Ringrazio tutti per le belle attestazioni di affetto espresse nei confronti del sottoscritto nel giorno del mio sessantesimo compleanno. Mi scuso se non vi ho risposto singolarmente, ma consentitemi di sfoggiare quella frase di circostanza che solitamente accompagna i compleanni dell’era Social: “Siete stati veramente tanti”. Compiacimento? Sicuramente! Narcisismo? Anche! Ma vi confesso che è emozionante essere consapevoli di avere così tanti amici, che da ogni dove scrivono delle frasi bellissime o semplicemente la parola “auguri”.
È un’età strana e bella la mia, come tutte le età. Strana perché sei bombardato da frasi ironiche come “sì fattu vecchiu…” (ma questo è successo anche quando ho fatto trenta, quaranta o cinquant’anni, perfino diciotto, con la solita paranoia della “responsabilità del maggiorenne”).
Bella, perché dentro di te, oggi più che mai, c’è qualcosa che mette in discussione tutto, a cominciare dagli schemi che spesso ci portano ad associare due categorie come la vecchiaia e la giovinezza ai principi temporali della vita. Cosa voglio dire?
Chi lo dice che si è vecchi a ottant’anni e giovani a venti? Chi lo dice che il problema è l’età, e non l’entusiasmo, la libertà, la voglia di vivere e di lottare di ciascuno di noi? Un ventenne che si droga è più giovane di un Biden diventato presidente degli Stati Uniti a settantasei? Un trentenne schiavo del danaro è più giovane del Papa che di anni ne ha ottanta e lotta contro le storture del consumismo? Davvero pensiamo che i seni, le labbra e i nasi rifatti portino la felicità in persone spente a trenta o quarant’anni?
Vi confesso che ci sono stati dei periodi dell’adolescenza e della prima giovinezza in cui mi sono sentito veramente vecchio. Ero troppo timido e troppo insicuro per potere affrontare con serenità la cosa più bella e più importante di quegli anni incredibili: le donne. Ma anche per potere appagare l’esigenza di esprimere le mie idee e il mio modo di essere in maniera libera. Ero troppo condizionato dalle convenzioni, dalla morale cattolica, dai limiti della scuola. Ed ero infelice, svuotato, vecchio.
È stato il giornalismo, la scrittura e i libri a salvarmi e a farmi capire che ogni essere umano – per realizzarsi – deve assecondare i propri sogni. Se non lo avessi fatto, sarei rimasto in una perenne condizione di senilità spirituale. Forse mi sarei perfino arricchito, ma sarebbe stata una cosa vuota, senza senso.
Da quel momento ho cancellato buona parte delle paure, delle insicurezze , delle paranoie che hanno caratterizzato quel periodo, e mi sono lanciato. È stato bellissimo, perché ho capito che la felicità si può raggiungere solo se nella vita riesci veramente ad essere te stesso.
Col tempo ho scoperto mondi inesplorati, a cominciare dall’indignazione verso le ingiustizie umane: non uno stato d’animo da tenere a freno a causa del becero perbenismo che la società ti impone, ma un sentimento da fare esplodere con la dirompenza di una bomba atomica attraverso quell’impegno civile che sentivo di portare avanti per dare un senso alla vita.
Un impegno civile che non può prescindere dalla parola suprema che i nostri partigiani usarono per darci un futuro migliore: libertà. Dai soprusi, dalle prepotenze, dagli schemi sociali, dalle imposizioni, dai pregiudizi.
Ecco allora che, a due giorni dal compimento del mio sessantesimo compleanno, ringrazio gli amici per avermi pensato, ma mi sia consentito di invitare soprattutto i ragazzi ad assecondare i propri sogni, a stare lontani da certe aberrazioni dell’era moderna (dalla droga ai video giochi), ad apprezzare le cose semplici, a lottare per le ingiustizie, a vivere coerentemente con i propri ideali e ad avere dubbi, molti dubbi per mettere in discussione il mondo dei “vecchi”. “Ci vuole molto tempo per diventare giovani”, diceva Picasso. È vero!
Luciano Mirone
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