Stiamo vivendo in una epoca virtuale, talmente effimera da finirci con la nostre storie di vita. Facciamo fatica a spiegare agli altri chi siamo, ma ciò ch’è più sconcertante è che nemmeno lo chiariamo a noi stessi.
Lo specchio di una collettività ormai al degrado sta negli strumenti di massa, di cui tutti, compreso il sottoscritto, sono attivi frequentatori, me lo hanno imposto, altrimenti non sarei stato nessuno.
C’è un interessante ed inquietante film, “The Social Network”, che narra la nascita di Facebook, vale la pena vederlo per i due elementi che lo caratterizzano: il buio cupo che accompagna grandissima parte della pellicola e il tremendo caos di voci di ragazzi che studiano questo social network.
Ecco dove ci siamo tappati, nel caos e nel buio. Due cose che portano l’umanità alla restrizione del pensiero e della volontà. Perché una cosa è la rete virtuale nel caso della primavera araba, che ha portato a ribellarsi a regimi terribili, all’emancipazione della donna, alla diffusione del concetto di diritto allo studio, un’altra è vivere questo eterno momento di caos e di buio.
Nella piazza vera si può barare, ma fino ad un certo punto: la maschera che indossi scende giù dal volto e svela veramente chi siamo. Davanti ad un PC o ad uno smartphone il volto non si vede, non si sente la voce emozionata di te che parli.
Ecco, allora io penso che bisogna tornare a gustare il piacere di un sano e vero dialogo, della comunicazione faccia a faccia. Sentiamoci liberi.
Quando finirà questa terribile pandemia, iniziamo a prendere almeno il telefono, non per messaggiare, ma per sentire la voce delle persone. È già un primo passo avanti.
Arcangelo Signorello
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