Giovanni Grasso fa il musicista ed è il nipote del “più grande attore tragico del mondo”. Dunque Giovanni Grasso “il musicista” – stesso nome del nonno paterno – è uno dei più grandi depositari di memorie riguardanti il Giovanni Grasso “attore”. Il quale nei primi tre decenni del Novecento fece impazzire i teatri di tutto il mondo recitando in siciliano le opere di Verga, di Capuana, di D’Annunzio e di tanti altri autori (anche stranieri) tradotti appositamente per lui. E non sapeva né leggere né scrivere.
Incontriamo il musicista a Catania e facciamo con lui lo stesso itinerario che all’inizio del secolo scorso soleva percorrere l’attore, quando era libero dalle tournée. Catania allora era bellissima non essendo stata invasa dal cemento e dalle macchine: per strada i poeti e i cantastorie declamavano i loro versi e la sera gli attori si esibivano nei tanti teatri della città (da poco era stato inaugurato il “Bellini”), la via Etnea brulicava di gente, poveri e aristocratici si davano convegno in questo straordinario luogo barocco ricostruito dopo il terremoto del 1693, dove c’era il piacere di stare insieme a prescindere dallo stato sociale. Si passeggiava fra piazza Duomo, piazza Università e villa Bellini e si faceva tappa al teatro Sangiorgi, mentre lo scalpiccio dei cavalli scandiva il passaggio delle carrozze e da una di queste scendeva Giovanni Grasso con le medaglie appuntate al petto ottenute nei palcoscenici di tutto il mondo, e la gente lo acclamava: “Ossabinirìca commentadore”. E lui: “Addiu figghiu”. Con Giovanni facciamo le stesse strade chiacchierando per ore.
Come può un artista che si esprime in una lingua assolutamente sconosciuta farsi osannare perfino dallo zar che, in occasione della tournée in Russia, gli regala una parte dei suoi gioielli? Come può il direttore del Colon di Buenos Aires onorare Grasso decidendo di dedicargli un mezzo busto all’ingresso del teatro? Come può il fondatore dell’Actor’s Studio di New York, Lee Strasberg, fra una lezione e l’altra, parlare entusiasticamente di Grasso ad artisti come Robert De Niro, Al Pacino, Dustin Hoffman, Marlon Brando, Marylin Monroe?
È un mistero. Da quando l’attore catanese è morto nel sonno a soli cinquantasei anni (1930) per una malattia che aveva colpito le sue preziose corde vocali (immaginate il dramma di questo “mostro sacro” del teatro che utilizzava la voce come possente mezzo espressivo fin da bambino con l’opera dei pupi), di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta. E l’acqua, in Italia, in poco tempo cancella anche le cose più belle, figuriamoci a distanza di quasi un secolo. Però è bene che si sappia quanto di fantastico e di magico sia accaduto un tempo nella remota Sicilia. È bene che si sappia che la raccolta delle figurine di allora non riguardava i calciatori, ma gli attori, i più grandi: assieme a Rodolfo Valentino, Charlie Chaplin, Buster Keaton e tanti altri, c’era Giovanni Grasso. Questo per dare l’idea. “E’ vero che mio nonno diventò famoso col teatro, ma credo che la grande notorietà arrivò col cinema”.
Il cinema muto di inizio Novecento, affermatosi in tutto il mondo grazie soprattutto ai divi americani. Contemporaneamente a Catania questo sogno si materializzò con tre case cinematografiche. Tre case nelle quali degli imprenditori catanesi investirono i loro capitali. Artefice di questo movimento è Nino Martoglio, commediografo, giornalista, regista teatrale e cinematografico, “mente” raffinatissima di un fermento che travalica i confini nazionali e si afferma a livello internazionale. Un particolare, quello che riguarda il rapporto fra Grasso e il cinema, che apre scenari nuovi per chi è convinto che “l’attore tragico più grande del mondo” sia diventato famoso “solo” attraverso il teatro.
