Il governatore della Sicilia Nello Musumeci si confessa all’Espresso e, pur ammettendo di essere “fascista” (“ma con una cultura che si ispira a Giorgio Almirante”), spiega perché la “sua” destra “è differente” dalle altre, con implicito riferimento a quella salviniana, della quale, comunque, lui resta il maggiore interlocutore politico. Tre i punti che abbiamo colto dal pezzo di Stefania Rossini: l’umanità del personaggio, l’abilità di smarcarsi dagli argomenti più insidiosi, il suo futuro politico.
L’umanità del personaggio si coglie a piene mani, come se la giornalista di una testata non certo tenera con la destra fosse rimasta colpita da questo “fascista gentiluomo” (così lo definisce), “signore siciliano elegante e asciutto, composto e cerimonioso, con una sicurezza di sé e del proprio ruolo che gli viene da una esperienza politica di quasi cinquant’anni”.
“Da fascista sempre dichiarato – scrive l’Espresso – ha attraversato la prima e la seconda Repubblica, passando senza danni di immagine da Almirante a Fini, a Storace, fino alla costruzione di un personale movimento di destra che, già dal nome, ‘Diventerà bellissima’, vuole evocare Paolo Borsellino e la Sicilia migliore”.
Ma è quando la cronista gli domanda, “Presidente, mi permette di chiederle qualcosa anche sulla tragedia che l’ha travolta cinque anni fa: la morte di suo figlio Giuseppe”, che la conversazione raggiunge un momento emotivo molto intenso. “La prego no, non ce la faccio. Mi sono rialzato e la politica è stato il mio grande sostegno”.
“Ha una vita sentimentale dopo la separazione?”, chiede la cronista. “No, mia moglie è rimasta l’unica donna della mia vita. Io la penso come Alberto Sordi, che diceva: ‘Non riesco a stare a casa con un’estranea”.
Nel pezzo di Stefania Rossini viene raccontato come Musumeci, dopo aver perso la madre a quattordici anni, lui figlio di un autista di autobus, diventa un anno dopo attivista di destra; come si avvicina al Movimento sociale italiano di Almirante; e come – “parlando come uno di sinistra”, secondo quanto scrive la giornalista dell’Espresso, rivendichi di essere “orgogliosamente di destra, avendo la fortuna di ricevere consensi elettorali anche da elettori di sinistra”.
Ma come nasce la militanza a destra? “Ero un ragazzino – si legge sull’Espresso – che credeva nella libertà e invece i picchetti degli attivisti rossi non mi facevano entrare a scuola, secondo la logica ‘Chi non è con noi è fascista’. Così mi sono avvicinato ai giovani di destra e mi ci sono subito trovato bene per valori condivisi e quasi per vocazione genetica”.
L’abilità di smarcarsi dagli argomenti più insidiosi è un altro punto centrale di questa intervista. Pur dicendo di ispirarsi ad Almirante, il governatore siciliano non spiega che l’ex segretario del Msi (anche lui definito, negli anni Settanta, “fascista gentiluomo” sia per i modi garbati, sia per il raffinatissimo eloquio espresso nei comizi e nelle tribune elettorali) viene accusato di essere stato un punto di riferimento importante durante il ventennio mussoliniano. Firmatario del manifesto per la razza, caporedattore del giornale fascista “Il Tevere” e collaboratore (come segretario di redazione) della testata “La difesa della razza”, Almirante alla fine degli anni Trenta scrive: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza”. E poi: “Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli… Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei”. Per non parlare (sempre in riferimento ad Almirante) dell’adesione alla Repubblica di Salò, delle accuse (1947) di “collaborazionismo con le truppe naziste” e dell’apologia, negli anni Settanta, nei confronti delle dittature militari di stampo fascista in quel tempo imperanti in Grecia, in Portogallo e in Spagna.
