Se qualcuno aveva ancora qualche dubbio, eccolo servito con un Taormina Film Festival caratterizzato dalle grandi presenze di Rupert Everett, Richard Dreyfuss, Matthew Modine, Michele Placido, Maria Grazia Cucinotta, Monica Guerritore, ma anche di emozioni, di novità, di cinema e di documentari d’autore, e soprattutto di prospettive.
La serata finale della 64^ edizione – presentata da Salvo la Rosa, diretta da Silvia Bizio e Gianvito Casadonte e organizzata in soli venti giorni da Videobank, donde la definizione di “Festival dei miracoli” – si chiude in bellezza, specie se si tiene conto del messaggio che dal palco lancia il nuovo sindaco di Taormina, Mario Bolognari, al governatore della Sicilia Nello Musumeci e al collega di Messina, Cateno De Luca: “Chiedo – dice Bolognari – di stipulare un patto d’onore: riportare il Festival agli antichi splendori. Questo deve essere l’inizio di un nuovo giorno”. Messaggio recepito, stando alle parole dei principali interlocutori (Musumeci era assente ed è stato sostituito dall’assessore regionale alla Cultura, Sandro Pappalardo) che, assieme al sindaco della Perla dello Jonio, fanno parte della Fondazione Taormina Arte, di cui la rassegna cinematografica è figlia. “Non dovete ringraziarci – dice l’assessore regionale – , siamo noi a ringraziare voi”. Il riferimento è a Videobank, la società di Belpasso, leader nel mondo per la produzione video, che quest’anno ha allestito la rassegna, con opzione per la prossima edizione.
Una serata caratterizzata dall’impegno civile misto a quel pizzico di sana mondanità, che in un festival cinematografico, per giunta organizzato in una splendida cornice come il Teatro greco-romano (in cui la grande Monica Vitti che campeggia nei manifesti di questa edizione, era di casa), è ingrediente essenziale per ravvivare i messaggi universali. Specie in una calda sera di luglio, resa dolce dalle musiche della gloriosa Orchestra a plettro di Taormina, fino a diversi anni fa diretta dal mitico Chico Scimone.
Messaggi indirizzati ai migranti, ai poveri, ai diversamente abili, alle vittime del bullismo, alle donne vittime di violenza cui i film proiettati nel corso della settimana sono stati dedicati. E a proposito di donne, bisogna anche dire che questo è stato il “loro” festival. Basta vedere la giuria che ha assegnato i premi, composta da Maria Grazia Cucinotta, Martha De Laurentiis, Eleonora Granata, Donatella Palermo e Adriana Chiesa. Tutte si sono soffermate sul compito del cinema “finalizzato a raccontare storie come queste”, o, come ha sintetizzato efficacemente la protagonista de “Il postino”, “Il cinema deve essere contenitore di gentilezza attorno alla diversità e deve dare voce a chi non ce l’ha”.
Applausi intensi, sia dalla cavea piena di attori, di registi, di produttori, di sceneggiatori, di scenografi, di costumisti, di giornalisti, sia dalle gradinate. Gli stessi riservati a Pietro Bartòlo (premio Angelo D’Arrigo), il medico di Lampedusa che ha salvato centinaia di migranti dopo un estenuante viaggio della speranza: “Condivido questo premio con i lampedusani, un popolo straordinario che accoglie persone. Persone. Non numeri”.
D’accordo Paola Ferrari, popolare conduttrice di tante trasmissioni televisive, a cominciare dalla “Domenica sportiva”, che ha consegnato il premio “Ferrari-De Benedetti” al film di Alfredo Lo Piero, “La libertà non deve cadere in mare”. Un titolo che dice tutto e che la stessa Ferrari ha spiegato dal palco con la consueta energia, ricevendo ampi consensi da parte del pubblico.
Se il termometro di una Nazione si dovesse misurare dall’intensità degli applausi registrati ieri sera al Teatro antico di Taormina, dovremmo cominciare a dire che il razzismo degli italiani è meno drammatico di come viene dipinto. Il gradimento che ha accompagnato parole come solidarietà, accoglienza, aiuto, abbracci, sorrisi, danno l’idea, forse, di un Paese – ma non solo, poiché ieri sera era presente gente di tutto il mondo – che su certi argomenti si dimostra più sensibile di quanto appaia.
Molto sensibile, sicuramente. Anche quando Tony Sperandeo, famoso per le decine di film in cui ha impersonato la parte del poliziotto e del mafioso (“Ma possibile che vengo ricordato solo quando faccio il mafioso?”), ha recitato il bellissimo monologo su Falcone e Borsellino (da poco si sono concluse le commemorazioni per il ventiseiesimo anniversario della strage di Capaci e di via D’Amelio), in cui l’attore palermitano ha spazzato via certa retorica anti mafiosa che affiora soprattutto durante le commemorazioni. Sperandeo ha immaginato i due magistrati in paradiso intervistati da un giornalista: “La tragedia si è trasformata in farsa. E noi non vogliamo essere commemorati fino a quando non si sapranno le verità sulle stragi degli anni Novanta e sulle morti degli agenti delle scorte”. Commozione del pubblico e, anche in questo caso, applausi scroscianti.
