Da stamattina alle 6,30, assistito dalla moglie che gli sta al fianco 24 ore su 24, il sindaco – fino a venerdì scorso – di Misterbianco (Ct), Nino Di Guardo, ha iniziato uno sciopero della fame “fino a quando me lo consentiranno le forze”. Vuole protestare contro lo scioglimento del suo Comune, che lui stesso definisce un “crimine di Stato”, e per segnalare “questa palese ingiustizia al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al quale ho appena scritto”.
E’ furibondo Di Guardo: ce l’ha col prefetto Claudio Sammartino, di cui chiede le dimissioni (“ha preso un abbaglio”), perché con la sua relazione al ministro dell’Interno, ha dato il là per l’azzeramento degli organi “eletti democraticamente dai cittadini”.
Ce l’ha col quotidiano “La Sicilia”, “che inserisce nelle pagine provinciali un fatto così importante che andrebbe messo in risalto almeno a livello regionale”.
Ce l’ha col vicino sindaco leghista di Motta Sant’Anastasia, Anastasio Carrà (vedremo perché), che con Misterbianco condivide il drammatico problema della discarica di rifiuti più grande della Sicilia.
Ce l’ha coi Vigili urbani del suo Comune, che qualche minuto fa gli hanno redatto un verbale per divieto di sosta, dato che “per un fatto eccezionalmente politico come questo”, col camper (che dovrà supportarlo per lo sciopero della fame) ha posteggiato davanti al municipio nello spazio riservato alle moto.
Ce l’ha col suo partito, il Pd, che a livello governativo ha ratificato un provvedimento istruito dal passato esecutivo pentastellato.
Insomma, stamane Nino Di Guardo è un fiume in piena, molto più che nel 1991, quando la criminalità organizzata, nel giro di pochi giorni, aveva ucciso l’allora leader della Dc locale Paolo Arena e arso vivo il diciottenne Giuseppe Torre, figlio di un boss. Allora l’attuale sindaco (oggi Pd, ieri consigliere comunale del Pci) veniva aggredito verbalmente in Consiglio perché si permetteva di dire che il Comune di Misterbianco andava sciolto per le gravi infiltrazioni di Cosa nostra. “Era un periodo in cui il sangue scorreva copiosamente per strada ed io rischiavo di essere ammazzato”.
L’odio nei suoi confronti si acuì quando lui stesso prese l’aereo e si recò a Milano nientemeno che da Giorgio Bocca di Repubblica, uno dei più grandi giornalisti dell’epoca, per smentire quanto aveva affermato al Maurizio Costanzo Show l’allora presidente della Regione Rino Nicolosi, e cioè che Paolo Arena era stato ucciso perché si era opposto ai boss. “Non è vero – disse Di Guardo – : la Dc con la mafia c’è dentro fino al collo”.
Il giorno dopo paginone di Repubblica con richiamo in prima ed ecco che il “caso Misterbianco” divenne nazionale, al punto che in questa cittadina di 50mila abitanti (una zona commerciale tra le più fiorenti della Sicilia) vennero giornalisti di tutta Italia, compresa Maria Grazia Mazzola di “Samarcanda” (mitica trasmissione di Michele Santoro), per accendere i riflettori su uno dei Comuni (allora) “a più alto tasso di infiltrazioni mafiose”.
Nel 1993 – quando si inaugurò l’elezione diretta del sindaco – Di Guardo diventò primo cittadino sbaragliando gli avversari. Oggi, per la quinta volta, siede sulla poltrona più alta del municipio della sua città, ma stavolta quelle accuse gli si sono ritorte contro, ma lui non ci sta. Davanti al camper ha allestito un tavolino riparato da un ombrellone per la raccolta della firme. Lui è seduto, si alza e parla con la gente venuta per esprimergli la propria solidarietà.
Di Guardo, perché pensa che il prefetto ce l’abbia col Comune di Misterbianco?
“Non ce l’ha con questo Comune: semplicemente ha preso un abbaglio. Ha qualificato come mafioso un Comune adamantino come Misterbianco, tutto qui. La città è ferita e frastornata: subisce un’umiliazione che non merita”.
Non è possibile, come scrive Mario Barresi su “La Sicilia”, che “le verità nascoste” possano essere “talmente invisibili da sfuggire anche al controllo di chi (il riferimento è proprio a Di Guardo, ndr.) doveva controllare e che adesso, alzando i toni e la posta, rischia di apparire difensore dell’indifendibile”?
“Non è possibile, perché io che ho fatto il sindaco a tempo pieno, tutto quello che accade al Comune lo so, lo controllo, e quindi posso dire a cuore aperto che questa istituzione, quando c’è stato questo sindaco, non ha mai subito una intimidazione, né una infiltrazione della mafia. Siamo un Comune trasparente. Ovviamente mi riferisco all’ente, poiché nella città i mafiosi ci possono essere, come a Roma, come a Milano, ecc., ma all’interno del municipio posso garantire al mille per mille”.
E le intercettazioni di certi mafiosi, secondo cui, durante la campagna elettorale, le frazioni sarebbero state controllate da loro, “perché a Misterbianco ci pensa Di Guardo”?
