Dalla telefonata di Vincenzo si capiva che Augusta stava male. Neanche un mese fa era venuto dalle mie parti per acquistare del miele di Zafferana Etnea, e lui, Vincenzo, voleva vedermi. Niente di specifico, semplicemente per amicizia, che per un uomo coi valori di Vincenzo è tutto. Un saluto, delle parole profonde, un abbraccio, come era successo l’ultima volta che ci eravamo visti assieme ad Augusta e a lui: lo scorso 26 maggio a Belpasso, in occasione del ventiseiesimo anniversario della strage di Capaci.
Quel giorno di un mese fa, Vinenzo era partito apposta da Palermo per portarlo a lei, quel miele, alla sua Augusta, magari per rendere meno dolorosa la sua sofferenza (di cui sconoscevo l’origine). Per discrezione non chiesi nulla, una-cosa-passeggera, pensai. E però fui anche commosso per quel gesto da innamorati. Che-cosa-delicata, dissi fra me. Vincenzo che alla sua età si mette in macchina e si fa 500 chilometri (fra andata a ritorno) per prendere del miele. Una cosa che neanche a vent’anni…
Oggi purtroppo sono stato smentito. Non era una cosa passeggera. Oggi Augusta Agostino non c’è più. Il movimento antimafia perde una delle “mamme” più coraggiose che hanno sacrificato il proprio figlio in questa guerra crudele e infinita tra Stato e antistato. Una mamma che con discrezione ha lottato per trent’anni per ottenere verità e giustizia sull’assassinio del figlio Nino – agente di polizia, ammazzato a soli ventotto anni –, della moglie Ida Castelluccio e del nipotino che Ida teneva in grembo da un mese.
Da quel 5 agosto 1989 la vita per Augusta e per tutta la famiglia non sarebbe stata più la stessa. Si leggeva nel suo viso eternamente triste, nel suo rarissimo sorriso eternamente amaro, nelle sue parole eternamente discrete e delicate.
C’è un episodio, fra i tanti, che vorremmo ricordare di questa donna. Risale al 28 marzo di due anni fa, quando in occasione del compleanno del figlio, Augusta scrisse una lettera struggente: “Caro Nino, figlio mio, il 28 marzo del 1961 ti ho messo al mondo, la tua nascita venne ufficializzata il giorno successivo. Solo dopo 28 anni ti hanno brutalmente ucciso portandoti via da me”.
Nino compiva cinquantasei anni. Una lettera semplice.
Sì, da quel tragico 5 agosto dell’89 la vita di Augusta e di Vincenzo e di tutta la famiglia non sarebbe stata più la stessa. Lui addirittura si era fatto crescere la barba: “Non la taglierò fino a quando non si scopriranno i mandanti e i killer di mio figlio, di mia nuora e di mio nipote”. Quella barba è sempre più lunga e sempre più bianca.
Nino faceva parte della scorta di Giovanni Falcone, il magistrato che doveva morire il 21 giugno 1989 – tre anni prima di Capaci – nella sua villa all’Addaura, dove si era recato per fare il bagno.
Quella mattina, delle “menti raffinatissime”, come le definì lo stesso Falcone, avevano deciso che il giudice che aveva istruito il maxiprocesso a Cosa nostra doveva saltare in aria, e avevano incaricato i loro artificieri di piazzare il tritolo in mezzo agli scogli. Fortunatamente quel borsone che nascondeva cinquantotto candelotti di esplosivo fu avvistato in tempo dagli agenti (in primis Nino Agostino) e la strage fu evitata. Lo stesso Falcone, riferendosi all’agente Agostino, dichiarò: “Io a quel ragazzo gli devo la vita”. E si recò al suo funerale, assieme a Paolo Borsellino, per rendergli omaggio.
Ma Nino aveva visto qualcosa che non doveva vedere: qualcuno che conosceva e che faceva il doppio gioco con la mafia (e non solo). E cominciò a indagare. Fu un’estate bella e terribile quella dell’89.
