La magistratura di Catania mette le mani sulla casa di cura Di Stefano Velona e scopre uno scandalo di enormi proporzioni. “Massimizzava i ricavi a discapito della tutela del diritto alla salute dei pazienti”. È l’accusa, confermata dal Gip, con la quale la Procura della Repubblica ha disposto una serie di misure cautelari reali e personali a carico degli Amministratori, del Direttore Sanitario e di tre sanitari della casa di cura DI STEFANO VELONA s.r.l. (clinica del capoluogo etneo accreditata al sistema del sistema sanitario nazionale) nonché nei confronti della società stessa.
Con il provvedimento cautelare il Gip, condividendo pienamente l’impostazione dell’Ufficio di Procura, ha dichiarato sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in capo a tutti gli indagati destinatari della richiesta di misura, ritenendo sussistente anche il delitto di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe ai danni dello Stato, abusi d’ufficio e falsi in atto pubblico.
I fatti risalgono allo scorso 31 gennaio, ma sono stati resi noti oggi, e scaturiscono da una una lunga e complessa attività investigativa diretta dalla Procura etnea ed eseguita dai Carabinieri del Nas di Catania.
In sintesi, su disposizione dei Dirigenti della Clinica e con l’avallo dei sanitari, per alcune prestazioni sanitarie (Day Service) per le quali veniva previsto un rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale, veniva omessa l’effettuazione degli esami strumentali e diagnostici in modo tale da incamerare l’intero rimborso pubblico riducendo al minimo le spese per la clinica. La diagnosi in ordine alla natura delle masse di volta in volta asportate ai pazienti veniva lasciata all’intuito del medico che, in base alla propria esperienza, decideva quando era necessario effettuare approfondimenti ovvero quando poteva evitarsi l’effettuazione dell’esame istologico (verifica, per contro, sempre necessaria).
Laddove il medico, nel corso di tale arbitraria scelta, avesse optato per lo svolgimento degli approfondimenti diagnostici, sempre su disposizione dei vertici della Clinica e sempre al fine di massimizzare i profitti dell’ente, veniva richiesto al paziente (ignaro della gratuità dell’esame) il pagamento di una somma di danaro pari a 80 Euro, trasformando, in tal modo, in una prestazione privata quello che doveva essere un esame gratuito (perché, appunto, oggetto di rimborso da parte della Regione).
Dopo un sequestro di circa 4000 cartelle cliniche, esaminate sia sotto il profilo medico che sotto il profilo della corretta tenuta delle stesse, venivano alla luce migliaia di false attestazioni rese dai sanitari in sede di dimissione del paziente, sempre aventi ad oggetto l’effettuazione di esami mai svolti.
Una consulenza grafologica, infine, faceva emergere come il Direttore Sanitario della Clinica, in un caso, all’atto della prestazione del consenso informato, si fosse sostituito al paziente, falsificandone la firma.
La vicenda trae origine dalla denuncia di un paziente che, recatosi presso la clinica per tre volte a causa del ripresentarsi di una formazione anomala nella sede dei tessuti molli nella cavità mediana dell’inguine sinistro, veniva dimesso con una diagnosi (“lipoma”) effettuata dal sanitario “a vista”, senza cioè l’effettuazione dei necessari esami strumentali e diagnostici. Inoltre, all’interno della cartella clinica, veniva falsamente attestato il rifiuto del paziente all’esame istologico.
A distanza di mesi, il paziente, recatosi presso altra struttura pubblica, scopriva che la massa superficialmente ed erroneamente definita “lipoma” era, in realtà, una grave formazione tumorale compatibile con una recidiva di mixofibrosarcoma di grado intermedio.
Il ritardo nella diagnosi della patologia, derivante dell’omissione, da parte dei sanitari della clinica, dell’effettuazione dell’esame istologico, ha cagionato nel paziente, oltre ad una compromissione della funzione deambulatoria (causata dai plurimi interventi chirurgici, via via sempre più demolitivi) anche una crescita incontrollata della neoplasia, con l’insorgenza di metastasi diffuse in una pluralità di regioni anatomiche del corpo e aumento del rischio di recidiva.
Gli approfondimenti investigativi (consistiti in intercettazioni telefoniche, consulenze tecniche di carattere medico, grafologico e contabile nonché in altri approfondimenti di carattere tecnico), facevano emergere come il comportamento tenuto dai sanitari, lungi dal potersi considerare isolato, fosse il frutto di una prassi instaurata da tempo dai Dirigenti amministrativi e sanitari della clinica DI STEFANO VELONA.
Per questo, secondo i magistrati, è stata riconosciuta la responsabilità amministrativa dell’ente.
Per gli Amministratori della clinica, inoltre, è stata disposta la misura interdittiva del divieto di esercitare Uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese per la durata di 12 mesi; per il Direttore Sanitario e per i tre sanitari è stata disposta la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico servizio di medico.
È stata, inoltre, disposta la misura cautelare reale del sequestro preventivo (anche per equivalente) del denaro, dei beni e delle disponibilità finanziarie e delle altre utilità riconducibili agli indagati ed all’ente stesso.
Infine, nei confronti della casa di cura DI STEFANO VELONA s.r.l., è stata disposta la sospensione per la durata di un anno dell’autorizzazione regionale all’attività ambulatoriale e dell’accreditamento istituzionale presso il Servizio Sanitario Nazionale.
Barbara Contrafatto
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