Attraversare il Salento, vedere quella distesa di ulivi secolari disseccati e avvertire una strana sensazione di morte. Una sensazione che aumenta quando osservi quelle piante estirpate o date alle fiamme da chi vuole distruggere la peste che li sta distruggendo, il batterio comunemente noto come Xylella. E mentre il fuoco svuota i tronchi possenti, un pianto di dolore sembra sprigionarsi dalle viscere di queste terre, perché gli ulivi della Puglia, come gli uomini immortali, hanno attraversato i secoli, hanno conosciuto altre civiltà, altre storie, altri uomini, ed ora che li vedi agonizzanti o stramazzati al suolo, senti qualcosa di struggente nell’aria.
Attraversare questo pezzo di Puglia è come assistere al funerale di un’anima. Che non è solo di queste terre, ma dell’Italia e dell’intero Bacino del Mediterraneo, dove il filo che lega le varie culture – a prescindere dalla religione, dall’economia, dalle guerre, dal colore della pelle – è l’ulivo. Bisogna esserci stati nel Salento per vedere – fino a tre, quattro anni fa – questi esemplari altissimi, dal tronco poderoso e la chioma folta che si diparte dalla cima e si distende fino al terreno rosso che caratterizza questi luoghi. E bisogna tornarci oggi per capire di cosa stiamo parlando.
Un paesaggio spettrale e agghiacciante, che secondo alcuni sta stravolgendo la proprietà fondiaria, poiché adesso quei terreni si stanno deprezzando e gli speculatori stanno facendo affari d’oro ad acquistarli e nel trasformarli in qualcos’altro che non ha attinenza con l’anima. Voci. Che trovano appiglio nell’inchiesta portata avanti dalla Procura di Lecce, che parla di “reticenze, di omissioni e di falsità che hanno condizionato l’esito dell’indagine”, e della preponderanza dell’”interesse economico” per “la prospettiva di ottenere finanziamenti”. Nel maggio dello scorso anno l’indagine è stata archiviata in quanto non è stata trovata la prova che dimostrasse il nesso fra gli interessi economici (che sembrano colossali) e le “molteplici irregolarità, il pressapochismo e la negligenza” con cui avrebbero lavorato in questi anni “i tecnici, gli accademici e i politici locali”. Un atto d’accusa nei confronti dell’establishment pugliese che, secondo molti, avrebbe diramazioni a livello nazionale. Ora l’inchiesta è passata alla Procura di Bari che, prendendo spunto dal lavoro dei colleghi salentini, si sta muovendo per accertare se è vero che il batterio è stato trasportato da alcune piante ornamentali provenienti dal Costarica – come sostenuto dai dieci scienziati indagati dai magistrati leccesi per “diffusione colposa di malattia delle piante, inquinamento ambientale, falso materiale e ideologico in atti pubblici, getto pericoloso di cose, distruzione o deturpamento di bellezze naturali” – oppure se le cause sono quelle teorizzate dai “complottisti”.
Attraversare il Salento vuol dire parlare con la gente comune per cercare di capire cosa sta succedendo. Ognuno dice la sua sulle cause, ma tutti sono accomunati da un senso di tristezza per questi ulivi che considerano come genitori o fratelli maggiori. Il marinaio ti parla di certe giornate nuvolose, quando con il peschereccio si spinge al largo di Santa Maria di Leuca, la punta estrema della Puglia, dove l’Adriatico si perde nello Jonio e viceversa. Ne parla con l’entusiasmo di un bambino, mentre quelle rughe levigate dal sale e dal sole si distendono in un sorriso ingenuo e i suoi occhi contemplano il mare. L’Adriatico è ricco di tante gradazioni di blu per i fondali rocciosi che lo caratterizzano. Lo Jonio ha il fondale più sabbioso e quindi il blu si stempera nel verde, dice. “In certe giornate, quando mi spingo al largo, come d’incanto, intravedo la costa greca al confine con l’Albania. Addirittura scorgo le montagne con le cime innevate e la loro vegetazione. Mi giro e osservo la Puglia con quella distesa di ulivi che si perde a vista d’occhio”. Gli occhi del vecchio marinaio diventano rossi quando racconta che oggi quelle piante hanno cambiato colore, da verdi sono diventate marroni, da vive sono diventate morte, moribonde, scheletriche.
Poi parliamo col contadino. Che è fiero di aver recuperato i suoi ulivi con i sistemi antichi che gli ha insegnato suo nonno. “Mi sono limitato a curare la pianta, non a distruggere la Xylella, che esiste certamente, ma non è la causa principale. I fattori sono molteplici: innanzitutto un fungo, il Verticillum, che ostruisce i vasi e impedisce all’acqua di dare nutrimento alla pianta, che comincia a seccare. E però, siccome la Xylella è inserita nella lista numero uno dei patogeni più pericolosi, per i quali si prevede l’eradicazione degli alberi, per i funghi non è previsto lo spiantamento”. Il che, in parole povere vuol dire: la Xylella potrebbe prestarsi a speculazioni, il Verticillum no.
Attraversare il Salento, con le sue spiagge bianche, le sue grotte marine, le sue insenature che a volte sono un tutt’uno col paese. In giro ti dicono che addirittura il 90 per cento degli ulivi di questa zona è stato attaccato da questa terribile malattia. Attaccato, non ucciso. Ci sono alberi che appaiono disseccati, ma che qua e là contengono delle gemme nuove, e alberi che alla base hanno sviluppato l’olivastro, quel cespuglio selvatico che spunta rigoglioso dal tronco. La vita oltre la morte.
Luciano Mirone
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