Con la morte di Gigi Radice se ne va il simbolo di un calcio bellissimo e romantico che negli anni Settanta ha fatto sognare i tifosi del Toro con uno scudetto che ne vale cento della Juve. La Juve è la Fiat, il Toro è altro. Ed è stato questo “altro” ad affascinare l’Italia del Novecento: lo stadio Filadelfia, il Grande Torino, i cinque scudetti di fila vinti negli anni Quaranta, con quella formazione incredibile che anche quelli come me, generazione anni Sessanta, mandavano giù a memoria, Bacigalupo-Ballarin-Maroso…, e l’immenso Valentino Mazzola il padre del Sandro interista, la gente allo stadio col vestito della domenica, la tragedia di Superga, la squadra che si schianta con l’aereo nella collina torinese ed entra per sempre nella leggenda.
E poi, negli anni Sessanta, la tragedia che si ripete con la morte di un altro eroe romantico del calcio, Gigi Meroni, quella piccola ala destra per la quale tutti stravedevano: forte, era forte… ma i tifosi lo amavano perché era trasgressivo (stava con Cristiana, una bellissima donna che nell’Italia di allora aveva il “torto” di essere sposata) ed era il simbolo del mondo beat, capelli lunghi, pantaloni a zampa d’elefante, bluse larghissime sotto gli eleganti gilè (capi tutti rigorosamente disegnati da lui), macchina fuori serie e gallina portata al guinzaglio.
E poi, una decina d’anni dopo, arrivò l’altro Gigi, Radice, che dopo aver fatto il calciatore, si mise a fare l’allenatore e a un certo punto andò al Toro. Era considerato un sergente di ferro, in realtà fu l’antesignano italiano del “calcio totale”, nel quale la preparazione atletica era una fede e veniva curata in parallelo con quella tecnica. Erano gli anni dell’Olanda di Crujiff. Radice interpretò quella nuova filosofia che aveva parole inedite come pressing, tattica del fuorigioco, terzini fluidificanti… Lui, con quei magnifici giocatori – Pulici, Graziani, Claudio Sala, Patrizio Sala, Zaccarelli, Pecci – visse e fece rivivere ai tifosi la favola del Grande Torino vincendo uno scudetto nel ’76, surclassando diverse volte la ricchissima Juventus degli Agnelli allenata dal Trap e formata da campioni come Zoff, Tardelli, Bettega, Causio, ecc. ecc. ecc., e suscitando quell’entusiasmo ancestrale che scatta raramente, ma quando succede che Davide sconfigge Golia è felicità pura.
Allora avevo quindici anni e tifavo Juve. Tifavo…. Perché dagli anni Ottanta (periodo della strage dell’Heysel e del calcio scommesse, e negli anni successivi dello scandalo del doping) una crisi di rigetto mi ha impedito di vedere il calcio come lo vedevo un tempo. E un tempo, dalla fazione opposta, ammiravo e amavo il calcio di Radice. Ciao, vecchio Gigi. Se nasco di nuovo mi metto a tifare Toro, il “tuo” Toro. Giuro!
Luciano Mirone
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