Nel M5S vincono i sostenitori del governo Draghi. Da domani (anzi da ora) il movimento fondato da Grillo farà parte a tutti gli effetti dell’esecutivo guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea, assieme a Berlusconi, a Renzi, a Salvini, al Pd e a Leu.
Senza entrare nel merito della scelta, cerchiamo di capire cosa potrebbe succedere adesso al futuro del movimento e del Paese, e cosa sarebbe successo – secondo noi – se a prevalere nella piattaforma Rousseau fossero stati i contrari all’ingresso dei 5S nel governo.
Partiamo da questa seconda ipotesi. Il M5S si sarebbe piazzato fra i banchi dell’opposizione assieme a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Una scelta che in periodo pre e dopo pandemia sarebbe stata vista positivamente sia dalla maggioranza del movimento, sia dagli elettori dello stesso, che vedono Berlusconi e Renzi come il fumo negli occhi (il primo per i legami con Dell’Utri, per le condanne e per il senso morale incompatibile coi valori del movimento; il secondo per aver fatto cadere il governo Conte, nel quale i 5S godevano di una posizione predominante.
Ma oggi, mentre “i morti e i feriti”, a causa del coronavirus, si contano a grappoli, quale sarebbe stato l’effetto di un M5S all’opposizione?
Indubbiamente avrebbe confermato l’immagine di un movimento coerente soprattutto sulla questione morale. A volte avrebbe fatto un’opposizione “dura e pura”, a volte si sarebbe astenuto, ma sia nell’uno che nell’altro caso temiamo che non avrebbe inciso sulle scelte del governo, che comunque avrebbe avuto i numeri per andare avanti.
Siamo sicuri che questa posizione – in un momento di emergenza– sarebbe stata percepita positivamente? Siamo sicuri che in tempi di disperazione la sola “coerenza” paga? Siamo sicuri che i 5S all’opposizione sarebbero stati visti “contro” Berlusconi, e non contro il Presidente della Repubblica, che ha fortemente voluto un esecutivo istituzionale per gestire soprattutto la vaccinazione, il Recovery plan e il rapporto con l’Europa?
Noi riteniamo che un M5S all’opposizione sarebbe stato visto come una forza minoritaria, del tutto incapace di incidere in un Paese allo stremo, al quale non interessa niente del “pregiudicato” Berlusconi e del “traditore” Renzi. Gli unici interessi attuali degli italiani sono due: il pane e la salute. Il resto è rimandato a tempi migliori.
Come verrà percepito un M5S al governo? Certamente dai “duri e puri” come una forza “incoerente”: per avere appoggiato un banchiere, per essersi alleato con personaggi come Berlusconi e Dell’Utri, insomma per avere snaturato un’identità basata su tutt’altri valori e principi.
È così? Negli ultimi tempi i 5S sono cambiati. Tramontato il tempo dell’illusione del 51 per cento per “governare da soli”, hanno capito che con quasi il 33 per cento dei voti delle ultime elezioni, o si alleano con qualcuno per fare un governo, oppure si siedono perennemente fra i banchi degli oppositori, col rischio di essere percepiti come quelli che abbaiano sempre alla luna.
Sì, perché una cosa è essere “contro” quando si hanno percentuali medio-basse, un’altra quando si ottiene un plebiscito come quello del 2018. Nel primo caso, puoi, anzi, in certi casi, “devi” andare all’opposizione; nel secondo sei obbligato a governare.
La mutazione dei 5S non è dovuta al fatto che i suoi vertici – parliamo dei Grillo, dei Di Maio, dei Crimi, dei Fico – abbiano smarrito la loro coerenza: semplicemente hanno preso atto di essere diventati forza di governo. E cercano di trovare il punto di equilibrio fra i loro principi e un modo di governare insieme ad altri. Nel governo precedente il punto di equilibrio era soprattutto Conte. Ora è Draghi, ma soprattutto è Mattarella. A noi non sembra trasformismo, ma buon senso, non opportunismo, ma senso delle istituzioni. Soprattutto in un momento come questo.
Come può il M5S non gestire i 207 miliardi del Recovery plan dopo averli portati a casa attraverso Conte? Come può non stare nell’esecutivo se l’attività dello stesso sarà incentrata sull’ambiente? Semmai i pentastellati –con la forza che si ritrovano – devono condizionare “dall’interno” il nuovo governo, non inseguendo Berlusconi, Salvini e Renzi, ma instaurando un rapporto col presidente della Repubblica, col presidente del Consiglio, e soprattutto con gli italiani, con la gente comune, con i poveri, con le parti sociali, con le parti produttive e culturali, scendendo in piazza per spiegare in modo chiaro a tutti i motivi di un provvedimento o di un sacrificio, di una scelta o di un compromesso. Anche in questo caso devono trovare il punto di equilibrio fra valori e realpolitik. Quando si uscirà dall’emergenza, ognuno tornerà nel suo ambito. In quel caso le battaglie saranno altre.
Nella foto: il fondatore del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo
Luciano Mirone
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