Come nella Chicago degli anni Venti. A Giarre (Catania), un tempo rinomata per la costruzione dei pupi siciliani e dei vasi di terracotta, è successo di tutto: dall’associazione per delinquere di stampo mafioso avente come fine il riciclaggio dei proventi illeciti mediante intestazioni fittizie di depositi e conti correnti, all’estorsione, dall’appoggio di determinati personaggi politici in campagna elettorale, al furto in abitazione, con pestaggi, minacce, incendi di autovetture e tanti atti di inaudita violenza. Queste le accuse mosse dalla Procura distrettuale della Repubblica di Catania nei confronti di 17 persone operanti in quella zona, ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati descritti.
Si tratta di Emmanuel Bannò, nato a Catania il 12/04/1996; Roberto Bonaccorsi (Giarre, 02/06/1965), Sharon Francesca Contarino (Taormina, il 19/10/1992), Giuseppe Filippo Chiappazzo Del Popolo (Catania, 20/03/1995); Rosario Pietro Forzisi (Taormina, 29/06/1996); Salvatore Greco (Acireale, 18/11/1972); Davide Indelicato (Acireale, 29/01/1980); Alessandro Liotta (Catania, 30/08/1976); Carmelo Mauro (Giarre, 08/10/1997); Francesco Messina (Giarre, 04/06/1967); Giuseppe Musumeci (Acireale, 27/07/1987); Vincenzo Musumeci (Giarre, 24/11/1975); Salvatore Nicotra (Giarre, 30/07/1957); Giovanni Marco Oliveri (Giarre, 16/01/1994); Massimo Pagano (Giarre, 05/12/1977), Leonardo Patanè (Calatabiano, 09/06/1953; Valeria Vaccaro (Giarre, 29/07/1981).
L’operazione si è svolta alle prime ore del mattino, nelle province di Catania e Siracusa, dove i carabinieri del Comando provinciale di Catania, coadiuvati dalle unità territorialmente competenti, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere – emessa dal Gip del Tribunale di Catania su richiesta della stessa Dda – per le 17 persone coinvolte.
Il provvedimento trae origine da una complessa indagine che Compagnia dei carabinieri di Giarre ha condotto dal 2016 al 2017, supportata dalle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia. L’attività investigativa ha consentito di disarticolare le ‘nuove leve’ e l’attuale reggente del sodalizio mafioso “Laudani – Mussi i ficurinia”, operante nel territorio di Giarre e nei comuni limitrofi, i cui adepti riportavano, quale simbolo del vincolo di affiliazione ed in ossequio alla famiglia mafiosa catanese di riferimento, un tatuaggio “a forma di labbra”; accertare, da parte della predetta organizzazione, la disponibilità di armi, custodite in luoghi occulti; evidenziare il controllo del territorio da parte del gruppo, che esercitava una capillare vessazione dei commercianti mediante pagamento del ‘pizzo’, assunzioni forzate, pestaggi, incendi di veicoli e furti; documentare il riciclaggio dei proventi delle attività illecite mediante intestazioni fittizie di depositi e conti correnti; appurare l’interesse del clan nel supportare, alle elezioni comunali del 2016, soggetti a loro vicini, rimasti ignoti; riscontrare, in capo al boss, la gestione illegittima degli appartamenti di proprietà della Regione Sicilia e gestiti dall’Istituto autonomo Case Popolari di Acireale.
L’indagine, come detto, è stata avviata dai carabinieri di Giarre in merito alle estorsioni che affliggono quel territorio e che prendono di mira soprattutto i commercianti, che nella maggior parte dei casi non ritengono di denunciare, “a riprova della forza di intimidazione del clan mafioso e del clima di omertà imposto”, scrive la Dda di Catania”.
Le attività ricevevano una grande spinta dalle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia, utili per delineare l’organigramma e le attività dell’organizzazione, al vertice della quale vi è Alessandro Liotta, arrestato nel febbraio 2017 nell’Operazione “Bingo!” poiché a capo di una fiorente associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti.
