“Vergogna, i giornalisti ragusani non onorano il loro collega ragusano ucciso”. E’ il duro atto d’accusa che Salvatore Spampinato, fratello minore del giornalista Giovanni Spampinato (ucciso a Ragusa il 27 ottobre 1972), sferra nei confronti della stampa della sua città e del quotidiano La Sicilia, “per essere stati assenti” – come dichiara Spampinato – in occasione della scopertura della lapide sul posto dell’assassinio, nel giorno del 49esimo anniversario del drammatico evento. Prima di riportare i contenuti della denuncia del fratello di Giovanni Spampinato (che annuncia la pubblicazione di un libro sulla vicenda), è necessario ricordare come, perché e in quali circostanze fu assassinato il giornalista ragusano.
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Giovanni fu ucciso da Roberto Campria, figlio del presidente del Tribunale di Ragusa, nel torbido contesto del delitto dell’antiquario Angelo Tumino (verificatosi 8 mesi prima), di cui Campria in quel momento era il principale sospettato. Spampinato fu l’unico cronista della città a scriverlo sul giornale col quale collaborava, “L’Ora” di Palermo, attirandosi gli strali di buona parte dell’opinione pubblica ragusana e del suo futuro assassinio, che in una intervista a “La Sicilia” lo definì “una mente malata” (affermazione che la testata catanese non esitò a pubblicare, senza porsi il problema della delegittimazione del giornalista).
La verità è che il “contesto torbido” di cui si occupava Spampinato andava “oltre” il delitto Tumino, al quale comunque – secondo l’ex Pm catanese Tommaso Auletta – “era indissolubilmente legato”. In una serie di articoli pubblicati dal giornale diretto da Vittorio Nisticò, Giovanni focalizzò la sua attenzione sui movimenti neofascisti che si crearono in quel periodo in cui la strategia della tensione era al culmine con la strage di piazza Fontana a Milano, il contemporaneo attentato all’Altare alla Patria di Roma, il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia, il tentato golpe Borghese e la formazione di campi paramilitari in Sicilia.
Pochi mesi prima della sua morte, Spampinato fece un incredibile scoop: raccontò per “L’Ora” (che pubblicò in prima pagina) i particolari della trasferta di Stefano Delle Chiaie (all’epoca ritenuto l’ideatore e l’esecutore di una serie attentati in Italia) a Ragusa, nell’ambito di un tour che l’esponente neofascista aveva compiuto nel Sud Italia. E inquadrò il delitto Tumino nel contesto in cui il neofascismo e la criminalità organizzata avevano il loro anello di congiunzione nel traffico di materiale di antiquariato, di sigarette e di droga.
Diversi i personaggi coinvolti: dallo stesso Tumino (consigliere comunale del Movimento sociale italiano) a Campria (vicino al mondo del neofascismo ibleo), fino a tale Giovanni Cutrone, figura che – secondo le inchieste successive – faceva da trait d’union fra il mondo criminale e quello dell’estrema destra. I tre erano stati visti insieme, nel pomeriggio in cui Tumino fu ucciso, ma il fatto non fu mai approfondito come meritava.
In realtà, Spampinato stava scoprendo un incredibile verminaio che andava oltre questi tre soggetti, con delle inchieste che si soffermavano su determinati ambienti che la magistratura ragusana, in mezzo secolo, non si è mai permessa di esplorare.
Perché nessuno ha mai chiarito cosa ci facevano l’ex presidente del Tribunale di Ragusa e la moglie, assieme all’ingegnere Tumino poche ore prima che questi venisse ucciso? Perché nessuno ha mai chiarito chi era il misterioso personaggio che – nei mesi intercorsi tra il delitto Tumino e il delitto Spampinato – chiese a Campria jr. di trasportare una valigetta a Palermo “probabilmente carica di droga”? Perché nessuno ha mai chiarito quest’ultimo particolare che Roberto Campria (in quel momento principale indiziato per il delitto Tumino) aveva confidato all’allora giovane sostituto procuratore Agostino Fera? E perché nessuno ha mai chiarito per quale misteriosa ragione Fera avrebbe tenuto questo segreto per sé, senza denunciarlo ai superiori, se non dopo il delitto Spampinato?
Il fatto veramente incredibile è che in questi cinquant’anni l’opinione pubblica è stata indirizzata verso la tesi della “provocazione”: ancor oggi, secondo certi esponenti autorevoli delle istituzioni, Spampinato fu ucciso da Campria per le “gravi offese” che gli avrebbe arrecato nei giorni successivi al delitto Tumino.
A distinguersi in questa campagna di delegittimazione della vittima, alcuni magistrati che per mezzo secolo hanno gestito la giustizia a Ragusa. Basta leggere ciò che l’ex procuratore della Repubblica Agostino Fera, in occasione della stesura della seconda edizione del libro Gli insabbiati, dichiarò al sottoscritto: “Spampinato se l’è cercata, il giornalista de ‘L’Ora’ cercava continuamente il suo futuro assassino per provocarlo. Campria, in un momento d’ira, perse la testa e lo uccise”.
