Dunque il precedente governo a guida Pd toglie la scorta all’ex Pm Antonio Ingroia e il nuovo a guida Lega-5S lascia che il provvedimento si compia senza porsi il problema di revocare una decisione presa a maggio – quindi a fine mandato – dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti. Il quale, evidentemente, ha dimenticato il livello di rischio cui è sottoposto l’ex magistrato. Certo, il provvedimento è stato adottato da poco, quindi per il nuovo ministro Matteo Salvini vogliamo pensare che il tempo sia stato talmente insufficiente per correre ai ripari, ma non si può consentire un minuto in più che l’ex Pm giri per il mondo come un qualsiasi cittadino.
Una decisione stranissima, quella di Minniti, colto evidentemente da improvvisa amnesia sui processi istruiti da Ingroia negli ultimi decenni, a cominciare dal processo Trattativa Stato-mafia, per passare al processo Dell’Utri, per passare poi al processo Rostagno (tanto per citarne alcuni): dibattimenti conclusi con delle significative condanne (gli ultimi due con sentenze definitive; il primo giunto ancora al primo grado di giudizio), specie per il coinvolgimento di pezzi importanti delle istituzioni.
È chiaro che bisogna aspettare le spiegazioni dell’ex titolare del Viminale per dare un giudizio definitivo, ma siccome la politica vive di segnali, il segnale lanciato a maggio appare inquietante.
Inquietante perché arrivato subito dopo la sentenza “storica” del processo Trattativa, nel quale lo scorso 20 aprile – quindi pochi giorni prima – la Corte di Assise di Palermo ha condannato gli imputati eccellenti Marcello Dell’Utri a dodici anni di reclusione , Mario Mori (idem), Antonio Subranni (idem) e Giuseppe De Donno (a otto), oltre ai capi di Cosa nostra Leoluca Bagarella (ventotto) e Antonino Cinà (dodici), nonché il super testimone Massimo Ciancimino a otto (ma solo per calunnia nei confronti dell’ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro).
Inquietante perché arrivato in un momento in cui Ingroia appare oggettivamente indebolito da alcune “ingenuità” (non sapremmo definirle diversamente) commesse dopo aver sbattuto la porta della magistratura ed aver intrapreso la strada della politica e dell’impegno civile. Ingenuità – per fare qualche esempio – riconducibili al fatto di essersi affiancato all’ex governatore della Sicilia Rosario Crocetta, e all’inchiesta per peculato scattata nei suoi confronti per il periodo in cui è stato amministratore di Sicilia e-Servizi. Su queste vicende, questo giornale – pur col rispetto, la stima e l’affetto che il personaggio merita – si è soffermato anche attraverso dei consigli bonari che si è permesso di rivolgere all’interessato, convinto sia dell’assoluta buona fede, ma soprattutto riconoscente per quello che l’ex Pm ha fatto per il Paese.
La stessa riconoscenza ci saremmo aspettati da parte del ministro e del governo passati. “Ingroia corre un rischio gravissimo”, ha dichiarato il suo ex collega Nino Di Matteo, Pubblico ministro del processo Trattativa, che con Ingroia ha lavorato per tanti anni.
La stessa riconoscenza ci aspettiamo, ora e subito, dall’attuale ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e dall’intera compagine governativa che ai primi punti del “contratto” ha messo la lotta alla mafia.
Luciano Mirone
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