“Oggi 9 maggio 2020 lo Stato continua ad ignorare l’intera storia professionale di Antonio Ingroia, servitore integerrimo, prima come magistrato e oggi come avvocato”. Comincia così il messaggio accorato del Gruppo Scorta per Ingroia, un insieme di cittadini che si batte per il ripristino della tutela ad una delle persone più a rischio d’Italia, che ha avuto “la colpa”, come si legge nel comunicato, “di avere istruito il processo Trattativa”.
E non solo, se si pensa che alcuni fra i casi più scottanti della storia dell’Italia repubblicana (da Dell’Utri a De Mauro, fino a Rostagno, per non parlare dell’attività che Ingroia oggi svolge come avvocato, dopo essersi dimesso dalla magistratura, seguendo fra gli altri i delitti irrisolti di Attilio Manca e del “sindaco pescatore” Angelo Vassallo).
Questa storia della sottrazione della scorta ad Ingroia comincia “il 9 maggio 2018” (9 maggio: una data importante per la storia del nostro Paese: il delitto di Aldo Moro e di Peppino Impastato, ndr.) “con una semplice comunicazione scritta di revoca della scorta”.
“Oggi – scrive il Gruppo Scorta per Ingroia – sono ormai due anni che lo Stato italiano ha voltato le spalle ad Antonio Ingroia, nonostante per la seconda volta il Consiglio di Stato abbia ordinato che venisse ripristinata la scorta revocata dal Ministero degli Interni, retto prima da Minniti del Governo Renzi, e dopo il Ministero degli Interni con a capo Salvini del Governo Conte”.
“Perché – si legge nel comunicato – nei due anni due governi non hanno ottemperato alle due sentenze del Consiglio di Stato? Perché? Lo Stato deve rispondere a queste domande”.
“Antonio Ingroia – prosegue la nota – viene ritenuto ‘colpevole’ di avere istruito il processo sulla Trattativa Stato-mafia, di aver contrastato ogni potere criminale inclusi rappresentanti infedeli dello Stato. ‘Colpe’ ritenute talmente gravi da doverle fargliele scontare mettendolo in una condizione di totale isolamento e di limitazione delle libertà personali”.
“Oggi Antonio Ingroia – è scritto nel documento – è maggiormente in pericolo, prova né è il recente incendio doloso e il furto di materiale processuale subito nello studio della sua abitazione romana, avvenuto mentre si trovava a Palermo per lavoro, furto compiuto da mani raffinatissime che, oltre alla sottrazione di materiale delicato, hanno voluto lasciare un chiaro segnale inquietante e cioè ‘sappiamo i tuoi movimenti e siamo in grado di colpirti dove e quando vogliamo”.
“Urge restituire ad Antonio Ingroia – conclude l’appello – le libertà personali che gli sono state impedite dall’assenza di un giusto provvedimento di tutela, perché vera testimonianza di garanzia del principio democratico per cui la Legge è uguale per tutti nel nostro Paese ancora oggi”.
Nella foto: l’ex Pm Antonio Ingroia, oggi avvocato
Luciano Mirone
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