le parole.
Tutto cominciò nella primavera del ’47, quando accompagnato dai fedelissimi aiuto registi Franco Zeffirelli e Francesco Rosi (ancora giovanissimi), Visconti si reca in una piccola trattoria situata nella piazza principale. Il locale è quello della famiglia Giammona, padre, madre e tre figlie che il regista guarda dalla testa ai piedi studiandone anche i piccoli movimenti.
“Signor Giammona, sto realizzando un film sulla vita dei pescatori, posso fare recitare le sue figlie?”. “Le mie figlie non perderanno mai l’onore con il cinematografo”. Dopo giorni e giorni di insistenze Alfio Giammona capitola. Le ragazze potranno recitare, a patto che sul set siano accompagnate dalla madre. Agnese che ha tredici anni, interpreterà Lucia, Nelluccia che ne ha sedici, farà Mara. Il problema si presenta quando alla sorella maggiore, Carmelina, di ventisette anni, viene proposta la parte di Nedda, che ad un certo punto deve baciare ‘Ntoni. Su questo i Giammona non transigono e Nedda viene trovata a Catania: si chiama Rosa Costanzo. La difficoltà di reclutare le attrici dura parecchie settimane.
Primo ciak, il 15 ottobre 1947. “Tutto il paese si trasformò in un immenso set. Il primo giorno non lo dimenticherò mai: una folla incredibile, mai vista, neanche nella festa di San Giovanni Battista. Io e mia sorella, per paura, ci nascondemmo: lei nel bagno, io in soffitta. Dopo ore di discussioni Visconti ci convinse, ci prese per mano e ci portò a girare la prima scena in una antica costruzione dove aveva ambientato la Casa del Nespolo”.
Nella e Agnese osservano il mare: “A quel tempo una ragazza che faceva l’attrice era considerata una poco di buono. Immaginate le malelingue… Queste ragazze sono perdute, resteranno per sempre a casa, chi le prenderà in moglie?… Un giornale nazionale raccolse quelle voci, pubblicò le nostre foto, e titolò a caratteri cubitali: ‘Queste sorelle non si sposeranno mai’. In casa successe il finimondo, i nostri genitori ci volevano ritirare dal film, fu Visconti a dissuaderli. A noi diceva sempre: ‘State facendo una cosa bellissima. Un giorno ve ne renderete conto”.
Trascorrono alcune settimane. “Visconti questa pellicola voleva realizzarla a tutti i costi. Si indebitò fino al collo, impegnò perfino l’oro e i gioielli di famiglia, e quando i soldi finirono salì a Roma per cercare un produttore. Trovò Salvo D’Angelo, patron della Universalia. Tornò a Trezza con una equipe di cinquanta persone che ogni giorno mangiavano nella nostra trattoria. Portò cineprese, luci, microfoni sofisticati, e coronò il suo desiderio. Il film fu girato in presa diretta, senza doppiaggio per imprimere alle scene quella patina di realismo desiderata da Visconti”.
Ad Acitrezza, da quel momento, si sogna davvero in grande, viene scritturato quasi tutto il paese. ‘Ntoni (Antonino Arcidiacono, il protagonista del film) percepisce mille lire al giorno, gli altri attori ottocento, le comparse quattrocento.
“Il film allora era visto come un’occasione per sfamare molte famiglie. E siccome le persone scartate non si rassegnavano a morire di fame, disturbavano le riprese soffiando dentro quei conchiglioni che producono quei suoni strani che turbavano il silenzio voluto dal Maestro. Visconti ci rimaneva male. ‘Se volete che smettiamo’, dicevano i disturbatori, ‘ci dovete pagare”.
“Con quelli della troupe, Visconti si arrabbiava di brutto. Rosi e Zeffirelli avevano una gran paura di lui: una volta li trattò malissimo. Con noi era un vero signore, sia sul set che nella vita: provava e riprovava, se qualcosa non gli andava a genio, ci parlava con gentilezza. Grazie a lui riuscivamo a ridere o a piangere con naturalezza. Lui stesso ci suggerì di chiamare il nostro ristorante ‘La terra trema’, ma siccome la pellicola era stato bollata come comunista, mio padre evitò polemiche”.
Nel giugno del 1948, dopo otto mesi e dieci giorni di riprese, viene dato l’ultimo ciak. Al botteghino ‘La terra trema’ batte la fiacca, al Festival di Venezia è un trionfo: il film si aggiudica il Premio Internazionale (il Leone d’oro va all’Amleto con Laurence Oliver) ed entra nel mito.
Quei giovani attori che non hanno mai varcato lo Stretto vivono il loro sogno: “La Universalia ci offrì il viaggio in aereo, noi preferimmo il treno, avevamo paura. Andammo a Venezia con nostra madre. Accaddero delle cose incredibili: macchine con autista, conferenze stampa, giornalisti, fotografi. Con un motoscafo facemmo il giro della laguna e poi entrammo direttamente all’hotel Excelsior. Il giorno della premiazione eravamo con gli attori più famosi del mondo, Ingrid Bergman, Greta Garbo, Anna Magnani. Fummo assaliti dai produttori che ci proponevano di fare altri film. Rifiutammo per paura dei pettegolezzi dei paesani”.
Dopo Venezia, i protagonisti de ‘La terra trema’ tornano al loro paese: gli uomini continuano a stare a mare (anche se qualcuno, negli anni successivi, farà qualche particina nel ‘Gattopardo’ e in ‘Senso’, altri due film di Visconti), le donne sbrigano le faccende di casa. Le sorelle Giammona tornano nel loro ristorante. Da allora il paese è cambiato per sempre: la scogliera ha lasciato il posto al lungomare, la casa del Nespolo è stata demolita, il grande lavatoio è stato distrutto, la collina del famoso bacio fra ‘Ntoni e Nedda, allora piena di viti, di ulivi, di fichidindia, di mandorli, con lo sfondo dell’Etna innevata, è stata riempita dal cemento.
È accaduto ciò che Visconti temeva: “Avvertiva che i tempi stavano cambiando, intimamente sperava che il paese restasse com’era, ingenuo, allegro, primitivo. Non è mai voluto tornare”.
“Molti giornalisti e studenti ancor oggi vengono a intervistarci per degli articoli o per delle tesi di laurea. Ogni volta riviviamo quei momenti stupendi”.
Agnese qualche rimpianto ce l’ha: “Ah, se avessi firmato quei contratti…”. Per Nella va bene così: “Mi sono fatta una famiglia, sono contenta”. Una cosa è certa: “Con questo film siamo entrate nella leggenda. È la cosa più bella che ci potesse capitare”. Ciao Nella. E’ stato bello averti conosciuta.
Luciano Mirone
Güle güle Nella. (mara)