Bella perché pochi giorni dopo l’Addaura, Nino avrebbe sposato Ida, la compagna di una breve vita alla quale confidava anche le cose più inconfessabili del servizio. Terribile perché entrambi sarebbero andati incontro alla morte appena un mese dopo, quando lei aspettava il bambino.
Quel 5 agosto la coppia si era recata nella casa dei genitori di Nino, a Villagrazia di Carini. C’era il compleanno della sorella, una delle tante ricorrenze che questa famiglia unita e tradizionalista ha sempre amato festeggiare insieme.
Un giorno spensierato. Nino aveva deciso di non portarsi neanche la pistola di ordinanza. Neanche il tempo di scendere dalla macchina ed ecco un gruppo di sicari armati fino ai denti che sparano una gragnuola di colpi ed uccidono gli sposi, compresa la minuscola creatura che Ida porta in grembo.
Vincenzo e Augusta escono in strada, cercano di soccorrere il figlio e la nuora, ma è troppo tardi. Prima dell’arrivo dell’ambulanza, il padre prende il portafogli del figlio e trova un biglietto. Lo apre e legge: “Se mi succede qualcosa andate a guardare nell’armadio della mia stanza da letto”. Vanno in quella camera, qualcuno li ha anticipati; era successo sette anni prima con la cassaforte del generale Dalla Chiesa, ed è successo in quel momento: i documenti sono spariti da quell’armadio. Appunti che Nino aveva preso nelle settimane precedenti sull’attentato all’Addaura.
Le indagini dei primi anni furono semplicemente scandalose: la Squadra mobile seguì una inesistente “pista passionale”, malgrado gli indizi di segno opposto. Poi fu ancora peggio. Da certi armadi sparirono verbali, identikit e testimonianze. Un depistaggio in piena regola. Eppure i fatti, fin da subito, erano fin troppo chiari.
Poco tempo prima del fallito attentato a Falcone, due sedicenti colleghi di Nino si erano presentati nell’abitazione dei suoi genitori per chiedere notizie dell’agente. “Uno dei due aveva la faccia da mostro”, ha sempre dichiarato Vincenzo Agostino. Secondo il pentito Giovanbattista Ferrante, neanche l’indagine interna ordinata da Totò Riina in persona sortì effetti: i killer di Nino Agostino non erano di Cosa nostra, erano “esterni”. Sarebbe dovuto arrivare il collaboratore di giustizia Oreste Pagano per dichiarare che il poliziotto “è stato ucciso perché voleva rivelare i legami mafiosi con alcuni della questura di Palermo. Anche sua moglie sapeva: per questo hanno ucciso anche lei”.
Verità che fin dall’inizio sono state occultate. Verità che fin dall’inizio i genitori di Nino hanno saputo, ma che non sono state ascoltate da chi aveva il dovere di farlo.
Il ventotto marzo di due anni fa, Augusta ha scritto questa bellissima lettera dedicata al figlio: “Domenica scorsa abbiamo festeggiato l’ottantesimo compleanno di tuo padre chiedendo di apparecchiare un posto anche per te. Ci sei mancato Nino, ti ricordo sempre mentre guardi il mare… Sei rimasto al mondo per un periodo troppo breve ma hai lasciato un’impronta indelebile. Buon compleanno Nino. La tua mamma e il tuo papà”.
Addio Augusta. Anche tu, come Nino, hai lasciato un’impronta indelebile. E grazie.
Luciano Mirone
Ho tanto pianto mentre leggevo questa storia. Bisogna viverle sulla pelle certe esperienze, certi lutti per capirli profondamente . Il coraggio di Nino è un insegnamento di vita e anche quello di Augusta. Riposa in pace cara nelle braccia del Signore. Ora ritroverai i tuoi cari dolce e cara Augusta .