“Martoglio fu il perno di quel manipolo di scapigliati. Fu lui a scoprire mio nonno, Angelo Musco, Totò Majorana, Salvatore Lo Turco, Marinella Bragaglia, Virginia Balistrieri, Mimì Aguglia. Fu lui a lanciarli, anche se per certi periodi ognuno avrebbe percorso la sua strada. Martoglio ebbe la geniale intuizione di scegliere mio nonno come protagonista del suo film più importante, Sperduti nel buio (tratto dal romanzo di Roberto Bracco, di cui il Belpassese curò la regia e il montaggio, ndr), nel quale interpretò la parte del cieco”. Basta leggere l’ampia bibliografia dedicata a questa pellicola (definita “un capolavoro” da molti critici di allora e da quelli successivi) per rendersi conto dei fervori che attraversavano il movimento cinematografico della Catania di allora.
“Grazie a Sperduti nel buio mio nonno sale sull’olimpo della cinematografia e viene conosciuto in modo più capillare in tutto il mondo. Prima e dopo egli realizzò diversi altri film (fra gli altri ricordiamo Un amore selvaggio, Capitan Blanco, Morte civile, Cavalleria rusticana, ndr). Purtroppo non è rimasta alcuna pellicola: una parte fu razziata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale (come molte altre opere d’arte), un’altra si bruciò nel 1957 all’interno del Centro sperimentale di cinematografia dove erano depositate. Sono rimasti solo dei brevi spezzoni. È come se Sperduti nel buio si fosse davvero perduto nel buio”. Ecco perché probabilmente un “colosso” come Giovanni Grasso non è ricordato come merita. “Una cosa è certa”, aggiunge Giovanni. “Rossellini, Visconti e De Sica, trent’anni dopo, si sarebbero ispirati a Sperduti nel buio per inventare il neo realismo”.
Facciamo una pausa, mentre passeggiamo ancora lungo la via Etnea, poi lui dice: “E’ importante approfondire l’aspetto cinematografico (finora esplorato da pochi) per capire l’evoluzione di Giovanni Grasso”.
Ma poi la conversazione scivola inevitabilmente sul luogo maggiormente frequentato dall’attore: il teatro. “Dato che recitava in siciliano, mio nonno aveva bisogno di spiegare con altri mezzi l’espressività del testo: usava la mimica e la mobilità del corpo in modo straordinario: sul palcoscenico correva, afferrava gli oggetti, li lanciava, imprimeva ritmo alla scena. A restare impressionato dal suo modo di recitare fu il grande regista e attore russo Konstantin Sergeevič Stanislavskij. Tutto il teatro successivo è basato sul ritmo e nasce dall’esperienza di mio nonno: comunicare, attraverso la gestualità l’affetto, il sentimento e la passione dei personaggi”.
Possiamo dire che Grasso rivoluzionò il teatro? “Fu uno degli artefici “. Una rivoluzione compiuta da un analfabeta e ripresa da Stanislavskij che inventa il “metodo”, un “sistema di recitazione basato sulla reviviscenza”. Ovvero? “Noi abbiamo delle passioni”, dice Giovanni. “Stanislavskij fa un’analisi delle passioni consce e inconsce. L’attore, se usa l’inconscio, può avere delle immedesimazioni. Il regista russo lo capì tramite Giovanni Grasso. Diceva che sulla scena bisogna far riemergere una passione dal passato, eliminando la routine. Esempio: se Ermete Zacconi fa cento rappresentazioni di Cavalleria rusticana, alla fine è chiaro che perde smalto. Se invece c’è una forma di immedesimazione e si rivivono certe passioni antiche, l’attore si stanca meno e risulta molto più efficace: la sensazione che prova deve essere analoga e verosimile a quelle dei personaggi che interpreta”.
La passeggiata continua. Adesso passiamo dal teatrino Machiavelli di via Ogninella (una traversina di piazza Università), dove il grande attore, alla fine dell’Ottocento, mosse i primi passi nell’Opera dei pupi del padre Angelo. Lì c’era il palcoscenico, lì l’ingresso, lì il posto dove ogni sera si sedeva donna Ciccia (madre dell’attore), lì la sala sempre affollata di pescivendoli, merciaioli, tappezzieri, falegnami e studenti.
