“Annunciamo l’avvio di ulteriori azioni legali sul piano nazionale, europeo e internazionale. Porteremo il caso in tutte le sedi opportune, convinti che non si possa fare e permettere di fare della terra e della sua popolazione, ciò che si vuole, e del territorio pugliese un business a beneficio esclusivo di pochi”.
È duro il documento firmato dall’associazione “Bianca Guidetti Serra”, dal Comitato per la Salvaguardia dell’Ambiente e del Territorio-Valle d’Itria, e dal Popolo degli Ulivi, che annuncia le prossime battaglie per salvaguardare quel patrimonio inestimabile costituito dai maestosi ulivi millenari presenti in Puglia, e specificamente nel Salento.
Ed è il Salento il centro di durissime battaglie fra chi ritiene di estirpare migliaia di ettari di ulivi monumentali a causa del batterio della “Xylella fastidiosa” (e al loro posto piantare delle varietà più resistenti, che però non hanno la maestosità degli antichi ulivi, ormai parte integrante del paesaggio pugliese), e chi pensa che quegli alberi vadano tutelati e curati in modo diverso, poiché, secondo quest’altra corrente di pensiero, non sarebbe la Xylella a causare il disseccamento delle piante, presente “in quantità non rilevanti”, ma l’uso indiscriminato di antiparassitari che stanno avvelenando i terreni, come avvenuto – si legge – negli anni Settanta.
Le quattro pagine che le associazioni firmatarie hanno diffuso, prendono le mosse dall’inchiesta svolta dalla Procura di Lecce “sulla diffusione colposa di malattia delle piante”. Dice proprio così il documento: “colposa”.
E anche se la magistratura salentina – è scritto – “non è riuscita a dimostrare ‘il nesso causale tra le accertate condotte degli indagati … ed il delitto colposo di inquinamento ambientale”, ha verificato, secondo gli scriventi, una serie di anomalie, dalla “sperimentazione in campo” all’“incredibile ritardo nell’affrontare le segnalazioni degli agricoltori”, dalla “non corretta applicazione delle procedure” a una serie di “irregolarità”, oltre a “pressapochismo”, “negligenza”, ”reticenza”, “omertà”, “falso ideologico e materiale in atto pubblico”.
In poche parole, anche se la Procura leccese ha archiviato il procedimento perché, pur non avendo trovato la prova del presunto “dolo” sul disseccamento delle piante, avrebbe riscontrato una serie di fatti finalizzati – a detta dei firmatari – a “creare e a gestire l’emergenza” in modo da portare “qualcuno” ad ottenere dei “benefici” di carattere “economico e politico”.
Parole pesanti poiché fanno capire che il batterio della Xylella non sarebbe arrivato in Puglia casualmente – attraverso l’esportazione di piante estere, come è stato detto ufficialmente – ma potrebbe essere stato immesso da determinati “soggetti”.
Per capirlo basta leggere alcuni passi dell’indagine della Procura di Lecce che gli scriventi fanno loro: “Dall’attività svolta è emerso in maniera inconfutabile che la prima datazione degli essiccamenti degli alberi d’olivo nel Salento… risale agli anni 2004/2006”.
“Al riguardo – seguitano le associazioni – sono state individuate precise e non trascurabili condotte istituzionali, in particolare ascrivibili a chi era venuto a conoscenza del fenomeno che iniziava a colpire gli olivi già intorno al 2004, e a chi ha effettuato ‘campi sperimentali’ tra il 2009 e il 2011, che denotano la conoscenza del problema, di cui esistono testimonianze di tecnici, proprietari e confinanti dei terreni interessati”.
“Gli stessi soggetti istituzionali – si legge nel documento – , pur consci dell’inizio del fenomeno dei disseccamenti, avrebbero poi permesso che la malattia degli olivi si diffondesse, dopo 9 anni dalle prime segnalazioni, in una vasta area del versante ionico”. “Persone che – seguita lo scritto – evidentemente non hanno cercato soluzioni condivise sulla questione, commettendo i reati di falso che oggi, a distanza di 15 anni, arrecherebbero innumerevoli conseguenze ai danni di tutti i proprietari terrieri, gli agricoltori e i cittadini”.
E poi una data. Ottobre 2013. Quando “si dà notizia del ritrovamento del batterio e immediatamente, senza attendere o permettere riscontri scientifici inequivocabili sulle reali cause del disseccamento, sul ruolo svolto dal batterio e… sull’esistenza di piante resistenti alla malattia (nonché in mancanza di un’indagine epidemiologica), si attribuisce alla Xylella fastidiosa la malattia degli olivi”.
