Catania è un città economicamente e socialmente in difficoltà per molte ragioni e tra queste c’è anche il susseguirsi di crisi mai risolte dal 2008 ad oggi, compresa quella del dissesto comunale. Secondo la Cgil di Catania la ripresa, tenendo conto anche delle gravi conseguenze della Pandemia, può scattare solo se la politica abbandonerà la retorica e le istituzioni annulleranno gli egoismi e la paura del confronto, a favore di legalità e sviluppo. E sui rapporti tra chi governa e i sindacati, la visione della Camera del lavoro etnea è piuttosto chiara: “Laddove non c’è confronto con il sindacato è raro che ci siano risultati concreti”.
È questo, in sintesi, il complesso tema affrontato stamattina dal sindacato catanese durante l’assemblea sindacale tenutasi on line in presenza del segretario generale della Cgil nazionale, Maurizio Landini, e della segretaria confederale Monica Genovese di Cgil Sicilia.
Al centro del confronto tra i dirigenti c’è stato il documento nazionale redatto nei mesi scorsi intitolato “Dall’emergenza al nuovo modello di sviluppo” e approvato oggi all’unanimità anche dall’assemblea di Catania, nonché il documento territoriale elaborato in queste settimane dalla segreteria provinciale e integrato dai contributi delle categorie e di singoli dirigenti, anch’esso approvato all’unanimità a fine mattinata.
Quest’ultimo documento, introdotto da un intervento del segretario generale della Camera del Lavoro di Catania, Giacomo Rota, ha puntato sull’analisi della condizione socio economico della città, con l’ottica del lavoro che manca o che risulta pesantemente minacciato dall’emergenza COVID, ma anche sulla proposta della Cgil.
Ne è emerso il ritratto di una Catania in balìa di una condizione difficile “che ancora non sa trovare una risposta, né una qualunque forma di sussistenza per ciò che inevitabilmente si prevede accadrà dopo il 31 marzo 2021, quando cesserà il blocco dei licenziamenti”.
Il documento scatta una fotografia di questi mesi, dove a causa della Pandemia è derivato “prima di tutto il crollo nel settore delle piccole e medie imprese nonché del settore edile e la conseguente disoccupazione di centinaia di lavoratori. La catastrofica fase del dissesto comunale ha causato una drastica diminuzione dei servizi e una conseguente moltiplicazione di imprese creditrici, senza risparmiare l’ economia e i livelli occupazionali della sua provincia, in questo processo di “disastro a cascata”.
Con l’esplosione della Pandemia, i settori del commercio, dei pubblici esercizi, della ristorazione, del turismo, dei trasporti, e tutti i consumi diversi da quello alimentare, sanitario e farmaceutico, sono crollati. La maggior parte dei lavoratori di questi settori ha perso reddito, riparato quando possibile da ammortizzatori sociali comunque mal gestiti, perché giunti in ritardo e con cifre che assicurano appena la sussistenza”.
La Catania delle nuove povertà, dei rider mal pagati, delle colf e delle badanti immigrate senza garanzie e senza diritti, dei lavoratori interinali che reggono interi comparti industriali senza visione del futuro, dei lavoratori degli appalti sempre più indeboliti, dei senza tetto in aumento, delle periferie che attendono da anni nuovi alloggi pubblici, dei disabili che vedono assottigliarsi le possibilità di integrazione, è ora più visibile in tutta la sua drammaticità.
In questa cornice “sono emerse le insufficienze e le contraddizioni in settori chiave come la sanità pubblica e l’assistenza sanitaria di base sul territorio, quest’ultima praticamente inesistente; eppure proprio la medicina territoriale avrebbe dovuto evitare l’afflusso di malati COVID negli ospedali, impedendone il sovraccarico. La Regione Siciliana però, anziché potenziare i servizi di base utili a scremare le emergenze e focalizzare la cura dei malati in strutture dedicate, ha preferito organizzare reparti COVID in ogni nosocomio. Si è trattato di un errore macroscopico e grossolano”.
Ma quali sono le proposte del sindacato?