La verità che abbiamo appreso in anni di ricerche, tramite la consultazione di migliaia di atti processuali è diversa: intanto perché era Campria a cercare continuamente Spampinato (e non viceversa) per estorcergli le notizie che il cronista stava apprendendo attraverso le sue indagini, e poi perché negli articoli di Giovanni non emerge mai un atteggiamento diverso dall’esigenza di scrivere la verità.
E invece basta leggere le dichiarazioni di altri magistrati per farsi un’idea del clima creatosi attorno a Spampinato anche dopo il delitto: un “giornalista comunista” alla ricerca di scoop, che soffriva di invidia nei confronti di Campria, perché quest’ultimo, in quanto figlio del presidente del Tribunale, era un rappresentante della classe borghese. Insomma, l’assassinio di un giornalista valoroso, banalizzato e addirittura ridicolizzato in questo modo.
A mettere i puntini sulle i fu l’allora procuratore generale di Catania, Tommaso Auletta, in occasione della memorabile requisitoria al processo di secondo grado: “Giovanni Spampinato era un modello di intellettuale da cui lo stesso Campria era irresistibilmente attratto. Se non sono questi i compiti dei giornalisti, allora si possono abolire i giornali”. E poi: la chiave del delitto – secondo Auletta – va ricercata nella “paura di Campria, che non ha sparato per tutto quello che Spampinato aveva scritto, ma per quanto non aveva ancora scritto sulle trame dei fascisti e sui pericolosi traffici nei quali erano coinvolti sia Tumino che Campia. Il delitto Spampinato è stato una prova di fedeltà a quel mondo”.
Oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, il fratello minore di Giovanni, interviene per far conoscere all’opinione pubblica quello che è successo in occasione della scopertura della lapide.
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“Il quotidiano La Sicilia ha fatto un semplice, triste, laconico, striminzito articolo di neanche 90 parole, con un ritardo di tre giorni, trattando la notizia come se fosse una cosa di poco conto”.
“Questo – scrive Spampinato – è il rispetto che i giornalisti ragusani hanno del loro collega ucciso mentre era impegnato a cercare la verità sull’omicidio dell’ingegnere Angelo Tumino, perché tutta la città da otto mesi voleva sapere, e lui era l’unico a dare informazioni sempre nuove e importanti”.
“Oggi come allora – afferma Salvatore Spampinato – i suoi colleghi ragusani hanno lasciato Giovanni solo, lo hanno minimizzato. Cosa grave allora e ancora più grave adesso che i tempi sono cambiati, e si sa con certezza che tutto quello che Giovanni scrisse era vero, parola per parola”.
“Giovanni – puntualizza suo fratello – era consapevole di essere stato lasciato solo dai suoi colleghi ragusani, e comunque non gli ha mai mosso accuse. Però, subito dopo la sua uccisione, fu l’intera città ad accusare la stampa ragusana, soprattutto La Sicilia, per non avere fatto il suo dovere, scegliendo di non riportare le notizie che Giovanni sapeva, e chiunque poteva attingere facilmente, come aveva fatto lui”.
“La Sicilia – spiega Salvatore – per 49 anni ha sempre minimizzato la figura di Giovanni, a costo di non informare adeguatamente la città e i lettori. Quest’anno è così importante, che si dovrebbe parlare di Giovanni più spesso, come sto facendo io anche nelle scuole. Importante perché sono state riaperte le indagini sull’omicidio Tumino, l’opinione pubblica dimostra interesse a questa vicenda, il Comune di Ragusa ha posto una lapide in memoria di Giovanni”.
“E il quotidiano La Sicilia – dice Spampinato – , il più letto a Ragusa, invece di andare avanti e dare l’importanza che meritano queste cose, dimostra insensibilità e tratta la notizia con indifferenza, con distacco verso il loro collega Giovanni, la famiglia, il Sindaco, e tutta la città”.
“Ho sempre dato la mia disponibilità a parlare con la stampa e rilasciare interviste, soprattutto adesso che studio da cinque anni i documenti disponibili, ma nessuno si è fatto avanti”.
“Onore al giornalista Angelo Di Natale, che anche quest’anno mi ha intervistato in video e ha dimostrato grande apertura e rispetto per l’opinione pubblica che vuole sapere”.
“Da due anni sto scrivendo il libro che racconta la vicenda Tumino-Spampinato, fino ai giorni nostri, basata sui documenti, e vi assicuro che ci sono cose che sconvolgeranno i ragusani. In primavera potrete leggerlo”.
“Ragusani meditate, su questa vicenda vi vogliono tenere all’oscuro perché oggi come allora si vuole nascondere, e io non lo permetterò, per rispetto di mio fratello Giovanni, e dei ragusani. Anche per Angelo Tumino che non ha avuto giustizia, e non si è mai saputo neanche il motivo della sua uccisione”.
“Io, per la memoria di mio fratello Giovanni ci sarò sempre. Il quotidiano la Sicilia su questa vicenda cambi passo, lo chiedono anche i lettori. Tornerò presto su questo argomento. Amici ragusani, non lasciatemi da solo, ho bisogno di tutti voi. Onoriamo sempre Giovanni che per dare la giusta informazione non si è mai girato dall’altra parte”.
Luciano Mirone
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