Senonché nello stesso periodo, si deduce dal comunicato, la Regione Puglia esegue uno studio ed accerta che “il ceppo pugliese di Xylella è presente nel 2 per cento circa degli ulivi analizzati”. “E’ evidente”, quindi, “che gli ulivi negativi al batterio ma disseccati, si ammalano per altre cause”.
Ma non è tutto. Le associazioni tirano in ballo un altro studio eseguito dalle stesse istituzioni che le associazioni firmatarie mettono sul banco degli imputati: il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche), l’Università di Bari e il Centro di ricerca, sperimentazione e formazione in agricoltura “Giovanni Basile Caramia” (CRSFA), “che fin dall’inizio – si legge – hanno creato e gestito l’emergenza”.
Dal risultato emerge che “il batterio Xylella fastidiosa non può essere l’agente causale del disseccamento rapido degli alberi di olivo”. Eppure, questi dati “per anni non sono stati considerati dai mass media, dai politici e dagli stessi ricercatori”.
Cosa emerge? “Nel 2016 i risultati di due anni di sperimentazione evidenziano che alle piante di olivo alle quali sono state inoculate sospensioni batteriche e tenute in condizioni ambientali naturali, anziché disseccarsi come ci si aspettava, hanno mostrato una colonizzazione batterica ridottissima e confinata al punto di inoculo”.
Risultato: questi alberi “hanno prodotto nuova vegetazione priva di sintomi e addirittura hanno mostrato una crescita superiore alle piante non infettate”.
E poi un’altra stoccata alle “persone che dal principio hanno ignorato il problema, le medesime designate a occuparsene e con decreto ministeriale (D.M. 26 settembre 2014) anche le sole, di fatto, autorizzate a farlo”. E un’altra stoccata viene riservata all’Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia, che nel 2015, in una relazione depositata al Senato, ha dichiarato di avere “escluso qualsiasi forma inquinante del terreno e dell’ambiente”, a fronte dei dati Istat che, per quanto riguarda il Salento, affermano che “solo nel periodo 2003-2010” si è registrata “un’overdose di erbicidi di gran lunga superiore a quelli impiegati nelle province di Bari e di Foggia, le cui superfici agrarie sono ben più estese”.
Nel 2007, si legge nel documento, nella sola provincia di Lecce l’uso di antiparassitari “era pari a oltre 5 chili per ettaro”, cioè un quantitativo “ben più alto rispetto a quello che nel 1974 (4 chili e mezzo) aveva causato, come accertato, il disseccamento degli ulivi”.
A questo – secondo i firmatari – va aggiunta la potatura delle piante, “che l’Osservatorio fitosanitario ha imposto nel 2016” nelle zone più colpite dal fenomeno. Un sistema – scrive il movimento per la difesa degli ulivi – “da non incentivare e da non consigliare a nessuno, specie nel periodo estivo”. Secondo la Società Italiana di Arboricoltura – si legge – “la capitozzatura rende l’albero ‘più vulnerabile a insetti e malattie, e ne causa il decadimento fino alla morte”.
“Intanto in Salento – si legge – gli ulivi plurisecolari continuano a essere abbattuti, molto spesso in mancanza della necessaria comunicazione e autorizzazione della competente autorità, come più volte sottolineato anche dalla Soprintendenza all’Archeologia, alle Belle Arti e al Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto”.
“Vengono abbattuti anche per far spazio a impianti olivicoli super intensivi, sul modello spagnolo, o a impianti fotovoltaici”. Nella sola provincia di Brindisi, nel solo mese di agosto, viene scritto, sono pervenute “richieste di autorizzazione da parte di 15 società estere per installare pannelli su circa 500 ettari di terreno agricolo”.
“Nella Piana degli Ulivi – a detta delle associazioni firmatarie – vanno a terra ulivi millenari in assenza di sintomi e in pieno stato vegetativo e produttivo. Sradicarli produce un danno irreparabile all’ecosistema e alla biodiversità, al paesaggio e all’economia locale poiché vige il divieto di reimpianto delle varietà autoctone”.
“A questo punto è lecito chiedersi – dice il documento – se questa emergenza sia il risultato delle omissioni e delle azioni suddette, realizzate anche intenzionalmente, piuttosto che colpa di un batterio importato come ci è stato raccontato in maniera incessante attraverso i media”.
Luciano Mirone
Lascia un commento...