La Cgil di Catania è certa che “il settore dell’ edilizia possa essere ancora foriero di nuove opportunità, a partire dall’utilizzo di misure quali il Superbonus al 110% per le ristrutturazioni o il Sisma bonus. Nel settore edilizio pubblico però, è al Recovery Fund che bisogna guardare con attenzione. Potrebbe rivelarsi una carta vincente solo se sarà oggetto di confronto reale e sostanziale con le parti sociali, a tutti i livelli”.
A Catania, inoltre, si può ancora contare sulle somme del Patto per il Sud, del Patto per Catania e del Pon Metro, “contenenti progetti che potrebbero ancora ridisegnare una nuova città come, ad esempio, quello del Molo di Levante, del depuratore, della messa in sicurezza di tutte le scuole, dei collegamenti viari con l’Etna”.
C’è però anche la partita di una scuola più sicura nelle strutture e più garantita nel diritto allo studio; la necessità di una sanità pubblica da sottrarre agli interessi di pochi che guardano ai vantaggi del sistema privato. L’esigenza di azzerare il gap digitale fra chi può permettersi la connessione in Rete e chi ne è escluso, è molto forte.
“Ma è anche urgente che in contesti lavorativi più complessi e dunque contenenti una pluralità di aziende e di profili occupazionali, come quelli dell’aeroporto, degli ospedali o dei centri commerciali, vengano creati i “Comitati Covid di sito”.
Catania poi “è solo al 10% di raccolta differenziata e se da una parte risulta necessario sensibilizzare i cittadini alla differenziazione dei rifiuti, d’altra parte è inammissibile la totale assenza di discariche e piattaforme di trasformazione pubbliche le cui creazioni, siamo convinti, consentirebbero una notevole diminuzione dei costi di conferimento e della pressione tributaria”.
Sarebbe anche l’occasione per sradicare un sistema in cui gli interessi criminali si annodano a quelli politico- clientelari.
La lotta alla mafia diventa dunque un elemento centrale, soprattutto in vista dell’indebolimento occupazionale che lascerà aperti nuovi spazi di credito illegale ad imprese o a famiglie in difficoltà, ma anche sul piano dei lavori pubblici in vista dei futuri cantieri.
Giacomo Rota, in particolare, ha sottolineato la necessità che al centro della visione economica ci sia “la persona, la salute, la sicurezza dei luoghi di lavoro, un territorio che non è da saccheggiare, l’ambiente da tutelare, e tutto questo senza mai smettere di dare battaglia alla precarietà”. Per Rota, lo Stato “non può essere solo un regolatore del traffico economico ma deve mettere in campo una vera e propria agenzia di sviluppo. Le donne e i giovani devono essere protagonisti”.
Per la segretaria confederale di Cgil Sicilia, Monica Genovese, è inevitabile far coincidere “il concetto di “buona vita” con quello di “lavoro di qualità”. L’ Epidemia ha evidenziato le nuove povertà e ha svelato perché il modello capitalistico non fosse da tempo quello giusto. Al mercato del lavoro servono tutele per tutti e a proposito di questo è necessario che si preparino adesso risposte per il dopo 31 marzo”.
Le conclusioni sono state affidate a Maurizio Landini, che ha aperto il suo intervento ricordando la figura dello scomparso Emanuele Macaluso, il suo legame storico con la Cgil e quello, molto speciale, con la Sicilia; subito dopo Landini ha evidenziato alcuni grandi temi nazionali ma che coinvolgono anche i singoli territori: “Mai come adesso la pandemia ha fatto emergere i limiti di un modello di sviluppo di un mercato senza limiti e senza freni. – ha detto il segretario generale della Cgil nazionale- Le diseguaglianze riguardano la distribuzione delle ricchezze e della partecipazione. Non solo stiamo vivendo una pandemia che non ha precedenti ma è la prima volta dal Dopoguerra, che il nostro Paese mette a disposizione una grande quantità di risorse. Abbiamo bisogno non di un Governo che cada ma di investimenti che creino lavoro stabile e cambiare un modello di sviluppo”.
Redazione
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