Ieri ho scritto su facebook: “Questa storia delle molestie denunciate con anni di ritardo è semplicemente stucchevole”. Una espressione che riguarda le recenti denunce di alcune attrici contro il produttore americano Harvey Weinstein, colpevole di averle molestate in cambio di una parte. Le denunce si sono propagate negli stessi Stati Uniti (“Disgustoso abuso di potere”, ha detto Meryl Streep), con accuse nei confronti degli attori Dustin Hoffman e Kevin Spacey; in Italia e – in campo politico – anche in Gran Bretagna dove un ministro si è dimesso per molestie sessuali nei confronti di donne che fanno parte di quel contesto.
Il post ha attirato diversi “mi piace” e suscitato una serie di commenti favorevoli, ma una frase di poche righe non può esaurire una tematica così vasta, e la metafora di cui è pervasa, se non vengono spiegati i percorsi mentali che hanno portato a scriverla.
Dunque oggi, finalmente, vengono denunciate certe aberrazioni. Un fatto nobile, se non fosse per qualche “piccolo” particolare. Gli addebiti non riguardano quello che è successo mezz’ora fa nella stanza del produttore (o del regista), dove le attrici hanno assestato uno sganassone al molestatore, hanno alzato i tacchi, sono uscite sbattendo la porta e, indignate, hanno bussato a quella della Polizia per presentare un esposto. No, si riferiscono a quello che è successo anni addietro, per qualcuna addirittura decenni, quando tutti facevano finta di non sapere, al punto che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato: “Conosco Weinstein da tempo e la situazione in cui si trova non mi sorprende affatto”.
Ora, se è vero che il caso di un’attrice è diverso da un altro (e quindi è consigliabile non generalizzare), è anche vero che molte di queste nel frattempo hanno fatto carriera, sia per le parti da protagonista assegnate loro dallo stesso produttore, sia attraverso altri produttori altrettanto potenti che evidentemente col mondo perverso, cinico e depravato di Hollywood – di cui adesso hanno orrore – non hanno niente a che fare. Oggi costoro si sono riprese dall’amnesia e finalmente hanno vuotato il sacco. Bellissimo, straordinario, ma contrassegnato da parecchi dubbi.
Weinstein è l’unico colpevole in un sistema in cui il sesso (e non solo) è la merce di scambio con cui la maggior parte di queste attrici ha fatto i conti? Perché i “disgustosi abusi di potere” non sono stati denunciati subito? Non sapevano, le protagoniste di queste denunce, in quale schifo si stavano cacciando quando hanno mosso i primi passi?
Non tutte le attrici di Hollywood hanno accettato determinati compromessi, certamente, ma quante di queste non possono essere tacciate di ipocrisia? La verità è che molte, fra la carriera e la dignità, hanno preferito la carriera, pur sapendo qual era il prezzo da pagare, anche perché nel luogo opulento in cui vivono non è che un lavoro onesto e ben retribuito non avrebbero potuto permetterselo. Hanno preferito l’altra strada, perché la dignità – in tutti i campi e in tutte le professioni – impone sempre una rinuncia, un sacrificio, una sofferenza (un prezzo che attrici bravissime hanno pagato rinunciando a certe parti e perfino alla carriera), mentre il compromesso apre le porte al denaro e al successo. Queste signore non solo hanno accettato il compromesso, diventando complici di quel sistema di cui parla la Streep, ma (ora) hanno pure creato il capro espiatorio: non costa niente, salva la coscienza e assolve il mondo corrotto di cui fanno parte.
È un modello micidiale, perché porta molte donne a seguire quell’esempio. I casi non mancano neanche in Italia. Oggi per esempio la Trevisan accusa Tornatore per una presunta molestia “non accettata” all’epoca della “Leggenda del pianista sull’oceano”, vent’anni fa. Denuncia sacrosanta, purché tempestiva e supportata da prove. Così no, è un’aberrazione.
È un modello che esiste da quando esiste l’uomo, perché si annida laddove ci sono potere e denaro. Vogliamo ricordare le gesta machiste di Benito Mussolini e di Silvio Berlusconi, con i genitori delle ragazzine (nel secondo caso) che spingevano le loro figlie a dare di più per ottenere di più?
Ecco perché considero “stucchevoli” certe denunce fatte a scoppio (molto) ritardato da artiste che finora non hanno visto né sentito niente, e non hanno parlato. Ora, a carriera consolidata, gridano allo scandalo.
Stucchevoli come quelle persone che (per reazione al maschilismo aberrante dei secoli passati) vengono folgorate – specie l’otto marzo – da un femminismo altrettanto aberrante sostenendo una presunta superiorità della donna rispetto all’uomo. Cazzate. Nessuno è superiore o inferiore a un altro, uomo o donna, bianco o nero, ricco o povero, colto o analfabeta, per la semplice ragione che il Padreterno ci ha creati tutti uguali. Tutto dipende da quella parola, dignità, che ognuno di noi può decidere di utilizzare o di cancellare dalla pagina della propria vita, come avvenne ad una ragazzina di sedici anni di nome Franca Viola. Era di Alcamo, in Sicilia. Correvano gli anni Cinquanta. Leggiamola e magari poi ne riparliamo.
Luciano Mirone
Caro Luciano, tutto vero, ciò che riporti nella sequenza, ma è altrettanto vero che 20 anni fa, o anche soltanto 10 anni fa, la “civiltà” globale doveva misurarsi con stereotipi e pregiudizi trancianti rispetto alle relazioni sociali tra uomini e donne. Ancora oggi, recarsi dai carabinieri o in questura, per denunciare molestie e stupri, si corre il rischio di incappare in alcune sordità croniche che non favoriscono le situazioni di disagio o di danno subito. Essere attrice in cerca di fama o essere un’anonima casalinga non cambia di un millimetro l’abuso eventualmente subito da entrambe e poco importa se dopo gli abusi ci sono stati vantaggi di carriera. L’abuso in sé è e resta un abuso, ovvero una dilatazione abnorme di potere che agli uomini non deve essere consentito di esercitare, perché dire che la denuncia ritardataria è “stucchevole” equivale a dire ” se l’è andata a cercare”. Ogni abuso subito lascia tracce indelebili, invisibili e devastanti malgrado le carriere e i successi eventualmente conseguiti da parte delle abusate. Un caro saluto
Cara Amelia, l’abuso in sé resta un abuso, non si sono dubbi, ma permettimi di non essere d’accordo su alcuni passaggi del tuo intervento. Un abbraccio.