Perché il caso Cucchi è stato risolto e il caso Manca no? Per lo stesso motivo per il quale il terrorismo è stato sconfitto e la mafia (che imperversa da secoli) no.
In terra italica è così: i fatti di cronaca (anche quelli più efferati) si risolvono quasi sempre, ma a patto che di mezzo non ci siano politici o rappresentanti istituzionali di alto livello. Anche a costo di eseguire migliaia di comparazioni del Dna, di scoprire che il padre della vittima non è quello naturale, di mettere sottosopra gli uffici anagrafe dei comuni. Ma se certe vicende sono collegabili ai piani alti delle istituzioni, puoi sbatterci la testa, non ne vieni a capo. Al massimo arrestano l’esecutore, il mandante mai.
Il caso Cucchi è un caso di cronaca nera (niente a che vedere, per carità, con un fenomeno come il terrorismo, che in questo articolo è stato utilizzato a mo’ di metafora), nel quale certi pezzi istituzionali si stanno sgretolando sotto i colpi di un’indagine giudiziaria, di un processo, e di un ostinato impegno della sorella della vittima, Ilaria.
Il caso Manca è un caso di cronaca nera in cui niente si sgretola, tutto si compatta, perché dietro un episodio di cronaca nera, potrebbero nascondersi situazioni inconfessabili che riguardano lo Stato nelle sue varie articolazioni.
Pensate che la vicenda di un suicidio causata da “inoculazione volontaria” di eroina (così è stata definita dai magistrati) come quella di Attilio Manca non sarebbe stata risolta in tempi ragionevoli se non vi fossero state delle contaminazioni a tutti i livelli?
Anche nel caso Cucchi ci sono state delle contaminazioni, ma non a tutti i livelli. In questa circostanza l’omertà ha riguardato la ristretta cerchia di persone che – direttamente e indirettamente – è stata coinvolta nella morte di Stefano. Persone appartenenti sì allo Stato (in questo caso parliamo di alcuni carabinieri), ma ad un giro così ristretto e marginale, da aver determinato un corto circuito che alla fine ha portato gli stessi responsabili ad auto accusarsi, ad accusare i complici, a far crollare il muro di menzogne costruito attorno alla morte del povero Stefano. Non a caso Ilaria Cucchi ha tenuto a precisare che le sue accuse non riguardano l’Arma dei carabinieri in generale, ma i responsabili del pestaggio e della morte del fratello.
Nel caso Manca – sempre se di delitto si tratta, dato che la verità ufficiale parla di “inoculazione volontaria” di eroina – non abbiano i responsabili e i mandanti del presunto assassinio, ma sicuramente abbiamo una pletora di figure istituzionali (i poliziotti, i magistrati, il Medico legale, una parte della politica del centrodestra e del centrosinistra) che hanno indirizzato le indagini decisamente verso una pista, escludendo quella del delitto mafioso legato all’operazione di cancro alla prostata effettuata a Marsiglia del boss della Trattativa, Bernardo Provenzano, in cui Attilio Manca – secondo le dichiarazioni di ben quattro pentiti – ha avuto un ruolo. Come? Attraverso l’occultamento di fatti determinanti e l’invenzione di episodi non suffragati da prove. In questo caso non ci troviamo in presenza di un muro costruito sulla sabbia, ma di una montagna inscalfibile e inviolabile che, riguarda, appunto, lo Stato.
A meno che, davvero, Attilio Manca si sia suicidato. E però, in questo caso, qualcuno dovrebbe spiegare perché il Medico legale, in sede di autopsia, ha omesso tanti di quei dati che non possono essere attribuibili a delle semplici negligenze (parliamo di una professionista affermata, la dottoressa Dalila Ranalletta, autrice di diversi testi di medicina legale e consulente di alcuni programmi di successo prodotti da Mediaset). Qualcuno dovrebbe spiegare perché il fascicolo sulla morte dell’urologo è così pieno di strafalcioni, di dimenticanze e di omissioni, che non possiamo attribuirli ad inesperienza e ad ingenuità di magistrati e poliziotti. E che dire delle aberrazioni contenute nella relazione di maggioranza della Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi? Anche quelle sono frutto di ingenuità?
Se scriviamo queste cose, lo facciamo perché abbiamo studiato le carte, non perché ci siamo innamorati di una tesi. Le stesse carte che hanno letto i magistrati e i politici che si sono occupati della morte di Attilio Manca.
Perché queste tesi contrapposte? Per quanto ci riguarda, abbiamo consultato Medici legali, componenti della Commissione antimafia, funzionari di Polizia, ufficiali del Ris, magistrati, avvocati, europarlamentari, familiari di vittime di mafia, eccetera. Tutti sono stati convergenti: si tratta di un’indagine fatta male.
In uno stato di diritto l’indagine si rifà e gli autori della stessa vengono processati. In uno Stato da operetta – dove solo alcuni episodi di cronaca vengono risolti, mentre altri attendono verità da settant’anni (vedi strage di Portella della ginestra), dove il terrorismo viene sconfitto e la mafia continua imperterrita a trafficare in droga, in armi e in esseri umani, e ad uccidere – succede esattamente il contrario.
Luciano Mirone
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