“Certo”, dice Di Guardo ironicamente, “io nelle frazioni non ci sono più andato. Se le sono gestite i mafiosi, su c’era a mafia, iù mi stava intra (se ci fosse stata la mafia, io sarei rimasto a casa, ndr.). Ma che dicono, è una vergogna, una stupidaggine di quattro analfabeti mafiosi. Certo che sono andato nelle frazioni durante le elezioni. E quando il prefetto ha inviato a Misterbianco la Commissione per verificare tutto ciò, ho salutato con gioia questo provvedimento. Finalmente, dicevo, scopriranno le carte. Sono stati qui per dei mesi: cosa hanno visto? Ecco perché dico che il prefetto ha preso un incredibile abbaglio. Ecco perché ho chiesto le sue dimissioni. Ha ucciso una città immeritatamente, mortificando una comunità che camminava a testa alta e che ha fatto tantissimi passi avanti dal punto di vista del progresso sociale”.
Quindi lei smentisce di aver favorito la mafia?
“Assolutamente sì. Noi abbiamo assunto quattro persone col sistema della mobilità interna. I concorsi? E chi li fa la Giunta? Li redige l’Ufficio tecnico. Quindi che dicono? E su queste cretinate si imposta lo scioglimento di un Comune? Un crimine di Stato, punto”.
Quali sono le dinamiche che hanno portato allo scioglimento?
“Lo scorso anno c’è stata un’indagine della magistratura sul gioco d’azzardo: nelle frazioni di Lineri e di Monte Palma hanno scoperto che il mio ex vice sindaco Carmelo Santapaola (nessuna lontana parentela col boss catanese) aveva una intestazione fittizia di beni di un bar dove si giocava: c’è stata una retata, nella quale 21 mafiosi sono stati arrestati. L’ex vice sindaco, dimessosi subito, è stato accusato di questo (intestazione fittizia di beni), non di mafia. Dopodiché il senatore del M5S Mario Giarrusso (componente della Commissione parlamentare antimafia) ha presentato un’interrogazione, dicendo che il Comune di Misterbianco andava sciolto per infiltrazioni mafiose”.
Quindi un input importante viene dato dall’interrogazione di Giarrusso?
“Certo, ma si tratta di una interrogazione fasulla, in quanto, come ha dichiarato successivamente il Giudice per le indagini preliminari, l’ex vice sindaco Santapaola (benché abbia questo cognome pesante) non è parente del famoso boss catanese. Inoltre il Gip sostiene che l’ex vice sindaco non appartiene e Cosa nostra e che non ha agito per favorire la mafia. Si tratta di un amministratore il quale, da privato, ha commesso questo reato. Che c’entra col Comune? In ogni caso si è dimesso subito. Adesso ci sarà un processo e risponderà davanti ai magistrati. Ma da qui a dire che al Comune c’è la mafia ne corre”.
Ma nelle intercettazioni si parla di mafiosi che parlano di posti di lavoro, di appalti, di gestione del verde pubblico.
“Chiacchiere, farneticazioni di quattro pazzi fuori dal mondo”.
Il provvedimento di scioglimento era stato preso dal governo precedente Lega-M5S e ratificato da quello attuale (Pd-M5S)?
“Certo. E’ da un anno e mezzo che se ne parla. La verità è che hanno pressato”.
Chi ha pressato?
“Al centro c’è il problema della discarica di rifiuti più grande della Sicilia. Il sindaco di Motta Sant’Anastasia è il primo sindaco della Lega in Sicilia. E siccome il nemico della discarica si chiama Nino Di Guardo (di cui da tempo chiede la chiusura), e il sindaco di Motta è amico, in quanto il proprio figlio, fino a poco tempo fa, lavorava in quella struttura, tante cose si possono capire da questi particolari”.
Ovviamente lei si assume le responsabilità delle sue dichiarazioni.
“Sono cose che ho detto anche al comizio di ieri sera davanti a 2mila persone”.
Sì, ma il provvedimento di scioglimento è arrivato da questo governo, nel quale c’è il Pd, il suo partito.
“I funzionari del Ministero dell’Interno sono quelli nominati dalla Lega e hanno detto: Misterbianco va sciolto. L’unico comune della provincia di Catania di 50mila abitanti amministrato dalla sinistra: un Comune efficiente e con i migliori servizi per quanto riguarda scuole, asili nido, trasporti, finanziamenti e tanto altro. Decapitare questo Comune è stata una scelta politica per le forze avverse”.
Cosa farà adesso?
“Appena verrà pubblicato il decreto di scioglimento farò ricorso al Tar, ma siccome io non vivo solo del ricorso ma c’è il sangue che bolle per una ingiustizia subita, per una violazione tremenda, io protesto con questo sciopero e vorrei che questo caso diventasse nazionale. Si dovrebbe aprire un dibattito rispetto a una legge che va modificata. Ci vogliono elementi concreti, sennò torniamo alla caccia alle streghe. Se ci sono prove che si sciolga un Comune, ma sulle fantasie non si può uccidere la democrazia”.
Il Consiglio comunale può dire che non sia infiltrato?
“E’ emersa una intercettazione nei confronti di un consigliere dell’opposizione: è emerso dalle carte che durante la campagna elettorale del 2017 ha fatto telefonare dalla sua segretaria ai boss locali”.
E nei confronti dei consiglieri della maggioranza?
“Nulla”.
Lo scioglimento del Comune durerà 18 mesi, nel corso dei quali saranno inviati i commissari governativi. Dopo si ricandiderà?
“Spero di tornare prima dei 18 mesi. In caso contrario, se avrò vita e salute, certamente. Il mio Comune non lo abbandono”.
Luciano Mirone
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