Alla fine per morire. la “leggenda” del pugilato tedesco ha scelto l’Italia, da dove molti anni fa i suoi genitori si erano trasferiti per trovare fortuna in Germania, a Duisburg, città nella quale il pugile più popolare e amato dai tedeschi (48 match, 41 vittorie, 6 sconfitte e un pari) era nato cinquantacinque anni fa. La storia del grande Graciano “Rocky” Rocchigiani – deceduto ieri sera a Belpasso (in provincia di Catania) a causa di un incidente stradale avvenuto intorno alle 23,30, di cui i carabinieri della locale Stazione (intervenuti sul posto) hanno ricostruito la dinamica assieme ai militari dell’Arma di Paternò – è una storia di “sradicamento” e di grandi successi, di bellezza e di squallore, di esaltazione e di fatica, di umiliazioni e di gratificazioni. Come quella di Jack La Motta, di Carlos Monzon, di Mike Tyson, di Rubin Carter “Hurricane” e di tanti altri meravigliosi boxer messi al tappeto dalla vita, perché non sono riusciti a reggere all’impatto devastante del successo e della quotidianità del “dopo”. Come ieri sera, quando lo hanno raccolto morto, in seguito a un tremendo impatto con una Smart, mentre camminava ubriaco (secondo le ricostruzioni delle Forze dell’ordine) sul ciglio della strada a scorrimento veloce Catania-Paternò, dopo essere stato visto in una stazione di servizio.
Non si sa il motivo per il quale era ubriaco, anche perché negli ultimi tempi diceva di aver cambiato vita: ormai era tutto casa e ring (come allenatore), o almeno così giurava di essere diventato. Nei periodi di pausa alternava la Germania alla Sicilia, dove a Paternò, cinquantamila abitanti, ai piedi dell’Etna, aveva trovato il “grande amore” da cui erano nati due figli, dopo la separazione dalla moglie avvenuta nel 2011.
Nel caso della vita di Graciano “Rocky” Rocchigiani non c’è stato né un “prima”, né un “dopo”, ma un “sempre”, poiché lui i guai se li è cercati anche quando era campione mondiale dei mediomassimi Wbc, anche quando, a titolo di risarcimento, il giudice Richard Owen della Corte distrettuale di Manhattan gli ha riconosciuto un risarcimento record di 30,3 milioni di euro che manda il Wbc sull’orlo della bancarotta.
Alcol, risse, guida senza patente, guida pericolosa, nasi rotti, scontri con la polizia, e un locale di Amburgo dal nome evocativo come nessun altro, Ritze, Figa, che ha segnato, nel bene e nel male, la sua carriera, un posto dove ci trovi di tutto, dalla birra alle puttane, dai mafiosi… alla palestra per gli allenamenti (la “stalla pugilato”, come si dice in Germania), da cui sono usciti i grandi campioni tedeschi affermatisi in tutto il mondo grazie alla scuola del mitico manager Sauerland.
Il mondo di Rocchigiani è stato quello. E a quel mondo si è legato quando, dopo essere diventato campione per la prima volta grazie a quel destro micidiale (siamo negli anni Ottanta), si è trasferito da Duisburg (dove è nato il 29 dicembre 1963) alla volta di Amburgo. Ma sia a Duisburg che ad Amburgo, “Rocky” non è mai riuscito a trovare gli equilibri che consentono ad un uomo di uscir fuori da quell’eterno “spleen” causato da uno “straniamento” fatto di insoddisfazione e di rabbia per essere figlio di poveri emigrati sardi arrivati da un mondo fatto di terra, di mare, di ulivi, di zappe, che neanche i grandi successi mondiali, forse, possono mai compensare.
Rocchiggiani era una via di mezzo fra un poeta maledetto e un pugile cresciuto nella Little Italy d’Oltralpe, nella quale se il figlio di un povero “piegatore di ferro” (come lui stesso definiva suo padre, che aveva pure fatto il pugile dilettante) vuole contare davvero, deve faticare il triplo di un tedesco e non è detto che – ottenuto il successo – riesca pienamente ad inserirsi. Non è facile spiegare… Lo “spleen” o lo vivi o lo percepisci, magari attraverso la letteratura e anche i film, come “Pane e cioccolata” di Franco Brusati, dove uno splendido Nino Manfredi, emigrato in terra svizzera, per nascondere le sue origini italiche (per giunta meridionali), a un certo punto si tinge i capelli di biondo.
“Graciano Rocchigiani – dice il giornalista Udo Gumpel della TV tedesca Rtl – in Germania era amatissimo. Oggi ho visto molta gente piangere per lui. Era stato il più giovane pugile tedesco ad avere vinto un titolo mondiale. La sua storia ha affascinato tutti. Era un combattente, un generoso, non si tirava mai indietro, non amava il business e neanche l’intrallazzo. Veniva dalla povertà e, malgrado il successo, era rimasto autentico”.
La gente lo amava malgrado il carcere, malgrado le spacconate, malgrado gli eccessi. Una volta in un locale notturno dovettero intervenire trenta poliziotti, con tanto di lacrimogeni, per riportare alla ragione lui e il fratello maggiore Ralph, pugile anche lui.
Ma se il destino si accanisce contro non ci sono soldi che tengano. I 30 milioni e rotti percepiti dal risarcimento per quell’ingiustizia subita, sfumano subito e per “Rocky” è bancarotta.Dalla quale non riuscirà mai a rialzarsi (almeno economicamente). Eppure in Germania dicono che era riuscito a mettere la testa a posto, malgrado l’esistenza grama che conduceva: “Nell’ultimo periodo – seguita Gumpel – viveva col reddito di cittadinanza di 374 Euro al mese, più una casa assegnatagli dallo Stato di appena 25 metri quadrati”.
Tutto si è infranto ieri sera su un parabrezza di una Smart che dopo lo scontro è andato in frantumi sull’asfalto.
Luciano Mirone
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