C’è un’antimafia che non è solo “contro”, ma “per”. C’è un’antimafia che non si limita a denunciare la mafia, ma valorizza il territorio per dare occupazione, fare biodiversità, rispettare l’ambiente.
È l’antimafia rappresentata ieri dal sindaco di Troina (Enna), Fabio Venezia, cui, per le intimidazioni subite dall’Azienda pubblica più grande d’Italia (promossa dal Comune e dedita all’agricoltura di qualità e alla zootecnia), hanno espresso la loro solidarietà i primi cittadini di tanti comuni siciliani, oltre al presidente della Commissione regionale antimafia Claudio Fava, all’associazione anti estorsione di Catania (Asaec) e a una miriade di sigle votate all’agricoltura biologica e allo sviluppo del territorio.
Fra queste, il Presidio partecipativo del Patto del Fiume Simeto, un’iniziativa portata avanti diversi anni fa dai cittadini di dieci comuni della Valle (Paternò, Adrano, Biancavilla, Belpasso, Ragalna, Santa Maria di Licodia, Motta Sant’Anastasia, Centuripe, Regalbuto e Troina) che ha il fine di valorizzare le risorse (la natura, i castelli, i centri storici, i siti archeologici, le testimonianze della civiltà contadina, il cibo, l’agricoltura e tanto altro) che si trovano in questo vasto territorio.
Diciamo questo perché ieri alla manifestazione di Troina abbiamo percepito un ulteriore salto di qualità nell’antimafia siciliana: non più e non solo messaggi di denuncia, ma messaggi carichi di speranza che prendono le mosse dal lavoro di centinaia di cittadini partiti per fare una battaglia “contro”
(a Paternò contro la realizzazione dell’inceneritore nella Valle del Simeto, ad Adrano idem, a Motta Sant’Anastasia contro la discarica più grande della Sicilia orientale, a Centuripe contro il rischio di un’altra discarica, altrove contro la cementificazione selvaggia), che si ritrovano oggi per fare una battaglia “per”, pur tenendo sempre in considerazione il “contro” che è sempre acquattato dietro l’angolo (in Sicilia una battaglia non si vince mai definitivamente). Non più delle iniziative di dissenso nei confronti dello Stato, della Regione e dei Comuni, ma un progetto politico nuovo perché parte “dal basso” e si collega idealmente ai movimenti della Puglia che lottano per difendere quei meravigliosi ulivi millenari dalla distruzione del gasdotto, e anche ai movimenti mondiali che combattono per il riscaldamento del clima, per l’ambiente, per evitare la distruzione della foresta amazzonica, per solidarizzare con i popoli indigeni schiacciati dal cinismo delle multinazionali, per salvaguardare la biodiversità.
Proprio per questo l’evento promosso ieri in questo antichissimo paesino della provincia di Enna, 9mila abitanti, a due passi da Gagliano Castelferrato – l’ultimo luogo visitato da Enrico Mattei (un ex partigiano che credeva in un’Italia migliore), prima di subire l’attentato aereo che il 27 ottobre 1962 lo fece a pezzi, assieme al pilota e a un giornalista americano che stava raccontando il sogno dell’ex presidente dell’Eni in Sicilia – , l’evento di ieri, dicevamo, è come se ci avesse fatto salire su una macchina del tempo e ci avesse riportati indietro nella storia.
Non perché qui si stanno facendo dei passi indietro, anzi, al contrario, perché si sta avanzando verso qualcosa di nuovo che non sappiamo neanche definire, ma che sembra la ripresa di un filo spezzato. Il filo spezzato delle battaglie contadine degli anni Cinquanta, portate avanti per un’equa riforma delle terre, ma anche per una Sicilia nuova, diversa, libera dai soprusi e dalle prepotenze mafiose. Quel filo che si ruppe con la strage di Portella della ginestra, coi delitti dei grandi sindacalisti come Placido Rizzotto, Salvatore Carnevale, Accursio Miraglia, di centinaia di contadini e capilega trucidati da Cosa nostra.
Con l’emigrazione che poi completò l’opera. E nel frattempo la mafia, dalle campagne, si spostò a fare affari nelle città della Sicilia occidentale (Palermo, Agrigento, Trapani soprattutto), in attesa di radicarsi trent’anni dopo nella parte orientale dell’isola, a cominciare dalle province “babbe” di Catania e di Messina.
Oggi è nuovamente la campagna – seppure in modo differente rispetto ad allora – l’epicentro degli interessi mafiosi. Adesso basta occupare con le “vacche sacre” (secondo la definizione del sindaco di Troina) un fondo agricolo e chiedere i finanziamenti a Bruxelles e il gioco è fatto. Chi si oppone muore, oppure è oggetto di minacce di ogni tipo, da Tortorici a San Fratello, da Cesarò a Troina: terre di nessuno dove le solite famiglie impongono le proprie leggi. Il protocollo Antoci (dal nome dell’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci), preso a modello da diverse istituzioni, è stato un primo strumento per contrastare il fenomeno, ma non basta. È necessaria la partecipazione dei cittadini, la sinergia fra la Società civile e la migliore classe politica per fronteggiare questi eventi e per dire che la terra è nostra e non di Cosa nostra. Questo – decodificato attraverso le parole – ci ha detto la manifestazione di Troina di ieri. L’epicentro della nuova frontiera è (anche) qui.
Luciano Mirone
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