Belpasso (Catania). Da un lato un abusivismo edilizio tra i più spaventosi della Sicilia, dall’altro una classe politica che – quando è chiamata a discutere su questo argomento – si assenta dall’aula per non affrontare il punto. Questo il contesto nel quale L’Informazione, nei giorni scorsi, ha realizzato l’intervista con il professore universitario di Pianificazione urbanistica Filippo Gravagno per capire il fenomeno di questo comune siciliano che occupa il terzo posto in classifica per abusivismo edilizio dopo le famigerate Gela e Palma di Montechiaro. Un’intervista che – tradotta nel linguaggio comune – conferma i limiti di una politica inadeguata a programmare il futuro.
Inadeguata quando vota lo Schema di massima del nuovo Piano regolatore generale (Prg) con le carenze di cui Gravagno parla: piazze con qualche alberello spacciate per “verde pubblico attrezzato”, mancanza di uno studio “serio” sull’abusivismo del territorio e sulla desertificazione del centro abitato, assenza di una strategia complessiva di risanamento e di sviluppo economico.
Inadeguata quando – pur mostrando buona volontà su alcuni temi sollecitati dalla Società civile – dimostra di essere parte integrante di un sistema di cui l’abusivismo edilizio è una delle colonne portanti.
E se fino a quando di tutto questo si occupava qualche testa calda, il fenomeno poteva anche essere snobbato; ma dal momento in cui la Regione Siciliana ha certificato che questa cittadina in provincia di Catania ha raggiunto i 233mila metri cubi di cemento sparsi nel territorio solo negli ultimi dieci anni, qualche preoccupazione dovrebbe sorgere; quando lo stesso Comune attesta che il patrimonio edilizio complessivo del territorio è di 20 milioni di metri cubi di cemento; quando attesta che in questa jungla di cemento c’è posto per 200mila persone (gli attuali residenti sono 28mila), cioè l’equivalente dei residenti di una grande città come Messina, ci sono tutti gli elementi per parlare di un caso nazionale.
Cos’è il Caso Belpasso? La storia di un paesino delizioso alle pendici dell’Etna che dagli anni Settanta in poi ha perso progressivamente parte della sua bellezza e della sua identità a causa di una politica scriteriata portata avanti ora da gente senza amore, ora senza competenza, ora senza una visione strategica, ora dai furbastri.
L’intervista a Gravagno è stata letta da un sacco di gente, ma dal “Palazzo” è arrivato solo un imbarazzante silenzio. Evidentemente quello che dice il docente universitario è vero e nessuno è in grado di sconfessarlo.
Qual è la situazione di Belpasso oggi? La famigerata “era dei geometri” – che indubbiamente ha avuto un ruolo preponderante nel riempire di cemento l’intero territorio – è stata sostituita dall’”era dei giovani”, di cui la palma di ideologo e di leader spetta senza dubbio all’ex sindaco Carlo Caputo, in attesa che il presidente della Regione Nello Musumeci lo nomini alla presidenza del Parco dell’Etna – come si vocifera da tempo –, ente che ha un ruolo fondamentale nel controllare e contrastare l’abusivismo edilizio.
Ma è bene che Musumeci – prima di assumere una decisione così delicata – sappia che Caputo, dopo essere stato il delfino dell’ex sindaco di Belpasso, Alfio Papale, ora deputato di Forza Italia all’Assemblea regionale siciliana, fra i principali artefici di questo epocale processo di cementificazione, non ha mai espresso un minimo dissenso pubblico negli anni in cui il suo comune cominciava ad appaiare Gela e Palma di Montechiaro.
È vero – come lo stesso Caputo ha sempre sbandierato – che una volta in Consiglio comunale votò “no” a un mega progetto di cementificazione, ma è anche vero che è rimasto tranquillamente inchiodato all’interno di un sistema che lo ha garantito come consigliere comunale, come assessore, come vice sindaco e infine come primo cittadino. A un certo punto ha rotto col suo leader. E’ successo nel 2013, nel momento in cui è stato eletto sindaco, cioè quando ormai dell’Onorevole poteva fare a meno. A parole diceva di essere alternativo al “Sistema Papale”, nei fatti ne ha creato un altro.
È bene che Musumeci – nel valutare questa nomina – sappia che Caputo, nel mettersi “in proprio”, ha tolto il Piano regolatore a un luminare dell’urbanistica come Leo Urbani, che per legge avrebbe dovuto consegnarlo al Comune dopo soli otto mesi, e lo ha affidato all’Ufficio tecnico comunale (Utc), dicendo di seguire i dettami della normativa vigente, ma tacendo il fatto che la stessa normativa “deve” condizionare una decisione così delicata agli strumenti di cui l’Ufficio tecnico dispone. Se gli strumenti ci sono il Piano lo redige il Comune, se non ci sono lo fanno gli urbanisti esterni, magari dopo essersi aggiudicati un regolare bando, come è successo nel caso di Urbani.
Caputo ripeteva come un mantra che un Comune virtuoso come il suo doveva risparmiare i 200mila Euro da dare a Urbani (e però contemporaneamente perorava la causa di un mini parcheggio – una ventina i posti-auto – per la “modica” cifra di 1 milione di Euro, ma questa è un’altra storia).
