“Un terreno minato”. Questa è la Mazara del Vallo descritta dall’ex Pm Maria Angioni, occupatasi per meno di un anno delle indagini sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone, rapita nel 2004, a soli quattro anni, mentre giocava davanti casa e ancor oggi – a diciassette anni di distanza – cercata con tenacia e abnegazione dalla madre Piera Maggio.
“Un terreno minato”. Non solo per indicare il clima di omertà che ha avvolto per tutto questo tempo la scomparsa della piccola, ma il contesto investigativo di chi ha svolto le indagini. L’ex Pm è molto cruda in tal senso, e parla senza mezzi termini di interventi di “certi soggetti appartenenti alle Forze dell’ordine (in questo caso la polizia), che durante degli interrogatori importanti, con determinati interventi fuori luogo e fuori programma, hanno interrotto alcune testimonianze finalizzate a comporre il quadro probatorio della vicenda. “Venni interrotta da un esponente delle forze dell’ordine – dice Angioni ad Elvira Terranova dell’Adnkronos – , mentre stavo interrogando una persona che mi stava dando notizie molto interessanti: quella pista fu distrutta. Quella volta mi spaventai davvero”.
“Un terreno minato”. Nessuno ha mai spiegato perché l’allora commissario di polizia di Mazara – fidanzato e poi sposato con la migliore amica della principale sospettata – ha proseguito le indagini come se nulla fosse. Nessuno ha mai spiegato perché qualche familiare di quest’ultima, sentito a suo tempo dagli inquirenti per dei chiarimenti su degli eventuali retroscena, è stato trattato con una superficialità talmente disarmante da lasciare sbigottita perfino una magistrata avveduta come l’ex Pm, trasferita poco tempo dopo in Sardegna. Angioni parla di “cordone di protezione” nei confronti della famiglia sospettata, come se si trattasse di gente intoccabile su cui, prima o poi, qualcuno uno straccio di spiegazione dovrebbe pur fornirla all’opinione pubblica.
“Un terreno minato”. Se l’apparato investigativo della polizia di Stato di Mazara del Vallo di allora è lo stesso che si è occupato della latitanza del boss Matteo Messina Denaro (originario di Castelvetrano, a pochi chilometri da qui), ci chiediamo quale fiducia possa avere il cittadino comune nei confronti delle istituzioni, dal questore alla magistratura, fino al governo del tempo. Le istituzioni non potevano non conoscere le gravi anomalie investigative che hanno caratterizzato le indagini e intervenire decisamente.
“Un terreno minato”. Ci chiediamo perché e fino a che punto sia un terreno così minato, dato che non si tratta di una indagine pericolosa su Cosa nostra, ma di un caso di cronaca nera risolvibile al massimo nel giro di un paio di giorni. Non sappiamo se sia mancata di più la professionalità o la volontà (o entrambe le cose), sappiamo però che la polizia di Mazara, diversi anni prima, aveva avuto un commissario di polizia, Calogero Germanà – lui sì valoroso servitore dello Stato – che scampò miracolosamente a un attentato organizzato dai Corleonesi per il quale si scomodò perfino Leoluca Bagarella che capeggiò un commando armato fino ai denti per farlo fuori: Germanà si salvò grazie alla sua audacia buttandosi in mare e sottraendosi all’inseguimento sul lungomare.
È di questi investigatori che ha bisogno una città complessa e difficile come Mazara del Vallo. Nel caso di Denise certa gente che non ha fatto il proprio dovere deve pagare. Non è mai troppo tardi.
Nella foto: Denise Pipitone da piccola
Luciano Mirone
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