E Strasberg? “Basta leggere il libro di Enzo e Sarah Zappulla, dal titolo Giovanni Grasso, l’attore tragico più grande del mondo, per capire che il fondatore dell’Actor’s Studio quella frase la pronunciò veramente. Strasberg fu uno dei primi ad attuare il sistema Stanislavskij nel cinema e nel teatro. Lui disse di aver visto recitare mio nonno quando era giovane”.
Da uno a cento, quanto è stato scoperto finora su Giovanni Grasso? Il nipote non ha tentennamenti: “Uno. Pochi si sono resi conto della sua reale grandezza. A livello teatrale mio nonno recitava nelle grandi capitali. Nel 1908 fece Brooklyn, Città del Messico, l’Avana, San Paolo e Buenos Aires, ma io credo che la fama, al pari di quella che contemporaneamente poteva avere Rodolfo Valentino, la ottenne attraverso il cinema. Chi diede fama a Rodolfo Valentino? Il cinema. E se mio nonno era raffigurato nelle cartoline e negli album dell’epoca, è chiaro che nei Paesi più sperduti lo conoscevano per mezzo dei film”.
Giovanni, quanti anni aveva tuo padre quando morì tuo nonno? “Nove”. Cosa ti raccontava? “Piccole cose. Mio nonno non stava mai a Catania, era sempre in tournée”. Che carattere aveva? “Era un uomo molto affettuoso, legato alla famiglia. Uno che a ventinove anni raggiunge una fama mondiale e che in un ventennio percorre i teatri più prestigiosi, a un certo punto rimane senza voce e muore a cinquantasei anni. Secondo me lui non regge questa cosa e vive un dramma interiore fortissimo . Due anni prima della morte era stato colpito da un ictus. Ma ogni mattina, quando era a Catania, si portava a pesseggio mio papà, soprattutto al Sangiorgi, e quando tornava a casa raccontava con entusiasmo la reazione della gente. Le foto del funerale di mio nonno ritraggono una Catania stracolma di gente. Una scena maestosa”.
Luciano Mirone
3^ puntata. Continua
Gentile Sig.Mirone, le sono riconoscente per il bel ricordo che ha scritto su mio nonno, ma mi ha disturbato il fatto che lei lo descrive come “analfabeta”e non so da dove abbia preso questa notizia e lo ribadisce più volte. Mio nonno non solo sapeva scrivere, ma aveva anche una bellissima calligrafia, prova ne sono le lettere di cui siamo in possesso, è risaputo che ha anche scritto e messo in scena il, tanto criticato, continuo di cavalleria rusticana. Certa che correggerá la falsa notizia, la ringrazio nuovamente per il bel ricordo Marina Grasso (sorella di Giovanni)
Gent.ma Sig.ra Grasso,
c’è stato un equivoco scaturito dall’intervista con Giovanni (di cui finora è stata pubblicata solo la prima parte). Nella seconda parte, alla domanda, “che titolo di studi aveva tuo nonno?”, Giovanni ha risposto: “Non credo che avesse titolo di studi”, aggiungendo: “Ma non è questo… E’ difficile rispondere a questa domanda col senno di oggi, con la mentalità scolastica che abbiamo acquisito oltre cento anni dopo”. E poi: “Mio nonno era acculturato, la sua fortuna non era solo quella di sapere recitare, ma anche quella di sapersi confrontare con gli attori e gli intellettuali del tempo”. Una frase, quest’ultima, che si collega con quanto scritto nella Sua mail, ma che – non essendo stata ancora sbobinata – era stata del tutto dimenticata dal sottoscritto, considerato che si è lavorato su circa un’ora e mezza di intervista. Comunque mi scuso con Lei, con gli altri familiari e con i lettori (l.m.).
