“Non abbiamo soldi e non vogliamo pagare”. Non sappiamo se questa frase, pronunciata ieri a Palermo da una ventina di persone durante il tentativo del saccheggio di un supermercato, rappresenti un fatto isolato, oppure è il sintomo di un enorme problema che – con l’emergenza del coronavirus – sta esplodendo in modo drammatico.
Fatto sta che oggi poliziotti del reparto mobile, carabinieri e militari della Guardia di Finanza stanno presidiando i centri commerciali più importanti della città in seguito all’allarme – dice il dispaccio dell’agenzia Ansa – “sull’eventualità di nuovi possibili tentativi di saccheggio”. “Solo misure preventive”, sottolineano i responsabili dei centri commerciali, ma intanto registriamo il fatto.
Così come registriamo le minacce su Facebook, diventate virali, proferite nei giorni scorsi da un tizio contro il sindaco di Catania, che “ci manda le bollette della spazzatura, mentre noi moriamo di fame e siamo costretti a stare a casa per il Coronavirus”.
O come l’altro messaggio (stavolta whatsapp, e virale anche questo), proveniente da Paternò – cinquantamila abitanti in provincia di Catania, un altissimo indice di disoccupazione – dove un altro tizio chiama a raccolta i disperati della città per “mettere sottosopra il municipio”, perché “il sindaco deve darci delle risposte”, sennò “andiamo ad assaltare i supermercati”.
Tre fatti. Che possiamo pure condannare, ma sempre fatti restano. Ecco, su questi fatti noi abbiamo un semplice dovere: esprimere solidarietà ai sindaci coinvolti e chiederci cosa sta succedendo. Non solo alle Borse, allo spread, al dow jones, al dollaro, all’Euro. Ma alle persone che vivono nel sottosuolo delle nostre città disperate, che in tempo di pace non sanno come mettere insieme il pranzo e la cena, figuriamoci in tempi di guerra come quelli che stiamo attraversando.
Le persone che hanno assaltato il supermercato di Palermo, che hanno minacciato i sindaci di Catania e di Paternò vivono in quel sottosuolo. Non sono delinquenti. In tempo di pace fanno i posteggiatori, i pescivendoli, gli scaricatori, i raccoglitori a giornata, insomma dei lavori che gli consentono di campare. Ma ora che la pandemia sta distruggendo anche questi ammortizzatori sociali, cosa faranno? E quelle che non vivono di stipendi statali, che non possono contare su ricche eredità, che hanno un’attività imprenditoriale, un negozio, una fabbrica, un’agenzia di viaggi, una partita Iva?
È una domanda che la politica ha il dovere di porsi. L’emergenza è innanzitutto sanitaria e bisogna affrontarla, ma bisogna avere il coraggio di guardare anche a quel sottosuolo che, dall’esplosione del virus ad oggi, ha sempre più fame. Cosa succederà fra un mese, fra due mesi, o fra un anno? Le viscere delle nostre città sembrano Milano ai tempi della peste e dell’assalto ai forni. Guardiamole.
Luciano Mirone
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