Dici “duecentomila” e il professore Filippo Gravagno risponde: “Spaventoso”. Dice proprio così il docente di Pianificazione urbanistica dell’Università di Catania a proposito del numero di abitanti che, secondo lo Schema di massima del nuovo Piano regolatore di Belpasso (Ct) proposto dall’ex Giunta guidata da Carlo Caputo ed approvato dal Consiglio comunale nel 2015, sono insediabili in quel territorio.

Insediabili ovviamente in base al patrimonio edilizio esistente costruito in gran parte abusivamente negli ultimi deenni. Quindi a Belpasso (comune dove attualmente risiedono 28mila abitanti) teoricamente può stanziarsi una popolazione equivalente a quella di una grande città come Messina.

Belpasso vista dall’alto. Sopra: il professore Filippo Gravagno, docente di Pianficazione urbanistica all’Università di Catania

Professore, perché considera “spaventoso” questo dato?

“Perché non si doveva arrivare a una cifra del genere”.

Negli ultimi dieci anni Belpasso ha sviluppato una percentuale di abusivismo edilizio (233mila metri cubi di cemento) inferiore solo a Gela e a Palma di Montechiaro, ma superiore a tutti gli altri comuni dell’Isola, compresi addirittura Palermo, Catania e Messina.

“Per questo dico che bisognava intervenire a monte, impedendo che ci fosse uno sviluppo edilizio di queste dimensioni”.

Cosa si dovrebbe fare?

“Reinventarsi qualcosa”

Cosa?

“Tutte le attività commerciali dovrebbero essere necessariamente mantenute all’interno del tessuto urbano esistente, azzerare qualsiasi ipotesi di centro commerciale o di nuove aree commerciali fuori e quindi reinventare sistemi in cui l’Urban market diventi fondamentale”.

Cos’è l’Urban market?

“Delle strade e delle piazze attrezzate, all’interno delle nostre città, per consentire alle persone di potere trovare nei centri storici una pluralità di beni da acquistare”.

Come succedeva prima dell’insediamento dei centri commerciali?

“Esattamente. Dall’abbigliamento all’elettronica, dai libri al cibo, eccetera. Quello che un tempo c’era nelle nostre piazze, ora è profondamente in crisi: le attività commerciali stanno andando via, il centro storico si desertifica, l’antico patrimonio edilizio si depaupera”.

Nello Schema di massima questo è accennato?

“Diciamo che non vedo delle analisi serie, ma soprattutto non ci sono delle proiezioni serie, e se non ho le proiezioni e non capisco dove sto andando, difficilmente posso costruire delle misure che mi permettano di invertire questi trend”.

Belpasso. Piazza Sant’Antonio, considerata come tutte le altre piazze, “verde pubblico attrezzato” dal nuovo Prg (foto ed elaborazione grafica Antonino Girgenti)

Può spiegare più semplicemente?

“Non sono state prese in considerazione le aree ‘derelitte’ del territorio, cioè quelle aree che hanno perso le loro funzioni originarie: per esempio le aree agricole, i terrazzamenti, le aree urbane. Non si dice se queste porzioni di territorio stanno perdendo le loro funzioni rispetto all’uso per le quali erano state destinate”.

Nello Schema si parla della desertificazione del centro urbano?

“Non mi pare che ci siano degli studi su questo argomento, così come non mi sembra di aver visto riferimenti al Piano commerciale (Puc), che dovrebbe essere un altro documento su cui ragionare e da cui dedurre una serie di riflessioni”.

Di fronte a queste criticità quali dovrebbero essere i rimedi?

“Per esempio impedire che una serie di funzioni urbane vengano concentrate o esternalizzate fuori da questo tessuto. Questo, dai dati contenuti nello Schema di massima, non lo deduco”.

Cosa bisogna reinventare?

“Belpasso attualmente vive una condizione che probabilmente la esclude da alcuni circuiti turistici: chi viene sull’Etna e arriva all’aeroporto di Catania, forse non sceglie Belpasso, sia perché è complicato arrivarci, sia perché onestamente a Belpasso non trova niente. Quindi se si riesce a valorizzare il territorio, probabilmente si è in grado di alimentare una nuova economia”.

A fronte di 200mila persone potenzialmente insediabili in edifici in gran parte abusivi, cosa bisognerebbe fare?

“Intanto prevedere i Piani di recupero degli insediamenti abusivi. E qui c’è un grosso lavoro di progettazione e di analisi  che va sicuramente fatto: impianti stradali, verde, servizi che abbiano funzioni aggreganti: è qui  che si gioca il futuro delle nostre città. In un patrimonio di 200mila abitanti insediabili, ci sono sicuramente seconde e terze case, o edifici di dimensioni enormi in cui abitano due sole persone. Quindi bisogna trovare un modo che possa permettere a questi 200mila vani di svolgere delle funzioni che ne giustifichino economicamente l’esistenza”.

Belpasso. Piazza Borsellino, considerata “verde pubblico attrezzato dal nuovo Prg” (foto ed elaborazione grafica Antonino Girgenti)

E però succede che quando il Consiglio comunale è chiamato a esprimersi su un argomento fondamentale come l’abusivismo edilizio i consiglieri sono sempre assenti.

