In Italia manca il concetto di ‘sedi opportune’. Tutto si crea o prolifera ovunque tranne ove le Istituzioni hanno domicilio. E, seguendo questa scia, oggi ci si trova davanti ad un fatto istituzionale molto grave da tutti i punti di vista, ma che nasce in televisione, davanti ad un Massimo Giletti che non crede ai suoi occhi (rectius: orecchie).
Nino Di Matteo – mio collega molto in vista e ora consigliere del CSM – telefona in una trasmissione televisiva accusando l’odierno Ministro della Giustizia di avergli chiesto due anni fa la disponibilità ad accettare o l’incarico di capo del Dipartimento Affari Penitenziari o quello di Direttore Generale degli Affari penali (il posto, cioè, che fu di Giovanni Falcone); lui, Di Matteo, chiede 48 ore per decidere e, sciolta la riserva, esprime al Ministro la sua preferenza per il posto di Direttore del DAP. Il Ministro però, a quel punto, gli dice che per quel posto era stato preferito Francesco Basentini, offrendo quindi a Di Matteo la Direzione degli Affari Penali. Di Matteo a quel punto rifiuta la proposta.
Nel corso della sua telefonata, Di Matteo sostiene senza giri di parole che la scelta di un nominativo diverso per il DAP era derivata dal fatto di essere Di Matteo inviso ai boss mafiosi, dai quali era giunta la voce che “se arriva questo abbiamo chiuso”.
Pertanto Di Matteo sostiene chiaramente che la scelta del Ministro della Giustizia era stata influenzata direttamente, o indirettamente, dagli umori di boss mafiosi, quindi uno scandalo deflagrante dal punto di vista istituzionale.
Vorrei fare un brevissimo commento: se questo fosse vero, perché Di Matteo ha tenuto per sé una notizia così grave? Se la Mafia influenza le nomine del Ministro della Giustizia, chi combatte la mafia e viene a conoscenza di questo non può non dire nulla, salvo poi rivelarlo a Giletti con una telefonata 2 anni dopo. Se Di Matteo aveva e ha elementi, li doveva uscire subito, con i metodi che poteva ritenere opportuni: chiedere di essere sentito dalla Commissione Antimafia (che spero adesso convochi sia Di Matteo che Bonafede), oppure denunciare il fatto alla Procura, oppure denunciare il fatto alla opinione pubblica con una conferenza stampa, oppure etc. etc. Se Di Matteo dice il vero e ha elementi, ha sbagliato enormemente a tacerli per due anni.
Se invece Di Matteo non ha elementi, non appare meno grave che una simile affermazione possa essere veicolata gratis nel momento preferito. Parlare senza avere quantomeno gravi indizi (e un magistrato sa bene questo) diviene una illazione, però pericolosissima per la credibilità delle Istituzioni.
Infatti in questo modo egli non solo delegittima il Ministro, ma delegittima anche colui che era stato nominato al posto suo e cioè appunto Basentini. Infatti, se alla Mafia non garba Di Matteo ma gli va bene Basentini, è facile instillare il “2+2”.
Tra l’altro la notizia viene data da Di Matteo proprio all’indomani delle dimissioni di Basentini, che in questi giorni aveva ricevuto attacchi basati sulla falsa notizia di scarcerazioni ‘facili’ per i boss mafiosi (mentre invece solo quattro mafiosi sono stati posti agli arresti domiciliari sulla base di normative ampiamente precedenti a questo ministro, a Basentini stesso e alla emergenza del Coronavirus). Inoltre la telefonata di Di Matteo è praticamente quasi contestuale alle nomine al DAP di due colleghi da una forte connotazione antimafiosa come Petralia e Tartaglia.
Ci muoviamo su un filo fragile e gettare bombe a scoppio ritardato deve essere fatto con la consapevolezza del peso delle parole. Perché le parole hanno un peso e, una volta dette, si fanno strada, non tornano indietro. Se Di Matteo ha elementi concreti, li porti nelle sedi opportune e lo scandalo (con due anni di colpevole ritardo) travolga non solo il ministro Bonafede ma l’intero sistema politico attuale.
Se il ministro, o chi per lui ma con il suo avallo, ha messo da parte un magistrato per il non gradimento dei boss mafiosi, sarebbe il più grave scandalo che io ricordi nella amministrazione della Giustizia.
Se invece Di Matteo ha inteso lanciare le ombre senza dire altro, credo che non possa essere applaudito. Una cosa è criticare scelte politiche, altro prospettarle come figlie di pax mafiosa. E chi ha seguito il procedimento sulla trattativa Stato-mafia queste cose le sa molto bene.
Infine, non si capisce come un magistrato possa sentirsi quasi sminuito dalla proposta di presiedere la Direzione Generale degli Affari penali, il posto pensato da Falcone e ricoperto da Falcone quando venne ucciso dalla mafia. Un posto, quindi, importante e fin troppo attenzionato dalla mafia, e che quindi non penso sia indifferente ai boss mafiosi. Nel pantano che congiunge i valori e i disvalori, il Potere democratico e i poteri occulti, occorre essere chiari e chi riveste ruoli di rilievo pubblico ha il dovere della non superficialità.
Nella foto: il magistrato Nino Di Matteo
Santino Mirabella, Magistrato
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