Il 7 aprile scorso questo giornale fece scoppiare il caso con un titolo di poche parole: “Il paradiso in pericolo. San Vito lo Capo in rivolta”. Da quello scoop sono trascorsi sette mesi e la Rai – la trasmissione Speciale Tg1, in onda domenica prossima a mezzanotte con il reportage “Mare che sale” di Alessandro Gaeta – riprende la vicenda denunciata da L’Informazione, e la inserisce nel contesto del cambiamento climatico, dell’innalzamento del livello del mare, dello stravolgimento della nostra vita e della nostra cultura per i prossimi decenni.
Nella nostra inchiesta si parlava del progetto faraonico di una società trapanese, la “Marina bay”, di cementificare 115mila metri quadrati di spiaggia e di mare per la costruzione e la gestione (per 48 anni) di una sorta di Dubai del nostro tempo, con tanto di albergo a cinque stelle (con cento camere), centri benessere, centri commerciali, ottanta appartamenti, parcheggi sulla spiaggia, oltre alla cementificazione di tutta la parte interna del porto. Diverse puntate nelle quali sono stati ascoltati molti cittadini, il sindaco, il presidente regionale di Legambiente, alcuni assessori e consiglieri comunali. Nel corso di quelle interviste, il presidente dell’associazione operatori turistici, Melchiorre Miceli – che domenica vedremo nella trasmissione Rai, assieme all’autore di questo articolo e a tanti altri testimoni – denunciava: “E’ prevista la tombificazione della sabbia presente nell’area portuale. Questi signori sanno quanto tempo occorre per produrre un granello di sabbia? Migliaia di anni. E questi con una colata di cemento pensano di seppellire tutto”.
Una frase che va oltre la denuncia e tocca il tema drammatico dello stravolgimento della natura e del clima. La stessa corda che il reportage toccherà domenica prossima. Alessandro Gaeta Di cosa parla questo “speciale”?
“E’ un racconto che va da Sud a Nord – dice il giornalista Rai – passando per tre, quattro, cinque posti della Penisola italiana, dove è più facile, più evidente vedere cosa vuol dire l’innalzamento del mare previsto dall’Enea di un metro entro il 2100. Quindi parliamo di un evento atteso per i nostri nipoti. L’impressione è che siamo di fronte a qualcosa che sta accadendo, verso la quale dobbiamo mettere in piedi delle strategie. Ho l’impressione che questa consapevolezza non ci sia: questo reportage vuole raccontare cosa sta accadendo, mostrare l’evidente, e stimolare un piano per fronteggiarla”.
Quali sono i punti su cui avete focalizzato l’attenzione?
“In Sicilia siamo partiti da Marettimo: quest’isola delle Egadi evidenzia molto bene quanto il mare nelle ere geologiche non sia mai stato fermo. E’ anche grazie alle tracce lasciate dal mare in passato che gli esperti del’Enea hanno potuto mettere a punto un modello previsionale secondo cui l’innalzamento del livello medio del Mediterraneo sarà entro il 2100 di almeno un metro, in accordo a quanto stabilito dall’Iccp (International Panel of Climate Change), l’organismo delle Nazioni unite formato da scienziati di tutto il mondo che lavorano sui cambiamenti climatici”.
E dopo Marettimo?
“Siamo andati a Mozia (l’isola antichissima situata di fronte a Marsala) che fino a qualche tempo fa aveva una strada di epoca fenicia e poi romana che la collegava alla terraferma. Oggi quella via di collegamento è completamente sommersa. Poi siamo andati alla ricerca di Ferdinandea, l’isola sommersa dal mare nel Canale di Sicilia. Questo per far capire come il mare non solo sale, ma ha anche una naturale capacità di modificare le linee di costa”.
Quarta località?