Meglio dunque – ecco il ragionamento caputiano – un consulente esterno nominato direttamente da lui che avrebbe dovuto sovraintendere al lavoro dell’Ufficio. Compenso: 1500 Euro al mese. Per gli anni in cui ha avuto l’incarico, fatevi il conto quant’è. Per cosa? Per partorire uno Schema di massima che, stando alle parole di Gravagno, non appare così proiettato verso il futuro.
Oggi l’attuale sindaco Daniele Motta segue lo stesso modello: nomina un suo “consulente”, a riprova che l’Ufficio tecnico non ha gli strumenti per operare, specie ora che il capo del settore Urbanistica è stato trasferito ad altro Comune e il caos regna sovrano. Altri soldi, non sappiamo per quanti anni, dato che lui stesso non esclude che per completare l’iter del Prg sia necessario (almeno) un altro quadriennio. Non sappiamo la cifra precisa sborsata e da sborsare (attendiamo lumi), ma ci chiediamo: lo scandalo erano i 200mila Euro per Urbani?
Per cosa? Per un Piano regolatore dalle qualità quantomeno dubbie, almeno a giudicare dagli atti prodotti finora (“del futur non c’è certezza”, direbbe il poeta). E intanto saranno trascorsi (almeno) nove anni. Ecco perché per capire il “Caso Belpasso” bisogna capire il “Sistema Papale” (di cui parliamo da decenni), ma anche il “Sistema Caputo” (che va studiato a fondo).
Un Sistema che nasce nel 2013 (anche se le basi sono state sapientemente gettate negli anni precedenti), quando il buon Carlo – come il predecessore – capisce che per diventare sindaco ha bisogno dei voti determinanti delle frazioni, una dozzina di agglomerati sorti in campagna dove, nel corso degli anni, si è concentrata gran parte della cementificazione: mega capannoni nati come “agricoli” ma destinati a tutt’altre attività; case di diversi piani (perfino di sei, come nelle grandi città) costruite per i figli e per i nipoti; centri commerciali che hanno ucciso l’economia di mezza provincia, eccetera eccetera eccetera.
Per ottenere lo scopo Caputo stipula un’alleanza elettorale con Giuseppe Zitelli, residente nella frazione di Piano Tavola, che qualche tempo dopo, (anche) con quei voti, diventerà deputato regionale di Diventerà bellissima, il movimento del governatore Musumeci nel quale milita lo stesso Caputo, l’attuale sindaco Motta, e l’intera maggioranza del Consiglio comunale.
Diventato sindaco, Caputo, assieme a Zitelli (che alla Regione si distingue per aver presentato un progetto di legge per ridurre drasticamente i vincoli del Parco dell’Etna), incontra spesso gli abitanti delle frazioni. E davanti alla folla plaudente tira fuori degli argomenti che qualche perplessità, onestamente, la suscitano.
Ci corregga lo stesso Caputo se sbagliamo: è vero che nel 2015 diffuse un volantino dove prometteva i “Piani di recupero dei villaggi periurbani” con piazze, chiese e strade di collegamento? Chi avrebbe realizzato i servizi necessari a garantire gli standard urbanistici? Il comune? I privati? Con quali risorse? Per quale mercato?
Ora, se è vero che questi Piani devono servire per recuperare l’abusivismo pregresso, dallo Schema di massima (che lui stesso ha portato in Consiglio comunale per l’approvazione) si deduce che il patrimonio edilizio di Belpasso è ultra saturo (ripetiamo: 20 milioni di metri cubi di cemento negli ultimi decenni, che potrebbero ospitare 200mila persone) e quindi, a rigor di logica, da non incrementare con altre costruzioni. Ma allora perché lo stesso Caputo nel volantino scrive che in quelle frazioni, “con progetti standard suggeriti dal Comune, si può ottenere velocemente la concessione edilizia”? Perché, invece di limitarsi a promettere solo il recupero delle frazioni, parla di nuove costruzioni, come se il fenomeno abnorme della cementificazione selvaggia non lo riguardasse? Cosa ha fatto contemporaneamente per contrastare il consumo di suolo ritenuto dagli scienziati la causa principale del dissesto idrogeologico? Perché se i suoi tecnici riportano quelle cifre abnormi, lui stesso non esprime la volontà di fermarle? Perché ha revocato Urbani?
Queste domande avremmo voluto rivolgerle al Caputo sindaco. Purtroppo nel 2018 egli stesso ha deciso di non ricandidarsi per dei motivi misteriosi sui quali non ha mai fornito spiegazioni convincenti. In ogni caso, per una intervista, siamo sempre in tempo e a disposizione.
A completare l’opera ci sono i consiglieri comunali che negli anni di Papale, negli anni di Caputo e negli anni di Motta decidono di non presentarsi in aula quando si deve parlare di abusivismo edilizio. Questo, signore e signori, è il “Caso Belpasso”. Qualcuno ci smentisca coi fatti, non con gli insulti da tastiera.
Luciano Mirone
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