Grazie Luciano! Interessantissimo scritto(come tutti gli altri tuoi).
Mia nonna era parente di Giovanni Grasso, credo fosse suo zio, e mia madre mi raccontava che gliene parlava, gli diceva che era un grande attore, che aveva viaggiato molto ed era stato anche dallo Zar…ma la meraviglia di mia madre era proprio il fatto che non veniva ricordato sufficientemente…mi fa piacere quando se ne parla…grazie
Negli anni passati a Milano ho frequentato alcune scuole di teatro, seguito seminari con diversi maestri di teatro. Tra i metodi d’insegnamento tra i molti, ci si rifaceva a Strasberg e Stanislavskji, a Grotowsky e Leqoc, Mayerlchold, Marceau si citava Tati e altri vari personaggi dell’epoca! Ma non ricordo di aver sentito citare il nome di questo grande del teatro che fu Giovanni Grasso! Ho letto diversi libri di teatro e sulla storia del teatro. Forse non ne ricordo io. Mi farebbe piacere avere indicazioni su quale pubblicazione se ne parla! Alcuni medi fa con dei parenti che abitano a Catania, passeggiavo per via Etnea. La prossima volta lo farò ricordandomi di Grasso e della sua grandezza! Intanto, l’aver letto questo suo articolo mi ha riempito di gioia, e mi ha fatto risentire il profumo del palcoscenico! Grazie mille Claudio
È uscito un bellissimo lobro sull’arte di mio nonno a cura del Professor Gabriele Sofia di seguito il link dove ritirarlo:
https://www.bulzoni.it/it/catalogo/l-arte-di-giovanni-grasso.html
Grazie dott Mirone, per avermi fatto conoscere e rivivere i fermenti culturali che animavano la Catania dei primi decenni del Novecento.
Grandi scrittori, poeti, artisti conosciuti in tutto il mondo che a Catania sono nati e si sono formati
Un orgoglio per la Sicilia e per l’Italia..
Tutta la mia stima per il Movimento culturale di cui
è l’anima
Sono molto contenta di aver trovato e letto questa interessante intervista. Sto lavorando a una tesi di magistrale sul teatro dialettale di Pirandello e, oltre ad aver fatto ricerche sul comico Angelo Musco, ho letto anche delle curiose ed entusiastiche recensioni sul grande Giovanni Grasso. Le parole del nipote Giovanni mi hanno fatto conoscere importanti verità sull’attore, come ad esempio l’aver dato spunto allo Stanislavskij di approntare la sua riforma del teatro basandosi proprio sull’espressività e sulla imponente presenza scenica del “più grande tragico del mondo”!
Gentilissimi discendenti dei grandissimi Giovanni Grasso, senior e junior, (come diceva mio nonno). Discendo lato paterno, da due famose famiglie di pupanti napoletani: Buonandi e Verbale. I Buonandi, quattro fratelli capostipiti (Filippo, Luigi, Pasquale e Domenico, anche proprietario del Piccolo San Carlino) che, prima di avere dei propri teatri, hanno tutti lavorato con Giovanni De Simone allo “Stella Cecere” in particolare Filippo, il più grande, che aveva conosciuto Don Giovanni Grasso Senior. Il mio bisnonno, Francesco Verbale, aveva sposato Maria Buonandi, figlia di Filippo, e ha esordito come primo attor giovane allo Stella Cerere, dove è rimasto per alcuni anni con Giovanni De Simone, prima di scrivere la famosa storia napoletana di “Tore ‘e Criscienzo” (Salvatore De Crescenzo) e aprire un proprio teatro a Montesanto dove è rimasto sino al 1931 e, pare, incontrato Don Giovanni Grasso Junior. Attualmente sto cercando di ricostruire la storia di entrambe le famiglie, e ho una grandissima curiosità: è vero o una leggenda (come sosteneva Nino Martoglio) che Don Giovanni senior sosteneva che l’opera dei pupi ha avuto origine a Napoli? Grazie è complimenti alle vostre famiglie.