Anche in questo 16 Luglio, come ogni mese, il gruppo attivista “Occupy justice” ha rinnovato il suo impegno – seppur in tono decisamente minore, causa la festività per la Madonna del Carmelo, cui la capitale Valletta è estremamente devota – verso Daphne Caruana Galizia, dichiarando, durante il comizio di rito, che non si fermerà “fino a quando tutta la verità che circonda l’omicidio non verrà finalmente svelata”, e ribadendo ai presenti accorsi che “la giornalista è stata assassinata da coloro che avevano troppo da nascondere”.
Daphne Caruana Galizia è stata uccisa con un’autobomba il 16 ottobre 2017, poco più di 1.000 giorni fa. Mille giorni. Fatti di processi, di arresti e di proteste, e quando sembra che ci si avvicini alla meta, improvvisamente le indagini deviano in altre direzioni.
Dallo scorso giugno, l’isola sta attraversando una situazione politica davvero critica, non avendo un’opposizione forte e con una fazione attualmente al potere, che ha visto molti “dei suoi” coinvolti nell’omicidio della giornalista. Sono infatti ormai piuttosto noti i nomi che girano intorno alla vicenda, a capo della quale ci sarebbe l’imprenditore Yorgen Fenech. Eppure il nodo da sciogliere rimane sempre uno: perché.
“Coloro che l’hanno uccisa volevano mettere a tacere tutti quelli che si sforzavano di svelare verità scomode, eppure la voce di Caruana Galizia sopravviverà: nel lavoro di coraggiosi giornalisti investigativi che continuano a raccogliere le sue storie, negli sforzi di noi attivisti e della società civile, che insieme hanno sostenuto la loro lotta per la verità e la giustizia. E nell’esempio dato dalla sua famiglia, nonostante gli innumerevoli ostacoli posti dalla corruzione istituzionalizzata, il cui interesse era solamente quello di seppellire la verità”.
Ma la questione sembra essere ancora più grave: non è solo una lotta solo per la verità, ma per la libertà di stampa sull’isola.
L’organizzazione no-profit “Reporter senza Frontiere” (RSF) ha seriamente condannato lo SLAPP (“Strategic lawsuit against pubblic partecipation” inteso come le azioni legali atte a bloccare la partecipazione pubblica) contro la stampa a Malta. La stessa Rebecca Vincent, direttrice della RSF, ha affermato che il coraggioso giornalismo investigativo “deve essere protetto”, basandosi sul grado di libertà disponibile per i giornalisti, tra cui pluralismo, indipendenza dei media, censura, trasparenza, legislatura e abusi.
Il rapporto internazionale ha fatto anche menzione della violazione del fondamentale diritto di espressione degli attivisti, dopo la ripetuta rimozione del memoriale “spontaneo” dedicato alla giornalista assassinata, da parte dell’ex ministro della Giustizia Owen Bonnici, rilevando “uno stato di diritto debole”, che “nega l’accesso alle informazioni” e e che “permette che avvengano ripetute minacce ai giornalisti maltesi che si occupano di corruzione”.
Vi sono attualmente sette “allarmi attivi” relativi a minacce o attacchi contro i giornalisti a Malta. Ed erano già note le quattro cause per diffamazione presentate dall’ex ministro dell’Economia Chris Cardona contro Daphne Caruana Galizia prima dell’assassinio. Il Governo a tutt’oggi non ha mai fornito una risposta concreta e definitiva.
L’indagine pubblica iniziata in seguito alle proteste di massa dopo la morte della blogger maltese, sta mostrando un grave e preoccupante quadro di “interferenza politica”, che sembra mirare proprio nell’interruzione delle indagini finalizzate a scagionare le persone che godono di particolari posizioni di potere.
La propaganda e la disinformazione da parte dei media contribuisce di certo alla pessima situazione di Malta, ma è questa la vera lotta che si sta combattendo, di cui Daphne Caruana Galizia è diventata simbolo indiscusso. Non è più questione di “colore politico”. Il malcontento del popolo maltese indica una cosa sola: ci si aspetta, si merita e si chiede di meglio.
Valentina Contavalle
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