La motivazione della sentenza del processo Trattativa arriva nel giorno del ventiseiesimo anniversario della strage di via D’Amelio, a novanta giorni dal verdetto che lo scorso 20 aprile vide la condanna di consistenti pezzi dello Stato come Marcello Dell’Utri (12 anni di reclusione), fondatore di Forza Italia e collaboratore principale dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi; Mario Mori, Antonio Subranni (12 anni), e Giuseppe De Donno (8), altissimi ufficiali del Ros dei carabinieri; Antonino Cinà (12), medico di Totò Riina; Leoluca Bagarella (28), boss del clan corleonese e cognato di Totò Riina; e Massimo Ciancimino (8) per calunnia nei confronti dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro.
Un record, secondo molti. Ma a prescindere da ciò, questa motivazione di 5mila pagine depositata in un giorno come questo, è un atto di memoria e di affetto verso un magistrato che ha perso la vita per i motivi che stanno alla base di un processo che ha messo alla sbarra importanti pezzi delle istituzioni e di Cosa nostra per fermare le stragi e un omicidio politico che all’inizio degli anni Novanta stavano insanguinando il nostro Paese, come il delitto dell’europarlamentare Salvo Lima – proconsole di Andreotti in Sicilia – commesso per vendicare le pesanti condanne inflitte al maxi processo contro la mafia.
Un dibattimento, quello sul processo Trattativa – giudice Alfredo Montalto; Pubblici ministeri Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia – durato quasi cinque anni con più di duecento udienze e cinque giorni di camera di consiglio. Ripercorre gli ultimi decenni della torbida storia italiana. la fine della Prima Repubblica, il passaggio alla Seconda, il momento delle stragi, la trattativa per porre fine alle stesse, il dramma umano di Paolo Borsellino che negli ultimi giorni della sua vita aveva capito il gioco perverso e per questo è stato fatto a pezzi in via D’Amelio assieme agli agenti della sua scorta.
Luciano Mirone
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