Liotta, capo e promotore del Clan Laudani su Giarre, si avvaleva dei suoi affiliati per molteplici attività criminali. “Particolarmente sprezzante e spregiudicato – scrive ancora la Dda – risultava essere il metodo adottato per taglieggiare gli esercenti”, soprattutto a danno delle attività appena aperte e quindi oggettivamente in maggiore difficoltà, considerati gli investimenti. In alcuni casi i titolari che si rifiutavano o pagavano in ritardo venivano sottoposti a pestaggi o a gravi intimidazioni con bottiglie contenenti liquido infiammabile, al unto da causare la chiusura di numerosi negozi.
Accanto al capo clan spiccano anche figure femminili: la moglie di Liotta, Valeria Vaccaro, e Sharon Contarino, partecipi del riciclaggio dei proventi illeciti e protagoniste di episodi estorsivi.
Liotta gestiva la cassa comune tramite “prestanomi”, riversandovi i proventi illeciti dei furti, delle estorsioni e dei “cavalli di ritorno”, effettuati dopo i furti di autovetture. Il boss disponeva furti, curava i contatti con le “famiglie” acesi, catanesi e di Piedimonte Etneo, dirimeva le “tarantelle” fra i vari affiliati (debiti, prelievi non autorizzati dalla cassa comune), impartiva disposizioni ai sodali per eludere le investigazioni e capire se le vittime del racket avessero o meno denunciato ai carabinieri, assicurava il sostentamento economico ai detenuti del gruppo e organizzava spedizioni punitive. Fra i furti appurati dalle attività d’indagine, emerge quello di ingente materiale idraulico (caldaie e termosifoni) a danno degli appartamenti di edilizia popolare nel condominio denominato “Ghiaccio” di recente rinnovamento, già assegnati ma non ancora occupati, successivamente acquistato da ricettatori del posto.
Dalle indagini sono emersi accordi fra il Clan Laudani giarrese e quello santapaoliano per la ripartizione del pizzo, nel momento in cui un commerciante, taglieggiato da entrambe le fazioni, non pagava più nessuno degli schieramenti. In quest’ultima situazione entrava in scena Roberto Bonaccorsi, gravitante intorno a soggetti affiliati al Clan Santapaola di Riposto, già detenuto, poiché arrestato venti giorni orsono.
Passiamo alla parte “politica”. Nel giugno del 2016 si sono svolte le amministrative per l’elezione del nuovo Sindaco di Giarre e dei consiglieri comunali. Le indagini hanno attestato l’interessamento di Liotta e dei suoi sodali per la tornata elettorale, evidentemente finalizzato ad ottenere benefici futuri. Pur non essendo emersa la prova dello scambio di voti, preme evidenziare che le indagini attestano contatti con candidati, non meglio identificati, nonché il proposito del gruppo di attivarsi per promettere esigue elargizioni di denaro e regalie varie, per ottenere la preferenza elettorale da far pervenire a candidati “di comodo”. Il boss giarrese, nel tentativo di convincere un soggetto sconosciuto a cambiare la sua preferenza di voto, gli intimava di dare il voto “agli amici nostri” e non “ai santapaoliani”.
Nel corso delle indagini è emerso che lo stesso Liotta gestiva illegittimamente l’assegnazione delle case popolari, nelle quali faceva confluire le residenze anagrafiche delle persone a lui più vicine o, comunque, lucrava sui canoni delle locazioni, scomputando debiti che vantava nei confronti di terzi. A tal fine il predetto sottraeva gli immobili ai precedenti possessori anche con modalità violente. Tale dinamica mafiosa evidenzia un’ulteriore manifestazione di controllo del territorio da parte del gruppo criminale. In alcuni casi, l’Istituto autonomo case popolari di Acireale, avendo accertato occupazioni abusive, invitava il Comune di Giarre ad attivare con urgenza la procedura di emissione ed esecuzione di ordinanza di sgombero, di cui, al momento, si sconosce l’esito.
Fra gli altri soggetti arrestati emerge Salvatore Nicotra, ritenuto l’elemento di spicco del Clan Laudani nella frazione di Macchia di Giarre, già detenuto in quanto arrestato, nel marzo 2018 per il brutale pestaggio e sequestro di persona di un giovane del luogo.
Il nome dell’operazione si ispira al tatuaggio di uno degli affiliati, costituito dalle labbra di un bacio “a stampo”, circondato dalla scritta “Forever”.
Gli arrestati sono stati tradotti presso il Carcere di Catania Bicocca, ad eccezione di quattro soggetti già detenuti per altra causa.
Nella foto: la piazza di Giarre
Barbara Contrafatto
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