Consigliamo vivamente ai benpensanti di vedere (o rivedere) il video che documenta la brutale aggressione subita da un disabile sordomuto di Paternò ad opera di due energumeni che lo hanno picchiato selvaggiamente perché l’uomo – secondo la ricostruzione dei carabinieri – aveva espresso le sue sacrosante rimostranze sul parcheggio riservato ai portatori di handicap che per un quarto d’ora era stato occupato dalla macchina dei due aggressori. Una scena manco commentata dalla stampa perbene, e da noi – persone altrettanto perbene – è stata semplicemente dimenticata: ormai è talmente normale che un debole, un diverso, un “figlio di un dio minore” venga picchiato con quella violenza, che manco ci facciamo caso.
Ma c’è uno strato più profondo della nostra pancia (ormai identificabile con la nostra coscienza) che conserva istinti ancora più primordiali, poiché ci porta a dimenticare tutto con estrema facilità quando l’aggressore è bianco: ci indigniamo, certo, ma poi metabolizziamo tutto.
Adesso immaginiamo per un attimo se al posto dei due energumeni bianchi ci fossero stati due “neri” nell’atto di malmenare quel povero sordomuto. Sarebbe scattata – giustamente – l’indignazione dell’opinione pubblica. Non contro l’aggressione, ma contro il “colore” dell’aggressione, che diventa imperdonabile se è nero (e qui il “giustamente” possiamo eliminarlo), specie se pensiamo che la scena dell’aggressione si è verificata nella città in cui un anno e mezzo fa il sindaco dichiarò che avrebbe fatto le barricate se la prefettura avesse smistato a Paternò cinquanta immigrati richiedenti asilo.
Perché generalizziamo (“sporchi negri”) quando un extracomunitario uccide un bianco e non quando avviene il contrario? Perché non nutriamo lo stesso sentimento di odio quando la mafia scioglie nell’acido un bambino di undici anni o quando fa saltare in aria gli uomini dello Stato o quando una madre bianca butta il proprio bambino dentro un cassonetto della spazzatura? La verità è che – malgrado secoli di cattolicesimo – molti di noi non hanno interiorizzato per niente le parole di uguaglianza contenute nel Vangelo. Se lo avessimo fatto non avremmo votato i partiti che per tanti anni hanno espresso gli amici di Totò Riina e di Bernardo Provenzano.
L’unico a ricordarci quelle parole è Papa Francesco, ma – visti i sondaggi che danno in costante crescita ora Salvini, ora altri personaggi – sembra una voce che acclama nel deserto, dopo anni di indicazioni a stare sempre dalla parte del forte, più che del giusto, da parte dei vertici di Santa Madre Chiesa.
Eppure bisogna sperare, perché alla fine la speranza è ciò che l’essere umano riesce concretamente a costruire. E in Italia di modelli alternativi a quelli di Salvini ne stanno nascendo: basta vedere quel che succede a Riace, a Palermo e in diversi altri luoghi.
Anzi, consigliamo vivamente di rivedere – in contraltare al video sull’aggressione al disabile di Paternò – la trasmissione “Petrolio” su Rai play, dove si parla della rinascita del capoluogo siciliano. Una rinascita basata sull’integrazione, sulla solidarietà e sulla cultura.
È importante sentire la testimonianza di chi sta sperimentando questo modello “dal basso”: con parole semplici ci spiega che la convivenza fra bianchi e neri, e la valorizzazione della cultura, dell’arte e della creatività stanno creando nuova occupazione. Una rivoluzione. Che si contrappone alla violenza e al razzismo per cui proviamo orrore e vergogna.
Luciano Mirone
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