La gente vuole i nomi. Dei contagiati, dei positivi, degli “untori”, insomma di chi finora non ha ritenuto di autodenunciarsi pur sapendo di essere infetto, o di coloro che, pur essendo stati al Nord, al ritorno sono stati a contatto con parenti, amici, colleghi e conoscenti, senza avvertire il dovere di fare un tampone, di mettersi in quarantena, di segnalare la sua situazione alle autorità sanitarie.
La gente vuole i nomi. E li vuole da noi. Che ogni giorno facciamo le cronache di questa peste del Ventunesimo secolo che sta affliggendo il mondo.
La gente vuole i nomi delle oltre cento persone di Messina che si sono recate a sciare a Madonna di Campiglio e al loro ritorno, in massima parte, non si sono autodenunciate, pur essendo obbligate a farlo.
La gente vuole il nome del signore residente a Camporotondo Etneo (risultato positivo al test), e dell’industria di Piano Tavola (frazione di Belpasso, che dista da entrambi i comuni circa quattro chilometri) presso la quale questi lavora, malgrado il silenzio dell’interessato e del titolare della fabbrica.
La gente vuole i nomi. E ha le sue ragioni, che spiega sui Social e nelle mail che invia in redazione. Solo così ognuno può sapere come, quando, dove e perché il positivo è stato infettato, in modo da prendere le precauzioni indicate dai protocolli. Restando all’oscuro – dicono – brancoliamo nel buio e non siamo nelle condizioni di svolgere un’indagine accurata neanche su noi stessi. Giusto.
Ma quei nomi non possono chiederli a noi, che abbiamo il dovere di rispettare la privacy. Quelli degli “allegri sciatori di Messina” (così definiti in modo ironico da Alessio Pracanica nel bell’articolo che abbiamo pubblicato) neanche li sappiamo, anche perché in questo momento è probabile che sia scattata un’indagine della magistratura per accertare le loro generalità e i luoghi con i quali questi soggetti sono stati a contatto, quindi potrebbe esserci pure il segreto istruttorio.
Per quanto riguarda la fabbrica presso la quale il signore di Camporotondo Etneo lavora, tutti vogliono conoscerne la denominazione in modo da risalire alle persone che potrebbero essersi infettate entrando all’interno della stessa o stando a contatto coi dipendenti che ogni giorno l’hanno frequentata. A noi informalmente il nome l’hanno fatto, ma noi – in mancanza dell’ufficializzazione da parte dei soggetti interessati, o delle autorità sanitarie competenti, in questo caso le Asp, che hanno avviato un’indagine per risalire all’origine – quel nome non possiamo divulgarlo. Perché? Perché si tratta di dati sensibili che i giornalisti hanno il dovere di rispettare. Qualora le persone interessate o l’Asp dovessero ufficializzare le generalità dei contagiati, sarà nostra cura divulgare tutto presso l’opinione pubblica. Prima no.
Luciano Mirone
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