Poi le star. Italiane e straniere. Sulla stessa lunghezza d’onda degli interventi precedenti, ma con delle note autobiografiche in più – vista l’ampia popolarità di cui godono – e qualche intervento che, in certi momenti, prende le colorazioni del monologo appassionante che emoziona il pubblico. Come nel caso di Rupert Everett (grandi pellicole come “Il matrimonio del mio migliore amico”, “Ballando con uno sconosciuto”, “Cronaca di una morte annunciata”), premiato come migliore attore e miglior regista per il suo film sulla storia di Oscar Wilde nei giorni dell’esilio dopo la condanna per omosessualità inflittagli in Inghilterra: “Wilde era un personaggio straordinario e attualissimo. Sono commosso di ricevere questo premio a Taormina, dove lo scrittore irlandese soggiornò per un periodo. Ma sono felice di essere in questo teatro che è il simbolo dell’antichità”. E in un momento di particolare ispirazione mostra i mattoni del teatro: “Li vedete questi mattoni? Sono stati portati fin qui per celebrare la bellezza e la cultura di una terra straordinaria”.
O come Richard Dreyfuss ( “American graffiti”, “Lo squalo”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo”), che nel 1977, ancora giovanissimo, ottenne l’Oscar con “The goodbay girl” come migliore attore. “Malgrado sia stato diretto da grandi registi come Spielberg e Stone (tanto per citarne alcuni), mi sono sempre ispirato al cinema italiano. Fino agli anni Sessanta, il vostro cinema è stato il migliore del mondo, con i suoi registi, i suoi attori e la sua poesia”.
E Mattew Modine, che parla della sua “vita precedente”, vissuta nel “fantastico drive-in di mio padre, una sorta di nuovo cinema paradiso della mia infanzia”, e poi l’esperienza di chef , “che mi è servita per mantenermi agli studi all’Actor’s Studio di New York”, la scuola fondata dal famoso regista Lee Strasberg, servita a Modine per recitare successivamente con registi come Alan Parker (“Le ali della libertà”), Stanley Kubric (“Full metal jacket”) e Alan J. Pakula (“Un ostaggio di riguardo”).
Applaudita Monica Guerritore, grande carriera in cinema e in teatro. Basta ricordare L’Amleto”, che la vide nei panni di Ofelia al teatro antico di Taormina, “La lupa” di Verga, nella quale mise in mostra tutta la sua carica espressiva, o tantissimi altri lavori realizzati sul palcoscenico e dietro la macchina da presa (da ricordare, tra gli altri, “Amanti e segreti” e Un giorno perfetto”). Oggi Monica annuncia il prossimo progetto cinematografico: “Il delitto Trigona”, una storia ambientata nella Sicilia di inizio Novecento, “che Andrea Camilleri mi ha convinto ad interpretare”.
Quindi Michele Placido, premio alla carriera come attore a regista, “spesso considerato siciliano (anche se non sono nato in Sicilia), per la grande passione con cui vivo il rapporto con questa terra”. Placido presenta il suo nuovo lavoro, un film su Caravaggio (titolo: “La banda Caravaggio”), “di cui mi ha colpito il temperamento e la follia”. “Sarà – dice Placido – una pellicola ambientata in buona parte in Sicilia, fra Messina e Siracusa, dove sono conservate delle bellissime opere del pittore lombardo. Un film che voglio realizzare in mezzo alla gente, quella povera, quella diseredata, perché Caravaggio nella pittura, come Pasolini nella letteratura e nel cinema, trovava ispirazione nel descrivere l’anima della povera gente”.
Una serata presentata da Salvo La Rosa con garbo, simpatia e ritmo, malgrado qualche problema tecnico con i microfoni (“Per farvi capire le difficoltà, va detto che non abbiamo fatto una sola prova: tutto si è giocato sull’improvvisazione”). Prova riuscitissima.
Un cenno particolare meritano i direttori artistici Silvia Bizio e Gianvito Casadonte e i “patron” di Videobank, il general manager Lino Chiechio e l’amministratore unico Maria Guardia Pappalardo – su cui è poggiata l’intera organizzazione del festival – per questo “miracolo” allestito in pochissimo tempo: “Quando nelle scorse settimane – svela Casadonte – Chiechio mi ha chiamato per organizzare la rassegna, gli ho detto: ‘Ma Lino, abbiamo solo venti giorni’. E lui: ‘Quaranta’. ‘Quaranta?’. ‘Certo, venti di giorno e venti di notte”.
Luciano Mirone
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