Una notte di luna piena in un paese siciliano di sessant’anni fa. Il vicolo è tranquillo, il selciato rischiarato dalla luce della luna, tutti dormono. I rintocchi della campana grande scandiscono il tempo che passa. Improvvisamente le note di una melodia siciliana si espandono nell’aria greve della sera volando verso il cielo, entra la fisarmonica, le corde della chitarra vibrano, come la voce che adesso comincia a intonare una canzone d’amore, il cuore batte.
A un certo punto, dalla finestra di fronte, si accende una luce, si scosta una tendina, e da dietro i vetri si intravede il volto di una ragazza che sorride. Ma non basta: ci vuole l’approvazione dei suoceri. Anche a loro bisogna dedicare una canzone. Se si affacciano vuol dire che tutto è a posto, attacca Maestro.
Ma ci sono volte in cui la luce resta spenta, la tendina non si scosta, la ragazza non compare e i suoceri restano a letto. E allora non resta che salutare i musicanti, dar loro la mancia e tornare a dormire, in attesa che prima o poi qualche altra tendina si apra.
Intanto il campanone della chiesa scandisce altro tempo, un giorno, due giorni, dieci anni, venti, cinquanta, sessanta e anche oltre, fino a quando da quel vicoletto i musicanti scompaiono perché i tempi sono cambiati, le ragazze hanno la possibilità di uscire di casa e le dichiarazioni d’amore non si fanno più attraverso le serenate. Poi scompaiono anche le dichiarazioni e ci si fidanza con un semplice bacio. Cambiano i costumi e la serenata diventa un ricordo.
Eppure… Eppure alla fine degli anni Novanta succede qualcosa. A Belpasso c’è un ragazzo, Gianfilippo Tomaselli, oggi quarantacinquenne, appassionato di musica siciliana, che rispolvera la tradizione e in poco tempo riscuote un successo incredibile, al punto da essere definito “il re delle serenate”.
Oggi dovreste vederlo, e dovreste vedere suo figlio Salvatore, undici anni, come suona la fisarmonica, ‘u friscalettu (il flauto) e ‘a quartàra dall’età di sette anni, dopo essere salito sul carretto siciliano a tre. Dovreste vedere come accompagna il resto del gruppo (Carmelo Carciotto – fisarmonica – e Carmelo Nicolosi – friscalettu –)
“Venivo chiamato a suonare nei matrimoni assieme al mio gruppo folcloristico”, dice Gianfilippo. “Facevo il repertorio siciliano e spesso mi chiedevano la contradanza. Dopo le nozze, succedeva spesso di intrattenersi con gli sposi a cantare e a ballare. Fu così che un giorno mi venne l’idea di rispolverare l’antica serenata e di proporla agli amici della banda: ‘A facemu ‘a ‘tturna? (la facciamo la notturna?)”.
“Dato che i tempi erano cambiati – prosegue Tomaelli – , la concepimmo diversa rispetto a una volta. La versione moderna doveva essere un prolungamento notturno del matrimonio, una festa fra parenti e amici che, dopo il ricevimento, con gli sposi in casa, arrivano a sorpresa cantando e ballando per diverse ore. Fu un successo. Cantammo E vui durmiti ancora, Ciuri ciuri, Si maritau rosa. Tutti cominciarono a scatenarsi quando li coinvolgemmo con La luna ammenzu ‘u mari e Tu vo’ fa’ l’Americano in versione siciliana. Da quel momento ci chiamano da mezza Sicilia”.
Luciano Mirone
Salve come faccio a contattarvi