Ci sono articoli che finiscono nel dimenticatoio e ci sono articoli che – specie se pubblicati online – vengono letti, riletti, ponderati, razionalizzati, in quanto il lettore vi trova degli elementi su cui val la pena di riflettere.
È il caso di un pezzo (pubblicato da questo giornale lo scorso 31 maggio e da quel momento costantemente consultato) su Denise Pipitone, la bambina di quattro anni scomparsa da Mazara del Vallo (Trapani) l’1 settembre del 2004 e mai più ritrovata. Quell’articolo non fa una ricostruzione cronologica degli avvenimenti, né delle congetture che in casi del genere si è portati a fare, ma l’aggiunta di un elemento che trae origine dalle dichiarazioni che un testimone a volto coperto ha fatto alla trasmissione di Federica Sciarelli, Chi l’ha visto?
Nel corso di quella puntata, costui aveva parlato di “un uomo” appartenente alla “famiglia allargata” della piccola Denise Pipitone (figlia naturale di Piera Maggio e di Piero Pulizzi, all’epoca marito di Anna Corona, dal cui matrimonio era nata Jessica, sorellastra maggiore di Denise) coinvolto nel rapimento, cioè aveva detto che un soggetto di quel numeroso nucleo familiare sarebbe stato protagonista “attivo” di questa storia.
Ma i particolari non si fermano qui.
Secondo il testimone, quest’uomo, non solo sarebbe vicino all’imprendibile capomafia di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, ma negli anni decisivi dell’indagine sarebbe stato protetto da alcuni investigatori. Non ci pare che questa notizia abbia suscitato lo stesso scalpore di molti altri fatti più banali di cui, sull’argomento, i mass media sono pieni. Eppure molta gente continua a mostrare interesse verso il nostro articolo che ne parla, segno che evidentemente, nel caso di Denise, vi ravvede qualcosa di diverso. Cosa?
La nostra esperienza giornalistica su questioni del genere ci dice che bisogna partire sempre dai fatti oggettivi.
Il primo di questi riguarda la testimonianza di Chi l’ha visto? Non una testimonianza come tante, ma una testimonianza gravissima. Che parla del boss più efferato del pianeta tuttora in circolazione, coinvolto nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio e nei delitti eccellenti degli ultimi decenni. È vero quello che il signore a volto coperto ha dichiarato ai giornalisti della trasmissione di Rai3?
Nell’articolo del 31 maggio auspicavamo una conferma o una smentita da parte della magistratura e delle Forze dell’ordine di Marsala e di Mazara del Vallo che si occupano del caso. Ci sono state? Non abbiamo visto né letto nulla in proposito: quindi, o siamo stati distratti, oppure non ci sono state né conferme né smentite. Quindi sarebbe il caso che qualcuno chiarisca.
Il secondo riguarda i depistaggi. E’ vero che ci sono stati fin dai primi momenti? Tutti sono concordi nel dire di sì. Per un rapimento eseguito da persone comuni, per il rancore di una moglie tradita o di una figlia delusa a causa di una relazione clandestina del marito e del padre da cui è nata una bambina? Tutto è possibile, ma qualcuno dovrebbe spiegare statisticamente se un fatto del genere sia mai rientrato nella casistica dei depistaggi. In poche parole: perché una parte dell’apparato investigativo avrebbe dovuto depistare?
Il terzo riguarda l’omertà, cioè quel sentimento umano generato dalla paura delle persone, che in Sicilia ha sempre avuto una causa: la mafia. Si può aver paura per un rapimento effettuato “solo” da gente comune? Anche in questo caso non esistono dati statistici che lo dimostrano. Quindi?
Quindi non sarebbe il caso che i nuovi inquirenti che si occupano di Denise illustrassero una volta per tutte se esiste un nesso fra i depistaggi dei loro predecessori e l’omertà della gente di Mazara? Così, tanto per capire, poiché il depistaggio e l’omertà, da che mondo è mondo, hanno sempre avuto cause e nessi precisi.
Luciano Mirone
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