Un cinema di paese. La sala con le poltroncine rosse nella quale dal 1930 non si smette di sognare. Avete capito bene: Millenovecentotrenta. Quasi un secolo fa. Sogni in bianco e nero e a colori, sogni “muti”, sonori e musicali. Un pezzo di storia che resiste, malgrado le tivù commerciali e i “multisala” che hanno invaso la zona.
È il Nuovo Cinema Moderno di Mascalucia (a pochi chilometri da Catania), un locale che va oltre il tempo e si colloca nello spazio, nel mito, perché questo è uno dei cinematografi più antichi d’Italia, un luogo che la leggenda l’ha vista in faccia, Charlot, Stanlio e Ollio, Angelo Musco, Giovanni Grasso, Paul Newman, Marlon Brando, Marylin Monroe, Franco e Ciccio, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Sophia Loren, Fellini, Rossellini, De Sica, Tornatore, Sorrentino e tantissimi altri meravigliosi protagonisti del grande schermo.
Metaforicamente ha conosciuto le epoche, tante, da Mussolini al Re, da De Gasperi a Pertini, da Papa Pio XI a Bergoglio, dalla Milano del Sud alla Catania da bere, dagli anni di piombo a Tangentopoli, dalla Seconda Repubblica a Mattarella.
Ora ha conosciuto anche il Covid. E ha dovuto temporaneamente chiudere i battenti (come tutte le sale del mondo), ma alla fine di questo incubo – siamo sicuri – tornerà più “nuovo” e più bello che mai.
Alfio Longo, 59 anni, è il nipote del fondatore – Nicola Longo – che nel ’28 ebbe l’idea di costruire il cinema sul vigneto del bisnonno, il capomastro muratore Giacomo Longo: Nicola costituì una società, iniziò i lavori e due anni dopo inaugurò il locale. Un pioniere, se si pensa che le sale cinematografiche, in Italia, fiorirono soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, sulla scia del boom di Hollywood e di Cinecittà.
Nicola Longo quindi è un precursore antecedente, un esponente della “prima rivoluzione” di inizio Novecento, quando Catania, grazie soprattutto a Nino Martoglio (grande regista del “muto”) e al cavaliere Alonso, industriale dello zolfo che investì in questa nuova forma d’arte, diventò la “Mecca” – assieme a Torino – sia delle produzioni cinematografiche, sia delle sale di proiezione.
Allora il Cinema Moderno di Mascalucia (la parola “Nuovo” fu aggiunta dopo il restauro del 1972) contava 800 posti soltanto in sala: “I film muti – spiega Alfio Longo – erano accompagnati dalla musica di un pianoforte collocato ai piedi dello schermo. Se il pianista era presente suonava lui, se era assente veniva caricata la corda incorporata allo strumento. Mio nonno e mio padre raccontavano delle storie bellissime legate alla stagione del muto”.
Insomma, il nonno dell’attuale proprietario del Moderno è stato uno dei primi “rivoluzionari del sogno”, un personaggio di cui una cittadina come Mascalucia dovrebbe andar fiera per la bellezza che è stato capace di regalarle in quasi cento anni di vita.
C’è però una battuta di Alfio Longo che abbiamo captato durante questa conversazione, una battuta che deve fare riflettere: “Col tempo le spese sono aumentate: la gestione è diventata pesante. Mi dispiacerebbe se il cinema dovesse chiudere”.
Non sappiamo cosa succederà, sappiamo che se dovesse chiudere il Nuovo Cinema Moderno (come tutte le altre sale storiche di provincia e di città) sarebbe un peccato (le sale di un tempo hanno un’atmosfera e perfino un odore meraviglioso: non possono chiudere). Abbandonarlo un oltraggio. Fargli fare la fine di altri cinema di paese (purtroppo demoliti) un assassinio (di sogni sì, ma sempre un assassinio). Ecco perché la politica – se dovesse profilarsi questo pericolo – deve prendere seriamente in considerazione l’idea di aiutarlo, considerata la carenza di spazi culturali di cui soffre Mascalucia.
“Durante la seconda guerra mondiale – rievoca Longo – il locale venne requisito e trasformato in postazione medico-militare. Alla fine del conflitto, ormai abbandonato e gravemente danneggiato, fu rilevato da mio nonno, che lo diede in gestione”.
“Nel ’61 il nonno morì, gli eredi divennero quattro: mio padre Giacomo, e le sue tre sorelle. Nel 1970 il mio genitore, dopo aver rilevato le quote delle zie, divenne unico proprietario. Due anni dopo il cinema fu interamente restaurato. Venne ampliato l’ingresso e ridotta la sala (400 posti). Dopodiché avemmo l’idea di realizzare il tetto a scorrimento – una chicca per quei tempi, ma diciamo anche per oggi – per poter usufruire del cinema anche in estate. Furono anni meravigliosi e proficui, fino al 1976, quando a causa dell’avvento delle tivù private, si iniziò ad avvertire un calo di interesse da parte del pubblico”.
“Nel 1980 cominciai a gestirlo io. Dopo tanti anni arrivavano le ‘prime visioni’. Apparentemente un incentivo per le piccole sale, sostanzialmente un falso privilegio (i gestori dei cinema sono come gli edicolanti: devono vendere il prodotto imposto dagli editori) arrivato nel periodo in cui le multisale (un totale di circa 30 schermi solo nell’hinterland) cominciavano a fagocitare i cinema di provincia. Impossibile organizzare strategie. Il pubblico, specialmente i più giovani, hanno ormai la possibilità di trascorrere il tempo libero in vari modi. L’unica eccezione è rappresentata dal film commerciale di successo, ma in questo caso si tratta di un pubblico occasionale”.
E i ricordi? “Tanti”, dice Alfio. “Fra questi, il ‘Bolero’ di Claude Lelouch, bellissima pellicola del 1981: la sala si riempì interamente di un pubblico scelto ed esperto. Oppure l’Opera dei Pupi dal vivo a cura della famiglia Napoli. Un momento formidabile, specie il combattimento di Orlando e Rinaldo. A fine spettacolo la signora Napoli salì sul palco commossa e mi ringraziò pubblicamente davanti a tantissima gente festante”.
E l’avvenimento che ha lasciato l’amaro in bocca? “Qualche anno fa, quando concedemmo la sala per un evento culturale ad ingresso gratuito. Sul palco, quella sera, recitò uno dei più grandi attori teatrali italiani di fama mondiale, Arnoldo Foà. Gli organizzatori si preoccuparono esclusivamente di assicurarsi la sala, tralasciando la cosa più importante: la pubblicità dell’evento. I presenti furono una trentina. Foà, nonostante tutto, si esibì lo stesso e alla fine, deluso, disse: ‘Mi aspettavo un po’ più di intelligenza da parte dell’organizzazione”. Ecco cosa ci aspettiamo noi: un po’ di intelligenza in più, nient’altro.
Arcangelo Gabriele Signorello
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