L’origine di questa famiglia di “artisti-intagliatori” si perde nella notte dei tempi, addirittura all’epoca dei Maestri Comacini, “i costruttori, i muratori, gli stuccatori e gli artisti raggruppati in una corporazione di imprese edili itineranti”, che fin dal Settimo Secolo dopo Cristo operavano in Lombardia, soprattutto tra il Comasco e il Canton Ticino, “donde il cognome Dell’Erba, cioè famiglia originaria di Erba, in provincia di Como”.
Di questa dinastia, Nicola Dell’Erba, 51 anni, “etneo doc” da almeno cinque generazioni, è degno rappresentante: diversi altari, capitelli, intarsi e sculture presenti in Italia e all’estero, recano la sua firma, così come recano la firma dei suoi avi molti “ricami” sparsi in Sicilia e scolpiti nella pietra bianca di Siracusa e di Palazzolo Acreide, e nella pietra nera dell’Etna.
Troviamo Nicola nella sua azienda ubicata nella zona industriale di Bronte (Catania), mentre, come ogni giorno, “da quando ero bambino”, dice lui, è intento a dare “un’anima” alla pietra. Sì perché del trinomio pietra-anima-uomo, Nicola filosofeggia per ore.
“Un blocco di pietra non lavorato resterà per sempre un blocco di pietra”, dice. “Ma un blocco di pietra plasmato, prende la forma di un’idea e acquisisce un’anima, la tua anima. Da quel momento la scultura vivrà in eterno. L’uomo invece muore, e però anch’egli diventa immortale grazie a quell’opera che vivrà per sempre”.
Nicola Dell’Erba esprime questi concetti mentre assesta dei colpi potenti con lo scalpello, batte e ribatte il ferro sulla roccia forgiandola e facendo scoccare qualche scintilla, e mentre la polvere si disperde nell’aria, è come se la pietra gemesse, come se da un momento all’altro dovesse emettere il vagito della vita.
“Sono discorsi che sento da quando, a sei anni, andai a lavorare con mio padre nella bottega di scalpellino di mio nonno Nicola. L’artista di famiglia era lui. Le sue teorie mi lasciavano stupefatto, erano concetti che aveva appreso da suo padre, il quale, a sua volta, le aveva apprese da suo padre. Ogni pensiero originato dalla filosofia dei Maestri Comacini e trasmesso attraverso le generazioni che, qualche secolo prima, si erano trasferiti dal Nord Italia alle falde del Vulcano”. Almeno cinque, secondo Nicola, le generazioni vissute in Sicilia: il nonno Nicola, il bisnonno Giuseppe, il trisavolo e via via a ritroso nel tempo. Circa tre secoli che hanno segnato la vita di Chiese e di piazze, di strade e di fontane di questo fazzoletto di Sicilia.
A Bronte ci sono esempi dell’opera dei Dell’Erba: dalla Fontana dell’Immacolatella alle Chiese di Santa Lucia e della Madonna delle Grazie; dal pavimento del castello di Nelson all’Ippogrifo situato all’ingresso della città. Ma da alcuni anni le sculture e i lavori di Nicola sono presenti sia al Nord Italia che all’estero, soprattutto in Irlanda, in Germania e in Inghilterra. E adesso c’è il progetto di mettere a disposizione degli scultori giovanissimi (anche disabili) la sua esperienza e dei blocchi di pietra che verranno lavorati da loro.
“C’è nei miei lavori – seguita Nicola – l’insegnamento appreso dalla tradizione familiare, ma anche un’elaborazione espressa attraverso la mia creatività”. Come dire, una fusione tra antico e moderno sintetizzato dalle foto dei suoi avi (mostrate con orgoglio in fotografia) e i sofisticati macchinari moderni – compreso un robot computerizzato – dislocati in azienda.
“Nell’arte ci vuole un pizzico di follia e di ribellione – dice –. Bisogna avere il coraggio di mettere tutto in discussione. Mio nonno lo fece. Durante il ventennio gli fu negato un cospicuo premio in danaro, vinto ad un concorso, perché si era rifiutato di prendere la tessera del partito fascista. Sì, è proprio vero, l’arte non conosce regole, né padroni”.
Luciano Mirone
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