Se ha deciso di dimettersi, vuol dire che la misura è colma. Nicola Zingaretti ritiene di lasciare la segreteria del Pd perché all’interno di quel partito “non si fa altro che parlare di poltrone e di primarie, ed io mi vergogno”. E questo è evidentemente incompatibile con la figura di un “leader solido e leale”, come lo definisce l’ex premier Giuseppe Conte, “che è riuscito a condividere, anche nei passaggi più critici, la visione del bene superiore della collettività”.
Parole importanti, “pesanti”, che non provengono da un compagno di partito, ma da un alleato col quale Zingaretti ha condiviso l’esperienza di governo dell’ultimo anno e mezzo. Come dargli torto? Cos’era il Partito democratico prima dell’era Zingaretti? Un partito allo sbando, quasi scomparso, dilaniato dai personalismi di Renzi, da una serie di scandali, di cui il caso Palamara e le Giunte siciliane con Cuffaro e Lombardo erano solo la punta dell’iceberg.
Il nuovo segretario, anche se non è riuscito a risolvere tanti problemi che affliggono il suo partito, ha impresso comunque uno stile nuovo, sobrio, costruttivo, basato sulla questione morale e sul bene comune. Magari saranno state solo parole – potrebbe obiettare qualcuno – ma le parole in politica contano, come i fatti.
E i fatti – nel periodo in cui il Pd ha governato con Conte – hanno mostrato una formazione diversa rispetto agli anni precedenti: poche polemiche, molto lavoro e soprattutto molta collaborazione con gli alleati pentastellati. Non sarà tantissimo, ma – in un Paese molto turbolento sul piano politico, dove le crisi, le trappole, le pugnalate sono sempre dietro l’angolo – è sempre un buon risultato. E questo è stato notato: basta vedere i sondaggi. Non grandi numeri, ma una graduale e lenta risalita che lasciava ben sperare quel popolo di sinistra che crede ad una forza nuova, moderna e matura.
Zingaretti ha avuto il merito di avere invertito un trend, dando una nuova identità al suo partito: non è un Moro o un Berlinguer, ma è sufficiente ispirarsi a loro per compiere metà dell’opera. Il problema del Pd è il Pd stesso, non tutto, ma certamente una parte: troppo legato ad una politica consociativa ed al metodo del do ut des che Zingaretti stigmatizza e ritiene antitetico con la sua visione.
Forse ha ragione chi dice che Renzi ha colpito ancora, prima con Conte, ora con Zingaretti. Forse. Ma non ci giuriamo: la politica vive di tempi lunghi. Oggi il segretario ha annunciato di lasciare la carica. Oggi. Il M5S intanto si sta riorganizzando con Conte. Questo annuncio ci sembra più uno shock elettrico per interrompere le aritmie cardiache che il segnale di una resa. Domani è un altro giorno?
Nella foto: il segretario del Pd Nicola Zingaretti
Luciano Mirone
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