“Non voglio entrare nel merito delle dinamiche politiche, ma voglio ribadire che in questo momento la comunità di Belpasso si fa carico economicamente della manutenzione di una città che potrebbe ospitare 200mila persone. Uso la parola ‘spaventoso’ non a caso: un conto è che una città di 200mila abitanti la distribuisci su 200mila stipendi, un conto è che i costi di questa stessa città li distribuisci su 28mila”.

Può dire concretamente come questo costo viene addossato agli abitanti?

“Stiamo parlando delle tasse ordinarie (Imu, rifiuti, ecc.), degli allacci idrici ed elettrici, della manutenzione ordinaria e straordinaria. Questi costi hanno un’incidenza di circa 700 Euro a vano. Se moltiplico 200mila per 700 ricavo il costo complessivo effettivo di questo patrimonio edilizio: 140 milioni di Euro”.

Quindi?

“Quindi se ho un reddito di 2mila-2mila 500 Euro al mese, con una percentuale di questo posso coprire questi costi, ma se ho un reddito inferiore non potrò mai sostenerli. Il destino di questi pezzi di territorio è da reinventare: non li potrai neanche ricollocare in un mercato poiché non ci sarà più domanda. Quindi il rischio è quello di avere parti di città e di territorio improduttivi”.

Belpasso. Piazza Duomo (foto ed elaborazione grafica Antonino Girgenti)

E allora?

“Ci vogliono studi seri per capire quali sono le dinamiche evolutive di questo territorio dal punto di vista ambientale, economico, ecologico e sociale. Finora non sono stati fatti”.

Il fatto che lo Schema di massima consideri come Verde pubblico le piazzette con qualche alberello cosa vuol dire?

“Che non è stata capita l’importanza del verde”.

Eppure la parola “verde” è stata parecchio sbandierata dalle ultime amministrazioni di Belpasso.

“Il verde ha una funzione ecologica legata a tante cose, dalla chiusura del ciclo dell’acqua alla fruizione di spazi alberati sottratti al cemento e fruibili dai cittadini”.

Considerare “spazi verdi” delle piazze ricoperte da mattonelle o da asfalto rientra in questa logica?

“Il ‘verde’ ha assunto una funzione ecologica a partire dagli anni Ottanta. Prima aveva una funzione prevalentemente ricreativa: veniva definito ‘verde’ qualsiasi spazio legato alla funzione ricreativa (una piazza, ma anche una piscina, una palestra o un campo di calcio). Noi abbiamo ereditato queste leggi. Però col tempo abbiamo capito che il ‘verde’ ha anche delle funzioni ecologiche. Infatti abbiamo cominciato ad inserire categorie di verde un poco più articolate. Si parla sempre più di parchi suburbani, pur in presenza di regole vecchie. Quindi se stiamo parlando del verde che serve a garantire il rispetto degli standard richiesti dal decreto 1444 del 1968 ci siamo: una piazza è da considerare uno spazio verde. Ma se parliamo di verde rispetto alle nuove emergenze ed esigenze, siamo completamente fuori strada. Lo stesso discorso vale per il tema idrogeologico”.

Belpasso. Piazza Sant’Anna (foto ed elaborazione grafica Antonino Girgenti)

Ovvero?

“Sappiamo che nei prossimi anni il clima non sarà più lo stesso. Sappiamo che avrà maggiori problematicità. Come stiamo attrezzando il nostro territorio? Intanto è necessario capire quali sono le maggiori aree di criticità, ma soprattutto dove domani ci saranno ulteriori problemi, in modo da prevenire questi fenomeni. Da questo punto di vista, allo stato attuale, c’è un dibattito a livello internazionale su come sia necessario chiudere il ‘ciclo dell’acqua’”.

Che vuol dire “chiudere il ciclo dell’acqua”?

“Fare in modo che le nostre città, per continuare a svolgere funzioni dignitose, non compromettano la risorsa idrica necessaria alle altre componenti vitali del territorio. Una città che oggi consuma 300 litri al giorno per abitante, bisogna portarla a consumarne 50. Questo significa realizzare impianti, attrezzature (in parte verdi, in parte tecnologiche, in parte recuperando vecchie abitudini e tradizioni) che limitino di molto il consumo idraulico e al tempo stesso diano la possibilità di riciclare l’acqua. Per lo sciacquone del bagno non devo usare acqua potabile, ma quella meteorica, che invece di essere mandata in strada dove mi crea problemi di sicurezza, può essere raccolta e usata”.

Non è complesso tutto questo?

“Certamente. E soprattutto è molto difficile riuscire a coinvolgere gli abitanti in meccanismi di consapevolezza rispetto alle dinamiche con le quali dovranno confrontarsi le nostre città nei prossimi anni”.

Qual è il suo parere sullo Schema di massima del Prg di Belpasso?

“Costruire un Piano regolatore è un processo che produce dei documenti. La qualità finale del documento dipende dal percorso del processo: cioè cosa ho fatto, come ho ragionato, come sono arrivato alla produzione di quel documento. Lo Schema di massima di Belpasso probabilmente sconta dei limiti”.

Quali?

“Si evince che sicuramente non c’è stata molta discussione con i cittadini. Mi permetto di dire che c’è una scarsa attenzione ai fatti ecologici che tra l’altro dovevano essere alimentati dal processo di Valutazione ambientale strategica (Vas), che ha una grande rilevanza, perché dovrebbe contenere quegli studi sulle dinamiche ecologiche ed ambientali presenti sul territorio. Tutto questo dallo Schema di massima non si rileva”.

Luciano Mirone