“San Vito lo Capo, classico esempio di quello che può succedere in una costa sabbiosa e non particolarmente inclinata. Lì non sono previsti movimenti tettonici, quindi non ci saranno né innalzamenti né abbassamenti: entro novant’anni l’acqua salirà di circa un metro e proseguirà se le strategie non cambieranno e la riduzione di anidride carbonica non rallenterà. La cosa interessante che è venuta fuori è che una delle spiagge più belle, più conosciute, più apprezzate dal turismo italiano e internazionale è interessata a un progetto per la realizzazione di un mega resort turistico collegato alla ricostruzione del porto esistente”.
Cosa vi ha colpiti?
“Beh, ci siamo chiesti: ma i progettisti, oltre ad elaborare un progetto così imponente su una spiaggia e su un territorio così bello e delicato, non hanno pensato che nel giro di qualche decennio questo resort possa essere comunque mangiato dal mare?”.
Certo, perché nel frattempo il mare cresce.
“Mediamente di tre-quattro millimetri l’anno. Questo vuol dire che ogni tre anni cresce di un centimetro. Non è poco, anche in relazione all’aumento dell’altezza delle onde e delle perturbazioni climatiche, come quella recente che ha attraversato l’Italia e che ha causato morti e disastri da Nord a Sud. Anche in questo caso c’entra il cambiamento climatico: non si tratta di una tempesta autunnale come tante altre. Dietro c’è il riscaldamento del mare, un’altezza d’onda che, anche se di pochi millimetri, sta variando”.
Qual è lo scopo di questo reportage?
“Mancano ottant’anni, e quindi se ne deve parlare. Il Nord Est invece avrà pure i movimenti tettonici, nel senso che tra il Veneto e il Friuli è previsto un abbassamento di circa 50 centimetri, quindi potremmo avere un metro e mezzo d’acqua in più”.
Questo cosa vuol dire?
“Che Venezia si dovrà difendere dall’acqua alta permanente. E qui entra in gioco il Mose: sei miliardi spesi per queste barriere che rischiano di essere vecchie prima ancora di nascere”.
Hai notato una certa sensibilità ambientale stando in Sicilia?
“A San Vito lo Capo è evidente. La preoccupazione che si avverte tra la popolazione e gli operatori turistici si è manifestata anche attraverso la raccolta di tantissime firme per evitare questa grande colata di cemento. E noi, con il nostro reportage, lo abbiamo voluto rimarcare. Ma anche in luoghi come Sciacca, recentemente funestato dalle tempeste, abbiamo trovato sensibilità”.
Il giornalismo che ruolo ha?
“Ho l’impressione che viva di scetticismo rispetto a questi fenomeni gravissimi, contagiata magari dallo scetticismo ‘naturale’ della politica, che ragiona sui problemi da risolvere nel breve periodo, figuriamoci se si pone il problema su un evento che avrà il suo impatto evidente fra non prima di trenta, quarant’anni”.
Il mare è sempre presente per capire il cambiamento climatico?
“Sempre. Gli ultimi eventi sono stati provocati da un riscaldamento del mare. Dall’inizio dell’estate abbiamo avuto un Mediterraneo più caldo: in alcuni luoghi – quelli guarda caso dove è iniziata la tempesta della settimana scorsa: nel Nord Adriatico e nel Mar Ligure – abbiamo registrato mediamente temperature superiori di quattro gradi rispetto alla media degli ultimi trent’anni. Il mare, quindi, gioca un ruolo, è il modulatore nel meccanismo che regola il clima del nostro pianeta. Proteggerlo, conoscerlo, rispettarlo è fondamentale se vogliamo salvarci”.
Entro quanto tempo si devono apportare i rimedi prima che scatti l’irreversibilità?
“Su questo gli scienziati sono prudenti e pessimisti, nel senso che non credono nella possibilità che si riesca rapidamente a ridurre l’emissione di anidride carbonica”.
Il problema è politico?
“Ci vuole una visione diversa della società che abbiamo costruito. Ciascuno di noi deve rispettare delle regole. Ma ovviamente tutto dipende da chi ci governa”.
Luciano Mirone
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