Silvia Ferrante ha una storia da raccontare, poiché ha condotto una battaglia per suo figlio, per la sua famiglia, per la sua regione – l’Abruzzo – per evitare che l’elettrodotto – con il suo carico di campi elettromagnetici prodotti dall’altissima tensione – passasse addirittura a ridosso della sua casa. La sua lotta portata avanti in prima linea contro Terna Spa – l’ente nazionale per il trasporto dell’energia elettrica – la mette a disposizione affinché “si possa costruire un futuro senza tumori causati da una tecnologia non sempre sotto controllo”. Silvia, può raccontare la sua storia?
“Tutto inizia nel 2011, quando ho saputo, mentre si svolgeva un’assemblea cittadina, del progetto di realizzare un mega elettrodotto a ridosso delle nostre case. In quell’occasione ho scoperto che il progetto risaliva al 2005: sui giornali c’erano le liste dei terreni che sarebbero stati espropriati. Solo questo. Prima d’allora, tantissimi non sapevano né cosa fosse un elettrodotto, né che sarebbe stato realizzato attraverso l’esproprio dei propri terreni. Io ero fra questi. A un certo punto ho scoperto che un traliccio ad altissima tensione era stato progettato a poca distanza dalla mia casa: un mostro in grado di generare dei campi elettromagnetici che, in seguito a lunga esposizione, può provocare tumori e leucemie soprattutto infantili, e tanti altri sintomi subdoli come l’alterazione del ritmo sonno-veglia, forti mal di testa, cui magari non si dà peso, ma che a lungo andare possono provocare disturbi tali da impedire uno svolgimento regolare della propria vita. Nel 2011 avevo un bambino di un anno: quando ho sentito queste notizie, la prima preoccupazione è stata soprattutto per lui. Man mano ho scoperto che l’esposizione non riguarda solo le persone molto vicine a un grande elettrodotto, ma anche quelle che si trovano fino a 500 metri dal punto di origine delle onde, e quindi può riguardare una buona fetta di popolazione. A questo va aggiunto che un’opera del genere preclude qualsiasi modello di sviluppo per attività agrituristiche o di agricoltura biologica”.
Dopo che è successo?
“Fra il 2015 e il 2016 l’intero territorio (compresi alcuni sindaci) si è opposto a questa mega struttura imposta dall’alto. Dicevano che era ‘strategica’ (cioè che era stata progettata a livello nazionale), e che non c’era la possibilità di fare nulla. C’è stato un movimento costruito ‘dal basso’ che ha lottato per la salute del territorio: non sta scritto da nessuna parte che si traccia una linea su una mappa e chi vive in una data zona debba subire passivamente”.
Ci sono state delle manifestazioni?
“Certo. Tutte di carattere pacifico. I proprietari, appellandosi al Codice degli espropri, si sono opposti all’immissione in possesso di chi, magari autorizzato da un decreto, mette piede sui loro terreni e fa pure il padrone”.
I terreni sono stati pagati dallo Stato?
“Sì, ma con cifre ridicole: uno o due Euro a metro quadro su superfici agricole che da sempre danno da mangiare a gran parte delle persone che ci vivono”.
Che è successo dopo questi episodi?
“Quelli che si sono opposti, o che erano presenti a queste manifestazioni, hanno ricevuto delle richieste di risarcimento molto elevate. Terna sosteneva che per ogni traliccio avrebbe perso fra gli 800mila e un milione di Euro, più i 19 milioni di incentivo per la mancata realizzazione entro i tempi. Insomma una marea di soldi. Attraverso ventiquattro citazioni in giudizio, è stata chiesta la ‘modica’ cifra di 16 milioni di Euro. Quando ho ricevuto la notifica dal Tribunale, non sapevo se ridere o se piangere, anche perché neanche in otto generazioni avrei potuto pagare. Terna sosteneva che avrei dovuto risarcire il presunto danno, ma una interruzione di pubblico servizio si ha quando un servizio c’è, non quando ci si oppone alla realizzazione di un’opera. Nel frattempo abbiamo scoperto delle cose tutt’altro che simpatiche”.
Per esempio?
“Un terzo dei tralicci è stato progettato e realizzato sopra frane attive. Addirittura si racconta che diverse firme per l’esproprio sono state ottenute tramite anziani non in grado di riconoscere neanche i propri cari, figuriamoci se potevano decidere se lasciare il terreno a qualcuno. Terna, nelle varie citazioni, ha sostenuto che i manifestanti erano violenti: una cosa falsa e facilmente smentibile attraverso gli atti prodotti dalle Forze dell’ordine. L’8 luglio 2016 c’è stata qualche scaramuccia con qualche funzionario dell’ente, ma tutt’altro che violenta. Eppure hanno scritto questo. Oggi la Comunità europea riconosce il diritto all’autodeterminazione dei popoli nei propri territori, e prevede una trasparenza molto alta per le grandi opere da realizzare”.
Le popolazioni dell’Abruzzo erano state informate di questa opera?
“Assolutamente no. Le prime comunicazioni erano relative agli espropri, quando tutto era stato deciso in camera caritatis, senza l’assenso delle popolazioni”.
I sindaci erano al corrente di questo progetto?
“Sicuramente”.
Hanno sottovalutato il rischio?
“Penso proprio di sì. Dopo le nostre proteste, alcuni di questi si sono mossi stando al nostro fianco e producendo dei ricorsi”.
Non c’è stato un dibattito pubblico quando ancora si poteva porre rimedio?
“Assolutamente no”.
Il dibattito è cominciato in ritardo?
“Esatto. Qualche comune (quelli che hanno presentato ricorso) ha fatto dei Consigli comunali ‘aperti’, ma sempre dopo l’attivazione dei cittadini”.
E oggi com’è la situazione?
“L’elettrodotto è stato costruito. Quando c’è umidità il traliccio ‘frigge’. Lo sento da casa, distante appena ottanta metri. E tremo”.
Luciano Mirone
1^ puntata. Continua
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