L’intervista sorvola sulla vistosa contraddizione con la denominazione del movimento “Diventerà bellissima” – frase di Paolo Borsellino riferita alla Sicilia – per una serie di fatti oggettivi di cui nell’articolo non si trova traccia: l’appartenenza di Musumeci ad una destra che da vent’anni ha come leader un personaggio come Silvio Berlusconi, condannato per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita, e come fondatore dell’ala più importante di essa (Forza Italia) un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell’Utri, assieme ad una pletora di esponenti alle prese con un sacco di grane giudiziarie che vanno dai rapporti con Cosa nostra alla corruzione.
Eppure con questa destra, da oltre vent’anni, il governatore della Sicilia ha un particolare rapporto d’amore e di odio. D’amore perché comunque gli ha dato la possibilità di fare il presidente della Provincia regionale di Catania, il parlamentare europeo e il governatore della Sicilia. Di odio perché il suo brillante modo di essere, il suo linguaggio forbito, la sua abilità nel dialogare con tutti (sinistra compresa), e il modo personale (ne parleremo dopo) di concepire la questione morale anche a destra, gli sono costati l’emarginazione per diversi anni all’interno del partito da parte di Gianfranco Fini, ex segretario di Alleanza nazionale (partito che nel 1994 ha preso il posto del Movimento sociale italiano), il quale evidentemente ha visto di buon occhio altri ex fascisti super chiacchierati confluiti a Roma da ogni parte d’Italia.
Nel corso di questa intervista, Musumeci ha dribblato abilmente una domanda sulla destra odierna capeggiata da Matteo Salvini, che col suo linguaggio sta scatenando gli istinti più razzisti degli italiani. “Però presidente”, chiede l’Espresso, “sulle politiche dell’immigrazione la sua voce si è sentita poco”. E lui: “Ne parlo nei momenti opportuni. E se me lo chiedono, dico che la chiusura dei porti è servita a mettere a nudo l’egoismo di un’Europa che, se continua così, non merita più la nostra presenza”.
Più bravo di Maradona nella riga successiva: “Che ne pensa del razzismo strisciante?”. Risposta: “Che non c’è, e tanto meno in Sicilia, terra che ha avuto 15 dominazioni ed è abituata a convivere con l’altro”. Delle aggressioni, degli insulti, addirittura degli omicidi di cui negli ultimi tempi, in tutto il Paese, sono rimaste vittime diverse persone di colore nessun cenno.
Ma il capolavoro degno del gol di Dieguito contro l’Inghilterra si coglie nella riga successiva: “Qui – seguita Musumeci – è necessario lottare contro lo sfruttamento di questi nostri fratelli sulla cui pelle qualcuno ha fatto affari e si è arricchito”.
Insomma un po’ bergogliano per non urtare la sensibilità di una parte del mondo cattolico, un po’ leghista per non scontentare la pancia dell’elettorato più estremista. Un grande equilibrismo, che è il risultato di cinquant’anni di esperienza politica, il quale, tradotto in parole povere vuol dire: il lavoro sporco lo faccia Salvini, io continuo a fare il moderato, con frasi come “rigenerazione culturale” e “la politica è rimasta senza padri”.
Il futuro politico. Musumeci continua a dire che non si ricandiderà più. E se lo dice dobbiamo credergli, perché è abituato a mantenere gli impegni. Ma non afferma che abbandonerà la politica. Afferma che si occuperà “dei nostri giovani”, perché vuole “essere la guida di una nuova generazione di siciliani”. Ha dalla sua qualche punto a sfavore e diversi a favore. Tra quelli a sfavore, la vicinanza con il leader della Lega Matteo Salvini, che alla lunga potrebbe creargli grattacapi d’immagine (anche se al momento gli consente di viaggiare col vento in poppa). Tra quelli a favore l’immagine di moderato che egli stesso continua a coltivare, malgrado una coalizione piena di inquisiti, di condannati e di estremisti; l’onestà, la credibilità, e la coerenza con cui, malgrado la sua appartenenza alla destra “almirantiana”, viene percepito dal suo popolo. E l’età? Alla fine del mandato di governatore, Nello Musumeci avrà 67 anni. Non sono pochi, ma neanche troppi per fare il leader nazionale di una destra in crisi di leadership e di identità.
Luciano Mirone
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